Si dice che conti il viaggio e non la meta, ma in Road 96 la destinazione importa eccome, ed è sempre la stessa: il confine settentrionale dell’immaginario stato di Petria. A dire la verità, il viaggio è più che altro una fuga, e la meta è sinonimo di libertà da un regime autoritario. Yoan Fanise—fondatore dello studio francese DigixArt che ha realizzato il gioco—aveva già lavorato su titoli con un’ambientazione impegnativa, come la prima guerra mondiale di Valiant Hearts, ma in questo caso lo scenario non ha una collocazione precisa e remota nel tempo, e risulta dunque più problematico. Vediamo ogni anno persone reali rischiare la vita per scappare da tragedie reali: è davvero una buona idea mettersi nei loro panni a scopi ludici?
A questa domanda occorre probabilmente rispondere evitando la trappola del giudizio morale e analizzando invece l’impianto narrativo: a guidarci, insomma, dovrebbero essere prima di tutto le tecniche usate per mediare l’identificazione con personaggi e situazioni capaci di metterci a disagio. Si tratta di una questione che non riguarda certo solo l’ambito videoludico; Vladimir Nabokov ad esempio in Lolita fa al lettore non una, ma ben due anticipazioni: premette che il protagonista della storia è morto, e che prima di morire è stato in prigione. Immaginandolo già in qualche modo punito per le sue azioni, sarà meno difficile venire a sapere della sua relazione con una dodicenne. Allo stesso modo, Matthew Werner mostra per la prima volta allo spettatore Tony Soprano mentre si trova nello studio di una psicanalista: così lo si troverà a capo di una famiglia mafiosa solo dopo averlo visto piangere parlando di anatre e anatroccoli che una volta facevano tappa presso la sua piscina.
Sia il romanzo Lolita che la serie televisiva I Soprano hanno inoltre degli antagonisti caratterizzati in maniera fortemente negativa, e l’invito implicito a identificarsi con uno spregevole antieroe può essere accettato più facilmente se questi deve vedersela con qualcuno ben peggiore di lui. In videogiochi come This War of Mine o Papers, Please questa dinamica tra antieroe e antagonista diventa tutta interna al giocatore, che nel perseguire la vittoria è libero di far dare al personaggio il meglio o il peggio di sé attraverso scelte più egoistiche o più altruistiche. Entrambi i giochi sono poi strutturati in modo da rendere il successo difficilissimo quando non impossibile senza scendere a qualche compromesso, e in questo modo fanno passare il loro messaggio e giustificano l’utilizzo degli scenari proposti, mostrando come la guerra e la dittatura siano in sé indesiderabili e portino a dover prendere decisioni che nessuno dovrebbe essere mai obbligato a prendere; e il giocatore lo può provare in prima persona.
Road 96 si può considerare una piacevole variazione di questo schema, perché complessivamente offre un’esperienza meno grave, per quanto riguarda sia l’ambientazione che il gameplay. Petria è un paese che vorrebbe essere immaginario o al massimo un pastiche di ogni regime autoritario possibile, ma finisce col somigliare molto agli Stati Uniti: per via delle ispirazioni cinematografiche dichiarate dagli autori (i fratelli Coen e Tarantino), per via dei paesaggi, persino per via della situazione politica in cui viene calato il giocatore. C’è un vecchio attentato terroristico che ancora scuote la coscienza collettiva del paese, c’è un presidente autoritario il cui colore politico è il rosso, c’è un canale televisivo a sostenerlo a suon di propaganda e di fake news, e una donna, la senatrice Serras, il cui colore politico è il blu, rappresenta la sola possibilità per cambiare le cose alle imminenti elezioni. Parallelismi evidenti notati anche da Facebook, che proprio per tale motivo ne ha bloccato la promozione.
Solo gli adolescenti sembrano voler fuggire dal paese, ed è un dato quantomeno singolare, da leggere forse come un modo un po’ criptico per introdurre anche il tema molto attuale del conflitto generazionale, che vede i più giovani—e oramai anche i meno—godere di prospettive lavorative ed economiche decisamente più modeste rispetto a chi aveva la loro età anche solo trenta o quarant’anni fa. Come anticipato all’inizio, il giocatore si trova di volta in volta nei panni di uno di questi giovani fuggitivi, con l’obiettivo di raggiungere il confine. Le strade di Petria si possono percorrere a piedi, chiamando un taxi, rubando una macchina, facendo autostop, a seconda delle occasioni che si presentano e delle opportunità più o meno ampie offerte dalla situazione contingente—quante forze rimangono (si riacquistano mangiando o riposando), di quanti soldi si dispone, quali oggetti si sono trovati, e così via.
Ogni tappa sblocca una nuova scena, e in questo modo si incontrano pian piano tutti i personaggi del cast di Road 96: Fanny, una poliziotta con forti conflitti interiori, Stan e Mitch, due rapinatori da strapazzo, Alex, il classico ragazzino prodigio smanettone, Zoe, la figlia ribelle di un’importante figura politica, Jarod, un tassista fissato con i dinosauri, e altri ancora. Se l’aspetto più riuscito di Road 96 è probabilmente la splendida art direction di Charles Boury, capace di riempire di colori il mondo di gioco usando una palette limitata, e di trovare uno stile molto particolare a metà tra il fumetto e la fotografia di alcuni teen-movie e di certe serie televisive, quello su cui gli sviluppatori hanno più lavorato è proprio l’algoritmo che regola la selezione delle scene.
A ogni nuova run il codice pesca le più interessanti tra quelle non ancora giocate, e il risultato è complessivamente soddisfacente, anche se qua e là qualche incongruenza si può notare. Il gioco procede dunque attraverso le varie scene, in cui la componente narrativa è dominante ma vari mini-giochi contribuiscono a spezzare le fasi di dialogo e a diversificare il gameplay: capita ad esempio di giocare a Forza 4 sul sedile posteriore di un mini-van, o a Pong di fronte a un cabinato, oppure ad air-hockey in un bar. Il clima si mantiene perciò leggero, anche se non proprio spensierato; un improvviso momento di tensione può sempre essere dietro l’angolo. È quando ci si avvicina al confine che le cose cambiano radicalmente, e si può assistere a momenti particolarmente crudi, con cui il gioco fa arrivare dritto e forte il suo messaggio, dimostrando di essere qualcosa di più rispetto a un simulatore di road trip.