Con Card Shark siamo di fronte al classico titolo a cui è stranissimo che nessuno abbia pensato prima, anche se di fatto è proprio così—ci ha pensato solamente adesso Nicolai Troshinsky in collaborazione con Nerial, lo studio di Reigns e Orwell’s Animal Farm. Pensato a cosa, precisamente? Il pitch presentato a Devolver Digital, che pubblica il gioco, è facile da immaginare: dopo aver offerto innumerevoli volte ai giocatori la possibilità di costruire un mazzo, non sarà venuto il momento di farglielo invece truccare? Il gameplay di Card Shark è talmente incentrato su questo aspetto che, di fatto, non si gioca nemmeno a carte—dovremo invece cercare di favorire in ogni modo il nostro mentore e complice, il Conte di Saint-Germain, un personaggio storico realmente esistito—e non si sa bene nemmeno quale sia il gioco giocato—probabilmente il poker, ma non viene mai esplicitato.
Ci troviamo dunque nei panni dell’assistente di un baro professionista, e ci toccherà fare tutto il lavoro sporco: sbirciare le carte degli avversari mentre si fa finta di versargli da bere, poi comunicare quali carte hanno in mano usando codici concordati—ad esempio strofinando uno straccio sul tavolo in senso orario per indicare un seme, in senso antiorario per indicarne un altro; oppure raccogliere il mazzo e far credere di mischiarlo, avendo invece l’accortezza di ordinare e posizionare le carte più alte affinché le riceva il nostro complice quando verranno distribuite. Ne risulta un gameplay un po’ frammentato, composto da mini-giochi che impegnano sia i riflessi sia la memoria, ma a sorprendere è in particolare il modo in cui ogni componente del game design va a integrarsi alla perfezione con il tema del gioco.
Prendiamo ad esempio il tutorial: manipolare un mazzo per falsare una partita a carte non è molto diverso dal farlo per eseguire un trucco di magia. In entrambi i casi bisogna avere la dimestichezza necessaria a fare in modo che nessuno si accorga di nulla, anche se si hanno molti occhi puntati addosso. Più che naturale, quindi ripassare ogni passaggio in carrozza, mentre ci si sta recando sul luogo della prossima truffa. Ciò non solo integra la fase del tutorial all’interno del tema e della trama del gioco, ma le trova una collocazione naturale alla quale il giocatore potrà accedere più volte, se desidera—e verosimilmente lo farà: è difficile ricordarsi tutte le tecniche e i segni convenuti.
Un altro esempio è la calibrazione della difficoltà: una volta imparato a truccare il mazzo, una volta memorizzati tutti i modi per comunicare con il nostro complice, cosa resta a impedirci di truffare chiunque? Il tempo—ma anche in questo caso fa parte del tema del gioco: la barra che minaccia di esaurirsi rappresenta il livello di sospetto delle vittime della truffa, e in effetti ha totalmente senso che più secondi passiamo ad armeggiare con le carte, e più accumuliamo vittorie in successione, più aumenteranno i dubbi sull’onestà del nostro operato. Si capisce bene come in questo modo Card Shark sia capace di acquisire un livello di tensione notevole, restituendo il brivido del gioco d’azzardo.
Pensare che si giochi d’azzardo per vincere è riduttivo: a catturare davvero è il suo potere trasformativo. Mi siedo a quel tavolo e quando mi alzerò tutto sarà cambiato: sarò ricco oppure sarò rovinato, ma alla fine mi troverò comunque in una condizione diversa rispetto a quella iniziale. Il gioco d’azzardo è forse per accelerazionisti, sicuramente per amanti della velocità: cambiamenti, trasformazioni che richiederebbero mesi o anni si realizzano in poche ore; e quando la posta in gioco è così alta, la tentazione di barare può risultare irresistibile. Al netto di ogni morale—va ricordata comunque la presenza di altri—truccare una partita vuole dire ribellarsi al caso, sfidare il disordine del mondo.
Se l’ultima, l’ultimissima forma di controllo di cui disponiamo rispetto al fato è il suicidio (si ricorderanno le parole di Giulietta nel terzo atto del celebre dramma di Shakespeare: «Mi rimane il potere di morire»), la penultima è senz’altro il trucco. In Card Shark, però, si può perdere perdere la vita quando una truffa finisce male (dipende dalla modalità di gioco scelta in avvio), e in qualche modo il cerchio della sfida al destino così si chiude—e nel migliore dei modi: prima che la morte sia definitiva, si può provare a ingannare anche lei. Se il tema lavora così bene con il gameplay, la stessa cosa non si può dire dell’ambientazione, che mescola pregi e difetti.
Partiamo da questi ultimi: il nostro viaggio picaresco da una truffa all’altra si svolge infatti nella Francia del XVIII secolo, e Card Shark ricorre alla soluzione più pigra e meno efficace per calarci in quell’epoca: la carrellata dei personaggi famosi. Non passano che pochi minuti di gioco e già abbiamo l’occasione di incontrare (e truffare) due figure iconiche come Voltaire e Rousseau, e più avanti faremo la conoscenza anche di Madame de Pompadour e dell’immancabile Casanova; ma, come faceva notare Mark Fisher sul suo blog K-Punk, “l’icona è l’esatto opposto della madeleine, il nome che rimanda a Hitchcock e Proust utilizzato dal regista Chris Marker per quei meccanismi totemici che vi trasportano di colpo nel passato. Il fatto è che la madeleine può svolgere questa funzione di farvi viaggiare nel tempo soltanto perché è sfuggita alla museificazione e alla memorializzazione, perché nessuno l’ha mai fotografata e perché è rimasta dimenticata in un angolo”.
Ecco, giocando a Card Shark, più che di vivere nel Settecento francese sembra di visitare una mostra dedicata a quel secolo. A tale impressione contribuisce oltretutto lo stile grafico, che però rientra senz’altro tra i pregi di questo titolo, ispirato com’è all’arte di quel periodo: «Volevo che il gioco somigliasse un po’ a un dipinto dell’epoca, ma non volevo fare semplicemente dei disegni a olio. Volevo piuttosto trovare un equilibrio più moderno, che fosse più illustrazione contemporanea ispirata alla pittura classica», ha raccontato Troshinsky ad Art of Play.
È inevitabile, allora, che tutta quella improbabile sequela di incontri con i più famosi personaggi storici dell’epoca finisca per trascinare con sé, in un complessivo effetto di museificazione, uno dei principali punti di forza di Card Shark; forse si sarebbe potuto puntare esclusivamente su un livello di immersione più indiretto come quello grafico, perché le ambientazioni, grazie alla delicata palette dei colori, alle splendide animazioni, e all’incerta illuminazione fornita dalle candele, si rivelano comunque perfette per accompagnare gli intrighi del gameplay e della storia. Fatta eccezione per i collage rinascimentali di The Procession to Calvary di Joe Richardson, e di The Frogs di Michael Wells, difficilmente vedrete un omaggio videoludico più bello all’arte del passato.