Ho giocato SIGNALIS tre volte, tutte e tre le volte con un foglio per appunti a portata di mano, e, alla fine, non ci ho capito comunque nulla della trama. È un gioco bellissimo.
Si potrebbe dire che la storia del survival horror sia iniziata con un videogioco in tre dimensioni: si tratta di Alone in The Dark, del 1992—per quanto c’è chi abbia indicato alcuni precursori. Nel capolavoro di Infogrames c’erano tutte le principali idee che Resident Evil (1996) ha trasportato con successo su PlayStation: anche Capcom aveva lavorato in 3D, o meglio con l’effetto 3D—perché il personaggio era poligonale, gli sfondi invece pre-renderizzati. SIGNALIS è un survival horror con meccaniche vecchio stampo (ho provato ripercorrere la storicizzazione del genere qui) in cui il personaggio è in tre dimensioni ma lo scenario è, per la maggior parte del tempo, pixelato.
SIGNALIS inoltre è bellissimo ma è bellissimo soprattutto perché è stilosissimo. Osservate gli screenshot raccolti in questo articolo… avete anche voi la sensazione che la scelta dei colori, l’estetica retrò, il tratto anime dei personaggi nelle cutscene, l’utilizzo degli ideogrammi, i glitch, le scanline, le VHS, i floppy disk, i vecchi modelli di CCTV e in generale il lavoro di sintesi ed astrazione basterebbero, da soli, a tenervi a bordo? Una volta che a bordo poi ci salite, del Penrose, un vascello scagliato nello spazio alla ricerca di pianeti abitabili, vorrete scendere e rannicchiarvi sotto le coperte, e quindi avrete capito che anche il survival horror funziona, seppur per ragioni che, nell’epoca d’oro del genere, non avremmo immaginato.
Significa che i jump scare sono pochi e diventano ancora meno quando ci si è abituati al grido raccapricciante che le creature emettono non appena ci vedono. Di rado faremo i conti con la mancanza di munizioni, e qualora cartucce e proiettili dovessero esaurirsi, rimarranno pur sempre oggetti curativi in abbondanza: in questo caso sarà possibile tenersi lontano dallo scontro con i nemici, assecondando meccaniche di aggiramento e fuga e curandosi nel caso di colluttazione. Quel che intendo dire è che SIGNALIS non diventa mai veramente difficile, e la sua semplicità e l’assenza di jump scare sono legate a doppio filo con un livello tutto sommato sostenibile di tensione e paura legate al gameplay.
Gli sviluppatori di rose-engine hanno però reso estremamente limitata la gestione dell’inventario, che ha sei slot a fronte di una notevole quantità di oggetti da raccogliere in fase di esplorazione. Sarà quindi necessario percorrere strade già battute fino ai bauli, elevando il rischio che i nemici, che in genere non muoiono, si rimettano in piedi per inseguirci. Il livello di difficoltà viene corretto verso l’alto anche dalla scelta di non fermare il tempo durante la comparsa delle didascalie—può quindi succedere questo—o dal puntamento lento, o ancora dagli effetti ritardati degli oggetti curativi: tutto sommato, il game over non è frequente in SIGNALIS e anzi ci si muove da una stanza all’altra fiduciosi nella propria capacità di sopravvivere.
Le scelte di gameplay piuttosto mi sembrano orientate, da una parte, al recupero di meccaniche dei survival horror usciti sulla generazione di PS1, dall’altra alla costruzione di significato. SIGNALIS è un’opera di fantascienza ambientata in un futuro distopico in cui il blocco socialista ha conquistato il sistema solare e costretto l’Impero a rifugiarsi su un solo pianeta: l’invito a non sprecare le munizioni si accompagna a un inciso che ci ricorda di non disperdere le preziose risorse della Nazione, mentre gli slot dell’inventario sono necessariamente pochi in un sistema sociale che ha equiparato a un reato la proprietà privata.
L’equivalenza comunismo=survival horror viene quindi stabilita innanzitutto pad alla mano e ritorna in sede di trama lì dove i personaggi vengono svuotati di ogni individualità e anzi ridotti a funzione, ovvero al proprio ruolo all’interno dell’organizzazione del lavoro, o addirittura prodotti in serie a partire da uno stesso cervello e gettati tra gli ingranaggi della spietata e impersonale macchina della Nazione per lubrificare, con il loro sangue, molle e ingranaggi. Poi la distopia socialista trasfigura nel sogno, che dà vita a episodi di ripetizione e reminiscenza, che culminano nel momento in cui il gioco finisce, ritorna alla schermata del titolo e ricomincia un po’ diverso dai primi minuti di gioco quando si tenta di tornare al desktop (in realtà è iniziato il capitolo successivo).
Dicevo che mi sono appuntato ogni informazione che mi sembrasse significativa, esaminando gli indizi ambientali e raccogliendo e rileggendo ogni log della stazione spaziale Sierpinski. Alla terza run il divertimento era diventato trovare i collegamenti tra uno scritto e l’altro, tra uno spiraglio di luce sugli eventi e l’altro: nonostante tutto, quando le cose hanno cominciato a ingarbugliarsi davvero, non sono più riuscito a tenere il passo, ma a questo punto il dialogo si era spostato su un piano più intuitivo e SIGNALIS mi si stava infilando sotto la pelle, tanto che ancora me lo porto addosso mentre scrivo, infatti mi sento depresso.
È qui che entra in gioco l’eccellente lavoro di design, che poi è stata la cosa che più di tutte mi ha convinto ad acquistare il gioco. Ho trovato irresistibili le immagini a corredo di recensioni ed articoli, figure staccate dagli sfondi uniformemente rossi o neri, i contrasti affilati dall’utilizzo di colori primari e il tratto anime o manga che detta uno stile che si muove tra pixel art ed estetica poligonale della quinta generazione di console. Tra i momenti più interessanti del gioco ci sono quelli in prima persona: si tratta di ricordi, ai quali abbiamo accesso toccando un oggetto o visionando una videocassetta, che stranamente hanno effetto sulla realtà, ad esempio capita di ritrovarsi nell’inventario un oggetto che è stato raccolto nel ricordo.
Il modo in cui SIGNALIS accenna a una civiltà del futuro, dalla quale siamo spazialmente lontanissimi, e alla vita nella capitale della Nazione, Heimat, è laconico ed evocativo, mescola socialismo e distopia, scienza ed esoterismo, Alien, Halo e la tecnologia degli anni Novanta. Alla coppia di sviluppatori dei tedeschi di rose-engine è bastato indovinare un paio di elementi e metterli al posto giusto: una fila di palazzoni popolari e alcune gigantesche antenne sullo sfondo sono sufficienti per suggerire quale sia l’organizzazione sociale ed economica di Heimat, il nuovo centro di potere di una civiltà interplanetaria governata da una leader donna, venerata come una divinità, e dalle sue figlie. Tutti i personaggi di SIGNALIS sono donne—tranne uno.
Con queste premesse posso gettare il blocchetto di appunti nel fuoco, anche se preferirei di no perché gli appunti li ho presi al PC e dovrei distruggere il PC senza motivo. Un po’ come Virginia, che ho analizzato qui, SIGNALIS definisce sempre più attentamente il suo tono e continua a suonare una musica alla quale è piacevole abbandonarsi anche grazie a un comparto visivo che pesca da Lovecraft, Tsutomu Nihei, Gantz, Anno, Lynch e altre cose bellissime.
Negli anni Novanta un piccolo me gioiva perché Resident Evil aveva allargato i confini del videogioco con un’esperienza horror-gore su quello che, in casa mia, era il giocattolo dei bambini. Oggi esiste SIGNALIS e io penso che abbiamo fatto infiniti passi in avanti nel frattempo, e che una roba così stilizzata e stratificata e ripiegata su se stessa manco me la potevo immaginare tre anni fa, figuriamoci ventisei.