James Bond ha bevuto il suo primo Martini nel romanzo Casino Royale di Ian Fleming nel 1953, mentre il primo film è uscito nelle sale cinematografiche nove anni dopo. 007 – Licenza di Uccidere, con Sean Connery nei panni dell’agente segreto britannico—di solito in luoghi affascinanti fuori dalla portata di una popolazione inglese immersa nella depressione del dopoguerra—ha trasformato la già famosa creazione letteraria in un fenomeno culturale che dura ancora oggi.
I videogiochi ne hanno alimentato il mito fin dall’inizio. In generale, ci sono tre “ere” dei giochi di James Bond: Domark ha avuto il decennio a 8 e 16 bit (corrispondente agli ultimi film con Roger Moore e a tutti quelli con Timothy Dalton); Electronic Arts ha avuto gli anni di Pierce Brosnan e Activision quelli di Daniel Craig. Ma ci sono alcune strane eccezioni, come le avventure testuali, un titolo Atari 2600 e l’innovativo GoldenEye. Fatta eccezione per quello sparatutto epocale, i giochi di maggior successo sono stati probabilmente quelli che hanno mescolato con più creatività gli ingredienti di 007. Ma quali sono gli ingredienti essenziali per un gioco su James Bond?
Le voci
Una volta che la tecnologia è maturata, i giochi di James Bond hanno iniziato a presentare voci sempre più simili a quelle originali. Caron Pascoe ha sostituito la M di Judi Dench in quattro giochi ad esempio, mentre lo 007 di Brosnan è stato ha avuto le voci di Kevin Bayliss, Adam Blackwood e Maxwell Caulfield. L’unica eccezione alla regola del surrogato è stata John Cleese, che ha dato la voce all’esperto di gadget R nel film Il mondo non basta e nel videogioco 007 Racing.
Il punto di svolta è stato Everything or Nothing , una storia originale di EA che si presentava come un’autentica nuova esperienza cinematografica con le voci e le sembianze di Dench, Cleese, Willem Dafoe, Heidi Klum, Shannon Elizabeth e, soprattutto, dello stesso Pierce Brosnan. Il gioco è stato sviluppato con Caulfield che dava la voce a James Bond (come aveva fatto nel precedente Nightfire), fino a quando non è stata presa la tardiva—e dispendiosa—decisione di chiamare Brosnan per due sessioni di registrazioni vocali da quattro ore ciascuina e per una scansione della testa.
«Era la cosa giusta da fare commercialmente», ci dice Danny Bilson, sceneggiatore, performance director e poi dirigente di Electronic Arts, «ma non sono sicuro che Pierce abbia avuto molta pazienza. Non si trattava solo di entrare e di leggere le battute; è un grande attore, ed è estremamente professionale. Avrebbe potuto fare scintille, e invece per qualche motivo è stato bravo, ma non grandioso».
Due anni dopo Electronic Arts EA ha messo a segno il colpo di scritturare Sean Connery per il suo tie-in From Russia With Love. Il risultato è stato altrettanto piatto, anche se Connery sembra essersi abbastanza divertito nella realizzazione del filmato. Il più impegnato è stato senz’altro Daniel Craig, che ha interpretato James Bond tre volte per Activision (incluso, stranamente, un remake di GoldenEye), anche se non in 007 Legends, per il quale a entrare in cabina per doppiare l’agente segreto e Auric Goldfinger è stato Tim Watson.
I giochi hanno portato persino gli autori dietro le quinte, come lo sceneggiatore di GoldenEye Bruce Feirstein e lo scenografo Ken Adam. E per Nightfire, Everything or Nothing e Blood Stone sono state eseguite addirittura delle sigle originali, rispettivamente da Esthero, Mýa e Joss Stone. Il compositore David Arnold ha invece fornito una nuova versione del tema Goldfinger per la sequenza dei titoli di 007 Legends. Le musiche fanno diventare l’esperienza più cinematografica, ma si può discutere sul fatto che siano davvero importanti in termini di gameplay. Indipendentemente dalla faccia sulla scatola, «in fase di stesura, scrivevo Connery in ogni caso!», dice Bilson.
Le sparatorie
La crescita del settore videoludico a metà degli anni Ottanta ha coinciso purtroppo con quello che è probabilmente stato il peggior periodo per i film di 007: le ultime pellicole di Roger Moore, seguite dai film non troppo popolari con Timothy Dalton. Dopo Vendetta privata ci fu una pausa senza precedenti lunga sei anni, e nel 1995 quella di James Bond era una saga abbastanza moribonda. E proprio allora è arrivato GoldenEye. Il film fu una scommessa: un’opera visibilmente a basso budget che però fu anche un successo. Ma fu il videogioco tie-in a ridare slancio al franchise per un’intera generazione.
GoldenEye 007 di Rare ha praticamente lanciato il genere FPS su console, e ha convinto molti dell’idea che uno sparatutto in prima persona fosse l’unico modo per portare James Bond nei videogiochi. Parte del fascino di GoldenEye stava nel suo umorismo, che derivava dal piccolo team di programmatori britannici che erano cresciuti con i film di James Bond in televisione e stavano praticamente mettendo insieme i vari pezzi del gioco col nastro adesivo. Non potendo usare i veri nomi delle armi da fuoco, la famigerata e inutile pistola Klobb prendeva il nome dallo sviluppatore Ken Lobb, perché era “rumorosa e imprecisa”.
«Non esisteva un paradigma per come sarebbe dovuto essere un gioco in 3D», ha detto lo sviluppatore David Doak a Kotaku nel 2018. «Tutto il codice è stato scritto da zero, anche perché stavamo sviluppando in 3D su un hardware completamente nuovo come il Nintendo 64. Il motore è stato realizzato letteralmente sedendosi con i libri di testo sulla grafica e capendo ogni fase del percorso».
Anche Nintendo ha avuto un’influenza, con The Legend of Zelda: A Link to the Past e Super Mario 64 che hanno ispirato l’idea di obiettivi multipli all’interno dei livelli. «Il gioco è diventato molto più aperto grazie al fatto che abbiamo studiato con attenzione i lavori di Nintendo», ricordava il direttore del gioco Martin Hollis nel 2015. Il disagio di Nintendo per la violenza del gioco è stato mitigato dal team di programmazione che alla fine ha aggiunto uno scherzoso appello in cui venivano richiamati tutti i personaggi, come nei titoli di coda di un film. «Sottolineava che si trattava di finzione», ha spiegato Hollis. «Quella sequenza diceva ai giocatori che non c’erano state vere uccisioni».
Electronic Arts ha ottenuto la licenza di 007 per il film successivo, Il domani non muore mai del 1997, ma la visuale in terza persona fu una delusione per chiunque sperasse in un seguito di GoldenEye. Quando nel 1999 uscì Il mondo non basta, era chiaro che il gioco doveva essere un FPS. Questa tendenza è continuata nella generazione successiva, con gli originali di Electronic Arts per Playstation2 e Xbox Agent Under Fire, Nightfire e Rogue Agent, così come per Quantum of Solace di Activision, GoldenEye 007 Reloaded e 007 Legends. Solo Everything or Nothing, From Russia With Love e Bloodstone hanno invertito la tendenza, tornando alla terza persona per sfruttare le voci e le sembianze, rispettivamente, di Brosnan, Connery e Craig. Non aveva molto senso sborsare soldi per una stella del cinema e poi non farla apparire sullo schermo, dopotutto.
La guida
Gli inseguimenti in auto e il caos sulla strada sono una parte importante dei film di Bond, ma nei giochi la guida spesso passa in secondo piano rispetto alle riprese. Tuttavia, alcuni giochi hanno a volte fatto sfrecciare i giocatori alla guida di macchine costose: il primo gioco di Bond con licenza ufficiale, lo sparatutto a scorrimento laterale dei Parker Brothers James Bond 007, uscito nel 1983, potrebbe in effetti essere descritto come un gioco di guida, dal momento che si controlla un “veicolo appositamente modificato” molto simile, con un po’ di fantasia, alla Lotus Esprit di La spia che mi amava.
Per il resto degli anni Ottanta le sezioni di guida si sono intervallate con sezioni a piedi in giochi come A View to a Kill e License To Kill; quest’ultimo con particolare efficacia, grazie a divertenti sequenze in elicottero e in aereo e alcune petroliere da far esplodere nel livello finale. Domark, in maniera piuttosto subdola, ha pure adattato una licenza di 007 a uno sparatutto di corse tra barche chiamato Aquablast e ribattezzato per l’occasione Live and Let Die, avendo in mente il celebre inseguimento in motoscafo di quel film. The Spy Who Loved Me era invece un frenetico mix tra un gioco di guida e un top down shooter, molto “ispirato” dal successo del coin-op Spy Hunter. Anche in quel caso si guidava una Lotus. Non c’era molta azione su Aston Martin in quel periodo.
La guida è diventata ancora più rara dopo GoldenEye. In Agent Under Fire, Nightfire, Everything or Nothing, From Russia With Love, Bloodstone e 007 Legends i veicoli sono solo un diversivo—nel primo c’è anche un carro armato, negli ultimi tre finalmente una Aston Martin DB5—anche se è quasi impossibile da padroneggiare. Le sezioni di guida nei giochi FPS venivano gestite separatamente da EA Canada, utilizzando lo stesso engine di Need for Speed, sebbene nessuna delle sezioni di guida di quei titoli raggiunga i livelli di Need for Speed o Burnout.
Solo 007 Racing, uscito per PlayStation nel 2000, ha tentato l’idea apparentemente ovvia di basare un intero gioco sulle iconiche auto di James Bond. Realizzato per Electronic Arts dal piccolo team di Eutechnyx, il gioco utilizzava il motore di gioco dello studio, pesantemente modificato rispetto alla sua uscita precedente, Le Mans 24 Hours. «Date le enormi differenze nello stile di gioco, è stata una completa revisione», ricorda il programmatore capo Peter Davies, «ma alcune componenti fondamentali come la fisica, il renderer e gli strumenti di sviluppo sono rimaste le stesse». Gestire la licenza per conto di Electronic Arts è stato un grande colpo per Eutechnyx, ricorda, e anche un’ottima scusa per rivedere i film, anche se invece di proporre semplicemente livelli separati basati su singoli veicoli e film, 007 Racing ha scelto di collegare ogni sequenza a una storia originale.
«Il mio livello preferito consisteva nel guidare l’Aston Martin DB5 in giro per un magazzino controllandola in remoto attraverso le telecamere di sicurezza», ricorda Davies di una sequenza simile a quella di Il domani non muore mai. «Era una cosa che non avevo mai visto prima in un gioco di guida».
Lo spionaggio
Per essere un franchise su una spia, c’è poco in termini di spionaggio nei giochi di James Bond visti fino ad oggi. Le sparatorie hanno avuto la precedenza sugli elementi d’avventura, ma ci sono state alcune eccezioni a questa regola. Il primo gioco di Bond in assoluto, una parodia senza licenza, era un’avventura testuale. In Shaken But Not Stirred, autoprodotto nel 1982 dal programmatore Richard Shepherd, si doveva impedire al malvagio Dr. Death di bombardare Londra usando input di testo e, nella parte finale, attraversando un labirinto.
Un paio di giochi con licenza ufficiale di Angelsoft erano più rispettosi del franchise. La società pubblicò A View to a Kill nel 1985, seguito da Goldfinger nel 1986, entrambi scritti da Raymond Benson, che in seguito sarebbe stato autore di diversi romanzi originali con protagonista James Bond nel corso degli anni Novanta. Entrambi i giochi restano fedeli alle loro fonti e racchiudono molto nelle loro brevi campagne. A View to a Kill si svolge in Siberia, Londra, Parigi e San Francisco, e mentre gli enigmi riguardano principalmente cavi e microchip, è possibile almeno combattere Grace Jones, usando il comando “Flip May Day”.
Anche la sezione centrale della versione action di Domark di A View to a Kill era basata su puzzle. Un esile James Bond deve fare un giro intorno al municipio in fiamme di San Francisco, alla ricerca di oggetti che può usare per fuggire; il problema è che le stanze con gli oggetti di cui hai bisogno scompaiono mentre il fuoco si diffonde, perciò anche il tempismo è importante. La migliore—e fino ad oggi l’ultima—avventura di 007 è stata Operation Stealth di Delphine: un divertente punta-e-clicca a 16 bit sulla scia degli irriverenti titoli di LucasArts. Tuttavia, è stato ufficialmente concesso in licenza solo negli Stati Uniti, dove è stato rilasciato come James Bond 007: The Stealth Affair. Il resto del mondo ha avuto “John Glames” come agente segreto e “Dr Why” come suo antagonista.
A piattaforme
Negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta, studi come Ocean erano famosi per usare le licenze dei film trasformandoli in giochi platform. Questo con James Bond è successo sorprendentemente di rado: nella terza sezione di A View to a Kill di Domark e nell’intero The Living Daylights, però, si correva e si saltava. Il primo faceva andare 007 in una una miniera per disinnescare la bomba del cattivo Max Zorin.
Il secondo, invece, beneficiava della decisione di progettare un gioco divertente per adattarvi solo in seguito gli elementi di James Bond. «L’idea che avevo riguardava un uomo che cammina e spara con dietro uno sfondo scorrevole», disse all’epoca il designer Richard Naylor a C&VG. «Si trattava allora di legare lo sfondo e i personaggi del gioco ai film». Il risultato è stato uno sparatutto a scorrimento con le peculiare caratteristica che, per sparare, è necessario smettere di muoversi e mirare il bersaglio.
Anche l’ultimo gioco su 007 realizzato da Domark, The Duel, è un platform. Rilasciato per le console Sega, presentava Dalton sulla copertina e nelle schermate introduttive, ma per il resto era una storia a sé stante che lanciava cattivi come Jaws, Baron Samedi e Oddjob. The Duel mostra come un banale clone di Rolling Thunder può offrire un’esperienza alla James Bond semplicemente aggiungendo alcuni personaggi dall’aspetto esotico con un papillon e una bombetta in testa.
Il multiplayer
Oltre ad aver portato il genere FPS su console, un’altra rivoluzione di GoldenEye è stata la sua leggendaria modalità multiplayer. Immediatamente suggerito dalle quattro porte per i controller del Nintendo 64, il combattimento a schermo diviso è stato essenzialmente un ripensamento: un elemento che dalla lista dei desideri di Rare è diventato realtà semplicemente perché venne trovato il tempo per lavorarci. Nintendo non era nemmeno a conoscenza dell’esistenza della modalità fino a quando non ci fu la presentazione.
Che quattro amici potessero sedersi davanti a un televisore e spararsi a vicenda si è rivelato essere il pezzo forte di GoldenEye. La qualità della campagna per giocatore singolo era ovvia, ma i deathmatch multiplayer hanno enormemente aumentato la durata del gioco, rendendolo per anni un punto fermo di feste e sessioni notturne.
Sebbene nessuno abbia eguagliato quel colpo di genio, quasi tutti i successivi giochi di Bond contengono una modalità multiplayer, in prima persona o in terza persona o, nel caso di 007 Racing, su quattro ruote. Quell’aspetto di GoldenEye è diventato semplicemente una parte indelebile dei giochi con James Bond. «Non puoi fare a meno di includere lo schermo diviso per quattro giocatori», ride Dino Verano, produttore associato di quello che è ad oggi l’ultimo gioco di James Bond, 007 Legends.
«Non c’è niente come il poter lanciare una manciata di patatine in faccia a qualcuno mentre sta cercando di spararti. Non dimenticherò mai le partite a GoldenEye con i miei amici. Gli sparatutto su console erano ancora sconosciuti all’epoca e non c’erano molti giochi che sfruttassero le quattro porte del Nintendo 64. C’erano sicuramente molte discussioni sul fatto che essere Oddjob [che era basso e spesso sotto la visuale degli altri giocatori] fosse un imbroglio oppure no. Alla fine abbiamo stabilito la regola secondo la quale solo il fratello di otto anni del mio amico poteva essere lui!».
Il futuro
Mentre il venticinquesimo film, No Time To Die, arriva finalmente al cinema, è sconcertante notare come siano passati nove anni dall’uscita dell’ultimo gioco di James Bond. 007 Legends, che ne celebrava i quarant’anni con livelli pensati per ripercorrere ogni epoca dell’agente segreto (ma sempre con le sembianze di Craig), somigliava molto a un commiato, e gli scarsi risultati in termini sia di critica sia di vendite sembravano inoltre indicare un interesse sempre minore nei confronti di 007.
GoldenEye è stato una benedizione e una maledizione per la serie, un apice che i giochi successivi non sarebbero mai riusciti a replicare. Pensare a un gioco su James Bond diverso da uno shooter divenne impossibile, sbarrando la strada a formule che sarebbero potute essere ugualmente—o forse anche più—soddisfacenti dal punto punto di vista creativo. I giochi hanno sempre guardato ai film, per esempio, e mai ai romanzi originali di Ian Fleming, già quando Benson scriveva avventure testuali.
Nel 2014, l’allora capo di Telltale Games, Kevin Bruner, rivelò che 007 sarebbe stata una “IP da sogno” per lo studio. «Sono un grande fan di James Bond», disse a Official Xbox Magazine, «e sono sempre frustrato dai giochi che lo rendono un assassino di massa. È una super-spia, e questo è un set di abilità diverso… nei libri ci sono soprattutto intrighi, non uccisioni». Le voci su un gioco in formato avventura di Telltale sono continuate almeno fino al 2017, ma non ne è venuto fuori nulla. Bilson, da parte sua, afferma di aver presentato 20 anni fa un MMO a Electronic Arts «dove le diverse “terre” erano i vari film di 007».
«Non sono nemmeno sicuro che l’IP sia di aiuto», afferma Bilson. «È difficile fare una hit. I ragazzi non sanno chi sia Sean Connery. Questa è una cosa che piace al nonno! Mi piacerebbe un gioco di James Bond in stile GTA, in cui c’è una storia principale con tante diramazioni e hai tutti i classici cattivi. Ma la cosa più importante per un altro gioco di James Bond secondo me è che sia un grande studio a realizarlo».
Non c’è mai stato un gioco di 007 per PlayStation 4 o Xbox One. Un’intera generazione di console è diventata Bondless. Ma dopo questo lungo silenzio, lo studio attualmente al lavoro sull’IP è IO Interactive, famoso per Hitman. Annunciato alla fine del 2020 con il titolo provvisorio Project 007, promette l’opportunità di “guadagnare il tuo status di 00 nella prima storia sulle origini di Bond”.
«È vero che di tanto in tanto le stelle si allineano nel nostro settore», ha detto il capo di IO Hakan Abrak. «Creare un gioco di James Bond originale è un’impresa monumentale e il nostro team è entusiasta di realizzare il titolo più ambizioso nella storia del nostro studio». James Bond è pronto a tornare.