Se non avete ancora avuto a che fare con la peculiare estetica di Mundaun, date uno sguardo a questo minuto del suo trailer. Adesso immaginate che tutto quanto avete visto su schermo, quindi una piccolissima parte di quello che c’è nell’intero gioco, è stato disegnato a mano. Mundaun è il risultato del sudore che Michel Ziegler ha versato negli ultimi sette anni. Se quello che dice in un post del PlayStation Blog è vero, ha iniziato a disegnare in età adulta, dopo essersi iscritto a un corso in Illustrazione all’Università di Lucerna.
Ho visto alcuni amici e compagni di scuola manifestare fin da piccoli una propensione al disegno, ma mai nessuno, di chi ha preso in mano la matita così tardi (addirittura dopo gli studi e una breve carriera nel campo della software engineering), ottenere risultati buoni quanto quelli di Ziegler con Mundaun. Ogni volta che si parla del gioco, non si prescinde dal comparto visivo. Su PC Gamer, Andy Chalk sottolinea che “ciò che distingue Mundaun, per me, è che le texture sono interamente disegnate a mano, creando una sorta di insolita estetica basata su una scala di grigi”.
“Hidden Fields la usa per ottenere un effetto terrificante e inquietante”, gli fa eco Andrew King su GameSpot. In una recensione su GameRadar, Leon Hurley paragona il modo in cui Mundaun lavora sulla sfera emotiva del giocatore alla sensazione di essere piombati in un libro proibito, nascosto per proteggere le persone: “Texture, rocce, volti, oggetti (…) tutto sembra macchiato e abbozzato rozzamente, creando dai bordi ruvidi un’atmosfera opprimente”.
Parlare di disegno a mano significa prendere in considerazione soltanto metà del meccanismo che permette all’estetica di Mundaun di funzionare. Nonostante le illustrazioni, e in particolare i dipinti, si propongano come un elemento centrale (anche in chiave narrativa), nella maggior parte dei casi ci si sentirà con almeno un piede in una vecchia fotografia. “Nel corso degli anni, ho scavato nei mercatini dell’usato e devo aver collezionato qualcosa come 50 libri con vecchie fotografie di vita rurale nelle Alpi, che sono state le mie principali ispirazioni per l’aspetto del gioco”, scrive ancora Ziegler nel suo intervento sul PlayStation Blog: “L’atmosfera di queste immagini in bianco e nero, è, per me, una finestra in un mondo quasi diverso, in cui volevo immergermi in qualche modo”.
Il comparto visivo del survival horror di Hidden Fields è quindi a cavallo tra due linguaggi: quello dell’illustrazione, più stilizzato, e quello della fotografia, più aderente alla realtà ma non proprio verosimile. Infatti, se la realtà è a colori, i vecchi scatti sono stati realizzati con una pellicola poco sensibile, che appiattisce le forme su una scala di grigi scuri. Inoltre, le vecchie foto ci mostrano persone e ambienti spesso non esistenti ma esistiti, entità e luoghi che il tempo ha relegato nella memoria e che non hanno più alcuna collocazione al di fuori del territorio del ricordo: fanno parte della realtà? Forse, ma, se ne fanno parte, non possiamo farne esperienza diretta ma indiretta, tramite appunto foto, vecchi filmati, racconti a voce, film e naturalmente videogiochi.
Questa estetica ricercatissima riesce efficacemente a fare il paio sia con il predominante senso di soffocamento, solitudine, precarietà e confusione, sia con un filo di ironia che ci mette come al sicuro dall’orrore totale: fermo restando i parallelismi cinematografici con The Witch, The Lighthouse o con l’horror cultista e folkloristico Midsommar, a tratti Mundaun sembra assumere i contorni di una strana fiaba, che, nonostante i toni della disperazione, resta pur sempre fiaba.
Ogni fiaba inizia con “c’era una volta” e molti dei soggetti ritratti nelle vecchie fotografie in effetti non ci sono più. In Mundaun non siamo completamente soli e in più di un’occasione ci capiterà di interagire con una bambina muta, un vecchio soldato pazzo e un prete dallo sguardo spiritato. Però il senso di isolamento, che è uno dei principi fondamentali teorizzati da Travis Fahs per un survival horror, si avverte lo stesso, ed è forse l’aspetto più riuscito del gioco.
Più del fatto che la comunicazione sia difficile da realizzare, con i personaggi non protagonisti della storia; più che il senso di isolamento spaziale dell’insediamento rurale in cima alla montagna; più di entrambe queste cose, forse più facili da mettere in una storia, si ha come l’idea di una distanza temporale dalle cose che si hanno davanti: c’erano una volta un vecchio soldato, un prete tormentato e una bambina. Quanti anni ha la bambina? Dove sta la mamma della bambina? Da quanto tempo la bambina ha gli anni che ha? Esiste davvero questa bambina?
C’era un ex militare ormai anziano che non ha mai smesso di fare i conti con la guerra che ha combattuto da giovane, c’erano capanne piene di fotografie e dipinti di un’altra epoca. La narrazione di Mundaun è tutto un gioco di ritorni al passato e ritorni dal passato. Passato e presente coincidono, come in una fiaba: c’era una volta… e vissero per sempre.
Questo senso di ubiquità temporale è un paradosso che si può verificare soltanto in un contesto ermetico come quello all’interno del quale è ambientato Mundaun. Che il contesto sia impermeabile lo dimostra l’utilizzo del Romansh, una lingua che, soprattutto per noi italiani, sarà pazza da ascoltare, e che conta 60mila parlanti in tutto il mondo. Quando risaliamo la montagna a bordo di un bus, richiamati ai luoghi dell’infanzia del protagonista da una contingenza luttuosa, il paesaggio a valle è coperto dalle nuvole.
Probabilmente se qualcosa di paranormale mettesse le radici in un posto così difficile da raggiungere nessuno lo verrebbe a sapere: non ci arriverebbero le forze dell’ordine, né gli scienziati. La mancanza di testimoni oculari mi aiuta a credere al paranormale e la distanza mi aiuta a credere che lo spazio sia troppo perché venga colmato dal “nuovo”. Non succede che gli innovatori si spingano fino ai recessi delle Alpi Svizzere, ed è per questo che credo nell’eterno ritorno del passato, anche perché so che più ci si allontana dai grandi insediamenti umani più è difficile liberarsi dell’eredità delle cose che furono.
Per come la vedo io Mundaun è fondamentalmente questo. Più in superficie, esteticamente (ma anche alcuni passaggi narrativi lo stabiliscono) è un atto di amore all’arte del disegnare. C’è tanta storia dei luoghi e attaccamento alla cultura e alle tradizioni delle Alpi Svizzere. Ma se dovessero chiedermi il senso dell’operazione e il vero spirito di Mundaun io parlerei di una resa dei conti con il passato ispirata proprio da qualche sbiadita fotografia trovata in un mercatino.