Non è possibile ignorare l’influenza dei Beatles sulla musica e sul cinema. I Fab Four sono stati responsabili di alcuni degli album più influenti di tutti i tempi, da Abbey Road a Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, e hanno recitato in diversi film importanti, tra cui A Hard Day’s Night, Yellow Submarine e Let It Be. La loro musica e i loro film hanno ispirato intere generazioni di artisti e hanno dato vita a innumerevoli libri, tutti volti a documentare il loro impatto sulla cultura pop in generale. Ma un aspetto della Beatlemania che è sempre rimasto poco esplorato è la loro influenza sui videogiochi e sui loro creatori.
Dagli autodidatti agli studi professionali, molti sviluppatori hanno reso omaggio ai Beatles nel corso dei decenni, ma gran parte di questa storia è rimasta sepolta o dimenticata. Abbiamo allora cercato di rintracciare quanti più creatori possibile per ascoltare le loro storie e cercare di documentare l’impatto che hanno avuto i Beatles sui videogiochi, come mai era stato fatto prima d’ora. Questo compito ci ha fatto tornare indietro fino alla nascita degli home computer e ai primi progetti dei fan negli anni Ottanta.
Il primo videogioco sui Beatles
Rich Levin ascoltò per la prima volta la musica dei Beatles quando si esibirono all’Ed Sullivan Show di New York, il 9 febbraio 1964. Seduto davanti a un televisore in bianco e nero nella casa della zia a Philadelphia, all’inizio non capì bene a cosa stesse assistendo. Ma dopo la fine dei 15 minuti di esibizione della band, la sua confusione si trasformò in una fascinazione per il gruppo che durò tutta la vita.
Ascoltò i loro dischi, guardò i loro film e lesse tutto quello che poteva sui Fab Four. Poi, nel 1983, creò quello che è forsee il primo videogioco sui Beatles: un quiz testuale non ufficiale chiamato Beat the Beatles per computer Atari. «Volevo un personal computer, perché ero appassionato di Pac-Man e delle sale giochi», racconta Levin. «E volevo l’Atari 800 proprio perché aveva le migliori riproduzioni dei giochi arcade. Pac-Man sembrava Pac-Man. Defender sembrava Defender. Non volevo un Atari 2600 in casa mia. Per me quelli non sono giochi per computer. Così dissi al capo di mio padre, che all’epoca possedeva un chiosco in un centro commerciale: «Se mi compri un computer, programmerò del software».
«Non gli ho detto che non avevo idea di come programmare», aggiunge. «Né che alle superiori ero stato bocciato in matematica generale, geometria e tutto il resto, tranne il corso di algebra informatica alle superiori. Non sono bravo con i numeri. Conto sulle dita delle mani. Ma volevo il computer e lui era un uomo ricco, così mi diede la sua carta American Express».
Levin si recò da Sam Goody, un negozio di musica che vendeva anche computer, e spese 2.500 dollari per un Atari 800 con 48kB di RAM, un lettore di cassette, nessun monitor e nessuna unità disco. Si buttò quindi nell’apprendimento del BASIC, utilizzando un libro intitolato Your Atari Computer di Lon Poole, Steven Cook e Martin McNiff. Sapeva di dover creare un videogioco, ma non era ancora pronto per dare a un giocatore un personaggio da controllare, così gli venne un’idea alternativa: un gioco a quiz basato sulla sua passione per i Beatles.
«Sono un grande fan dei Beatles», dice Levin. «Non passa giorno che non ascolti She Loves You, e a un volume abbastanza alto. Erano una di quelle cose che ti fanno chiedere se esiste un Dio. Perché il cosmo abbia creato questa cosa. Le stelle si sono allineate: se si segue la storia dei Beatles, ci sono così tanti punti di svolta che avrebbero potuto andare in modi diversi, ma non lo hanno fatto».
Levin ha riempito il gioco di informazioni che pensava fossero note solo ai fan più accaniti dei Beatles, tra cui domande sugli ex membri e sui luoghi visitati dalla band, ma ha anche implementato un sistema di indizi per dare un’ancora di salvezza ai giocatori in difficoltà.
Nel 1983 pubblicò il gioco finito, Beat the Beatles, con il nome di Interactive Software, raccogliendo i soldi dai clienti per posta e inviando il floppy confezionato con un eseguibile autoavviante e un manuale scritto a mano. Per la promozione, organizzò un concorso per vedere chi riusciva a battere il gioco per primo, inserì annunci di un quarto di pagina nella rivista A.N.A.L.O.G Computing e visitò convention di fan come la Beatles Fest (ora nota come The Fest for Beatles Fans), dove acquistò uno stand.
«Abbiamo fatto girare il gioco e ha creato un certo scompiglio», racconta Levin. «Ricordo che un tizio venne da me e non capì cosa fosse il gioco. Pensava che fosse un gioco d’azione—per forza, all’epoca qualsiasi titolo era uno sparatutto. Pensava che fosse un gioco tipo ‘Kill the Beatles’. Portò una versione tedesca di un album dei Beatles con la scritta ‘Die Beatles’, mettendosi a urlare. Io dissi: “Amico, no. Non si tratta affatto di questo”».
Questa spinta promozionale durò per circa un anno e il gioco divenne un’ottima fonte di denaro per il giovane sviluppatore. Gli acquirenti, per la maggior parte, sembravano soddisfatti del prodotto, ma il gioco non era privo di difetti. Conteneva errori di ortografia, alcune domande strane e una struttura lineare che ne riduceva la rigiocabilità. Ciononostante, nel 1983 fu un’esperienza unica per i fan della band.
«Un paio di anni fa ho pensato: “Chissà se esiste traccia su internet di Beat the Beatles“», racconta Levin. «Ho fatto qualche ricerca su Google e ho scoperto che alcuni ragazzi lo hanno inserito negli emulatori, perciò è ancora possibile giocarci. Quindi, potrei avere il merito di aver fatto il primo gioco sui Beatles, anche se non aveva una licenza ufficiale. Non ho nemmeno pensato di chiederla. Temevo sempre che mi avrebbero fatto chiudere con una richiesta di copyright, ma non è mai successo. Probabilmente non è mai diventato abbastanza grande o non ha fatto abbastanza soldi perché a qualcuno interessasse».
Beatle Quest e gli altri
Dopo Levin, lo sviluppatore ed editore giapponese Konami pubblicò in Europa nel 1984 il gioco arcade Mikie. Raccontava la storia di uno studente giapponese che colleziona cuori per scrivere una lettera d’amore per la sua ragazza, e fu uno dei primi videogiochi ad avere la musica dei Beatles su licenza, con versioni chiptune di canzoni come Twist and Shout e A Hard Day’s Night.
Gli sviluppatori cominciavano a rendersi conto del potenziale dei Beatles nei videogiochi e Garry Marsh, grande fan della band, non faceva eccezione. Nel 1985, ottenne la licenza dei testi del gruppo dall’editore britannico Northern Songs per il suo gioco di avventura, Beatle Quest, per Commodore 64 e ZX Spectrum. Era cresciuto in una casa con un solo genitore, ascoltando la musica del padre, come Bill Haley, Frank Sinatra, Dean Martin ed Elvis Presley. Così, quando il padre scoprì i Beatles, anche il giovane Marsh ne divenne ossessionato, collezionando cimeli e attaccando le loro foto alle pareti del salotto.
«Sono un fan dei Beatles da quando avevo nove anni», racconta Marsh. «Sono sempre stato affascinato dai testi e dalle storie che raccontano. A un certo punto, parliamo del 1974, quando ero all’università, volevo davvero scrivere un’opera teatrale basata sul White Album dei Beatles. Volevo prendere Prudence di Dear Prudence e Martha di Martha My Dear e tutti quelli che erano lì dentro e fare una commedia basata su quel doppio album. E questo tipo di pensiero stravagante ha molti punti in comune col pensiero laterale necessario per realizzare un gioco di avventura testuale».
Creata con Quill, un programma che permette agli utenti di creare avventure testuali senza bisogno di complicate operazioni di codifica, la storia di Beatle Quest si svolge nell’anno 2953 e vi vede nei panni del Custode degli Archivi, la persona incaricata di conservare le antiche conoscenze della Terra. Durante le vostre ricerche, vi imbattete nei “Quattro Re della EMI”, entrando in una simulazione della Liverpool degli anni Sessanta e iniziando un viaggio attraverso diversi luoghi ispirati ai Beatles.
Nel gioco si possono incontrare i cavalli a dondolo di Lucy in the Sky with Diamonds e visitare lo studio dentistico del dottor Robert. Marsh ha fatto in modo di inserire il maggior numero possibile di riferimenti, dando vita a un’esperienza divertente per chi è abituato a immergersi nelle note di copertina dei Beatles. E cosa ne pensavano i diretti interessati? «Ho mandato una copia a Paul McCartney e ho ricevuto una lettera che diceva che non aveva tempo di occuparsene, o cose del genere», dice Marsh. «Era una copia omaggio, ma ovviamente loro pensavano che fosse qualcos’altro. Ho anche ricevuto delle lettere minatorie dai legali di Ringo all’epoca, che mi dicevano che non potevo usare il termine ‘Beatles’ […] e che dovevo cessare e desistere, cosa che non ho fatto».
Dopo Beatle Quest, Marsh progettò di realizzare due sequel del gioco, intitolati A Day in the Life e Across the Universe, ma non furono mai realizzati. Marsh nel 1990 scrisse e pubblicò invece una biografia di Alf Bracknell, l’autista dei Beatles, intitolata appropriatamente Baby, You Can Drive My Car!
Per un po’, non sono usciti altri videogiochi sui Beatles: le nostre ricerche hanno portato alla scoperta di un solo altro titolo negli anni Ottanta, un gioco d’avventura italiano della Lindasoft, privo di licenza e intitolato I Beatles e il Papiro della Pace per computer Atari a 8 bit. Il gioco è nato da un’idea di Doriano Benaglia, fondatore di Lindasoft, con Emanuele Bergamini a occuparsi del codice e Fulvio Besana del design. Abbiamo parlato con il programmatore Emanuele Bergamini, ma purtroppo non ci ha detto molto, a parte il fatto che Benaglia era il suo capo alla Lindasoft e che era stata sua l’idea di realizzare un gioco basato sui Beatles.
Nemmeno gli anni Novanta portarono novità. C’erano alcuni omaggi occasionali ai Beatles, come in EarthBound del 1994, ma niente di sostanziale. I fan della band avrebbero dovuto aspettare fino al 2009, quando uscì The Beatles: Rock Band. Nel 2008, Harmonix, insieme a MTV Games, aveva pubblicato Rock Band per Xbox 360 e PlayStation 3. Il gioco ritmico riprendeva la formula di successo del precedente Guitar Hero di Harmonix e la estendeva ad altre aree di esecuzione, come la batteria, il basso e la voce. I giocatori ascoltavano un brano musicale e lo suonavano o cantavano, colpendo note specifiche corrispondenti a un colore o a un’intonazione illustrata sullo schermo. Il gioco è stato un altro successo per Harmonix, generando un fatturato di 600 milioni di dollari nel 2008.
Chris Foster e Sylvain Dubrofsky sono stati due dei principali designer del progetto. Per entrambi si trattò di una formazione sul catalogo dei Beatles. Foster, in particolare, aveva conosciuto solo vagamente la musica dei Beatles durante l’infanzia, e non aveva mai posseduto i loro dischi né li aveva seguiti troppo da vicino. Trovandosi improvvisamente a lavorare su questo nuovo titolo di Rock Band, si è gettato a capofitto in ricerche sui Beatles e sulla loro storia.
«Non c’è da sorprendersi se [dopo aver fatto ciò] ho amato le canzoni e la loro storia, diventando entusiasta di poter contribuire a far conoscere tutto ciò alla gente attraverso un nuovo medium», dice Foster. «Probabilmente la sorpresa più grande per me—non si tratta di un’intuizione profonda, ma di una reazione istintiva—è stata la rapidità con cui si sono evoluti. Tredici album in sette anni, conditi da innumerevoli esibizioni dal vivo e da un catalogo di materiale in continua evoluzione. Rendendomi conto della velocità con cui ciò è avvenuto, insieme alla lettura delle loro vite in quel periodo, ho rispettato profondamente il fatto che non solo si siano mantenuti uniti nell’occhio del ciclone, ma siano anche cresciuti e cambiati così tanto in quel periodo, come individui e come band».
Potreste pensare, dato il tempo relativamente breve trascorso tra il Rock Band originale e The Beatles: Rock Band, che quest’ultimo ne sia una semplice riedizione con una verniciatura di Beatles. Ma vi sbagliereste. Il gioco ha richiesto un ripensamento totale del sistema di progressione, passando dall’idea di una band in difficoltà che cerca di emergere a un approccio più incentrato sul giocatore e sulla possibilità di sbloccare saggi storici e cimeli dei Beatles. C’era anche la frustrante questione delle armonie, molto presenti nella musica dei Beatles, in cui più cantanti si esibiscono in tandem—un aspetto che Rock Band non aveva mai affrontato in modo approfondito. «Una delle sfide più grandi è stata l’aggiunta delle armonie al sistema vocale», spiega Dubrofsky. «Come si sceglie cosa cantare? Come si assegnano i punti? […] Volevamo che le persone potessero esercitarsi anche su questi aspetti. Quindi, come si suddividono le voci per fare pratica? Come far capire quali sono i toni da raggiungere?».
Gli sviluppatori hanno affrontato questi temi ma, anche dopo aver trovato gli opportuni accorgimenti, non erano ancora sicuri di come i giocatori avrebbero reagito. «Le armonie vocali sono tradizionalmente difficili da cantare e un po’ complicate», spiega Foster. «Ci siamo chiesti: “Quali tipi di giocatori la considererebbero un’esperienza divertente?”. Ma il playtesting ci ha sorpreso: con così tante voci nel mix, le persone che si sentivano meno a proprio agio sul palco potevano cantare un po’ più tranquillamente e sentirsi coperte dai suoni degli altri cantanti. Si sono create nuove opportunità per gli aspiranti cantanti, anche quelli timidi. E quando abbiamo avuto tre sconosciuti che sono venuti a provare l’intero playtest e poi hanno chiuso il set cantando The End tenendosi per mano, abbiamo capito che avevamo realizzato qualcosa di speciale».
Quando si pensa ai giochi sui Beatles, oggi The Beatles: Rock Band è forse il primo che viene in mente. A ragione: non solo ha superato ogni aspettativa di vendita, ma ha anche mostrato il potenziale di un crossover tra i Beatles e i videogiochi. Oggi rimane il gioco di maggior successo basato sui Beatles, anche perché nel frattempo non sono arrivate molte altre novità: solo un paio di romhack ed easter egg non ufficiali come Willy Meets The Beatles e Adventures in Pepperland. È difficile non considerarlo un potenziale sprecato. Dopotutto, è facile immaginare idee non ancora esplorate per giochi basati sulla mitologia dei Beatles: una storia poliziesca simile a Her Story, dove si setacciano gli album per scoprire i messaggi nascosti, oppure un’antologia di minigiochi basati su Help! o persino un gioco di strategia psichedelico ambientato all’interno del Yellow Submarine. Le possibilità non mancano davvero.