Natura. Chi sei? che cerchi in questi luoghi dove la tua specie era incognita?
Giacomo Leopardi, Dialogo della Natura e di un Islandese
Islandese. Sono un povero Islandese, che vo fuggendo la Natura; e fuggitala quasi tutto il tempo della mia vita per cento parti della terra, la fuggo adesso per questa.
Natura. Così fugge lo scoiattolo dal serpente a sonaglio, finché gli cade in gola da se medesimo. Io sono quella che tu fuggi.
Islandese. La Natura?
Natura. Non altri.
Non riesco mai a guardare i documentari sulla natura. Mi mettono a disagio. Mi sembrano un terribile promemoria del fatto che per mare, per cielo e per terra, ogni giorno, quasi tutti gli animali sono impegnati principalmente nel provare a infliggere la morte o nel provare a mettersi il salvo. È una cosa che, come dire, impone di rivedere al ribasso le aspettative sulla vita, intesa nel senso più ampio possibile.
Se la violenza umana è carica di sovrastrutture sociali e culturali che ci permettono di immaginare un mondo con maggiori livelli di bontà, di pace o di giustizia, la violenza “pura”, primordiale, osservabile in natura ci mette di fronte a uno scenario dove non c’è via di scampo: il dominio su un branco o su un territorio, la sconfitta di un rivale per l’accoppiamento, la caccia per placare la fame e la sete secondo le gerarchie delineate dalle catene alimentari di un certo ecosistema, sono tutti dati di fatto, non si possono migliorare né peggiorare, sono semplicemente la vita così com’è.
Scandagliamo le profondità dell’universo alla ricerca di altre civiltà ma statisticamente, per quel che ne sappiamo, per quel che ci insegna la natura, le maggiori probabilità sono quelle di trovare milioni di pianeti abitati da miliardi di forme di vita extraterrestri impegnate principalmente a mangiarsi e a uccidersi, a uccidersi e a mangiarsi a vicenda, da milioni di anni per milioni di anni a venire. Ditemi voi se non sono aspettative al ribasso queste.
The Eternal Cylinder ci presenta proprio questo, un mondo alieno dove ogni essere vivente è impegnato in una disperata lotta per la sopravvivenza. Non bastassero le consuete dinamiche tra prede e predatori, c’è il cilindro menzionato nel titolo che spiana la superficie del pianeta distruggendo qualsiasi cosa incontri sulla sua strada. Il titolo sviluppato da ACE Team non brilla per originalità—per quanto abbia senso dire questo di un gioco in cui un cilindro gigante semina distruzione su scala planetaria—ma è molto originale nel modo in cui unisce in un’unica formula idee di gameplay già viste altrove.
Il giocatore si trova nei panni di simpatiche creature chiamate trebhum, che sembrano modellate su realtà e aspirazioni del genere umano: deboli ma anche dotate di grandi capacità di adattamento, inoffensive e con una dieta totalmente vegetariana. Adattarsi, per i trebhum, è facile quanto sviluppare oltre 50 mutazioni diverse, facendo proprie le caratteristiche di altre specie—praticamente Kirby, anche all’atto pratico, e cioè tramite aspirazione. Le mutazioni servono a diversi scopi: riuscendo a saltare più in alto si raggiungono zone altrimenti inaccessibili, ricoprendosi di pelliccia diventa possibile sopravvivere anche laddove il clima è più rigido, spostandosi più velocemente si può scappare più facilmente dai predatori, diventando luminescenti sarà meno complicato muoversi al buio, e così via.
Della bellezza della flora e della fauna di The Eternal Cylinder avevamo già parlato qualche tempo fa, ma non ci si può distrarre più di tanto per ammirarle: c’è troppo da fare per non restare senza cibo e acqua e per non finire in bocca a qualche predatore, secondo le meccaniche già codificate da survival naturalistici come Shelter. Infine c’è una storia da seguire, alla scoperta delle origini della propria specie, narrata dagli antenati che si incontrano in alcuni santuari pieni di puzzle a volte irritanti, a volte di pregevole fattura, a metà tra Tomb Raider e gli Zelda tridimensionali.
In tutto questo, il cilindro si rivela il vero fulcro del game design di The Eternal Cylinder: divide il mondo di gioco in livelli e in biomi diversi, detta i tempi e la direzione dell’esplorazione, restringe l’open world in porzioni di mappa dove è semplice orientarsi e trovare i luoghi d’interesse da visitare per portare avanti la narrazione, così come le risorse necessarie a tenere in vita i trebhum. Parlo di loro sempre al plurale perché, anche se il giocatore ne controlla uno alla volta, il gruppo può allargarsi, permettendo così di accumulare risorse e mutazioni in abbondanza per far fronte a ogni difficoltà.
Non sta dunque nel livello di sfida, piuttosto basso in generale e giusto un pochino più tosto nelle fasi finali, e nemmeno nella storia la vera ragion d’essere del gioco, che sembra puntare tutto sul senso di meraviglia e di scoperta, forte di un mondo da esplorare ricchissimo di dettagli e nel complesso credibile e coerente. The Eternal Cylinder, insomma, è prima di tutto un’opera in grado di offrire un’esperienza. Un’esperienza non per forza sempre piacevole, se anche voi vi trovate a disagio di fronte alla violenza della natura.
Man mano che il cilindro spingeva i miei trebhum verso zone sempre più pericolose, li ho visti morire nei modi più orrendi: sorpresi in una grotta da una creatura mai incontrata prima, e neanche troppo pericolosa col senno di poi, ma spietata nello sfruttare l’effetto sorpresa; oppure consumati a poco a poco da una pianta carnivora—e mi rendo benissimo conto che tale lentezza era funzionale al gameplay, e cioè a passare subito al controllo di un altro trebhum per liberare quello in difficoltà, ma come riuscire a farlo quando ci si trova impietriti di fronte a un orribile spettacolo di morte?
Confesso di non essere riuscito a metabolizzare e ad analizzare appieno le ragioni di queste impressioni. Posso solo fare alcune ipotesi: c’entra magari l’effetto sorpresa dovuto al design così riuscito di creature e piante totalmente aliene, assolutamente imprevedibili nel comportamento; c’entra forse anche il senso di meraviglia e di scoperta a cui accennavo prima, che amplifica la ricezione di tutto, anche degli eventi più sgradevoli; ma sospetto c’entri soprattutto quanto dicevo in apertura, ovvero la profonda naturalezza di quanto accade nel mondo creato da ACE Team.
Scriveva Jaques Derrida: «I mostri non possono essere annunciati. Non si può dire “Ecco i nostri mostri” senza farli immediatamente diventare animaletti domestici». Nei videogiochi, però, i mostri sono sempre annunciati. Sappiamo che interpreteranno una parte, e sappiamo anche quale: ci saranno nemici, si dimostreranno cattivi anziché buoni, ci daranno la caccia, ci spaventeranno e ci uccideranno un sacco di volte. È semplicemente il loro mestiere, il motivo per cui sono stati immaginati, progettati, realizzati, programmati.
Lo Xenomorfo di Alien: Isolation, ad esempio, è un mostro prima che un alieno. Le creature di The Eternal Cylinder invece sono animali prima che alieni, e non sono né buone né cattive, non sono lì per spaventare o per uccidere ma semplicemente per vivere, e per questo è così terribile vederle in azione. Ho memoria di pochissime altre situazioni videoludiche paragonabili per la naturalezza con cui vengono presentate, per come si inseriscono nel contesto del gioco, e per l’effetto che fanno: le morti estremamente brutali di Limbo, sicuramente, o l’improvviso cambio di atmosfere in Halo, quando dopo aver combattuto per un po’ contro i Covenant si incontrano per la prima volta i Flood. Tutto sommato, proprio come The Eternal Cylinder, esperienze che non ripeterei ma consiglierei comunque di fare.