Spesso un videogioco può essere ricondotto a una somma di temi e meccaniche che hanno dimostrato di funzionare bene tra loro: quanti metroidvania hanno un’ambientazione fantasy e presentano caratteristiche souls-like? Quanti cozy games sono ambientati su un’isola e hanno elementi tipici dei farming-simulator? Non sempre il ricorso a formule consolidate è un aspetto negativo: come sempre, dipende dalla misura—e dall’originalità o banalità delle associazioni, e dalla capacità di far funzionare tutto di concerto.
Quando scomponendo un videogioco si trovano tracce di grandi classici, o titoli che a prima vista avrebbero ben poco in comune, è facile anzi restare affascinati dalla visione degli sviluppatori. Essere capaci di isolare determinate idee, di reinterpretarle, di mescolarle con altre per ottenere qualcosa di unico è ormai alla base di un game design convincente; ed è quello che è avvenuto nello sviluppo di Let’s! Revolution!.
Il primo gioco che si può riconoscere nella notevole opera prima di BUCK and Antfood sono gli scacchi. L’azione di svolge su un campo suddiviso in caselle, e in ogni quadro esiste una sola condizione di vittoria, che prescinde da ogni altra situazione di gioco: la cattura del re. Il secondo gioco facilmente riconoscibile è Campo minato: il contenuto delle caselle è nascosto al giocatore, che ignora dove si nasconda il re, e quali altre insidie lo aspettino sul campo da gioco.
L’esile trama del gioco lo mette a capo di una rivoluzione, e com’è noto ci sono sempre quelli che sono più realisti del re. Abbondano allora i nemici, ma fortunatamente anche gli alleati pronti a fornire dei potenziamenti (al giusto prezzo). Per orientarsi si dovrà contare sui numeri presenti su tutte le caselle libere, che indicano il numero di tessere adiacenti in cui si trova una strada; è solo lungo quest’ultima, di cui si dovrà indovinare il percorso, che si trovano tutti gli elementi di interesse.
Queste semplici premesse aprono le porte a diversi modi di affrontare il gioco, legati all’utilizzo di diversi erori; da questo punto di vista, la varietà degli approcci ricorda Slay the Spire, in cui, cambiando di volta in volta l’intero set di carte a disposizione, a ogni personaggio corrispondeva praticamente un nuovo gioco. Rispetto al capolavoro di Megacrit qui il design aderisce ugualmente alle meccaniche roguelite ma è più casual, perché le partite sono decisamente più corte; resta tuttavia la capacità di cambiare radicalmente l’esperienza di gioco, proponendo nuove sorprendenti possibilità di interpretazione delle regole date.
Il primo eroe a disposizione, dei sei presenti, si chiama Asso ed è incline al combattimento: con lui si può puntare a esplorare completamente un quadro ed eventualmente a ripulirlo da tutti i nemici. Il secondo eroe, Ombra, già mette in campo l’approccio opposto, premiando la capacità di rivelare il contenuto di quante meno caselle possibile. Con il terzo, Oracolo, ci si concentra invece sulla composizione di ogni quadro: vanno scoperte tutte le caselle libere, ma non quelle in cui si snoda la strada.
Alle differenti meccaniche proprie di ogni eroe, che riguardano principalmente il modo in cui ci si muove all’interno dei livelli e in cui si ricaricano salute ed energia, si deve aggiungere una crescente disponibilità di abilità e potenziamenti altrettanto mirati da sbloccare; ma in ogni run si avrà la possibilità di trovarne e di utilizzarne, di fatto, solo alcuni.
Questo permette approcci strategici sempre diversi anche usando lo stesso personaggio, complice pure il modo in cui è stato studiato il comportamento dei nemici, che hanno due indicatori: uno rappresenta quante volte devono venire colpiti prima di essere eliminati; un altro è un contatore dei turni rimanenti prima del loro attacco—ed è un contatore che può essere resettato colpendoli. Non sarà raro trovarsi a dover decidere se puntare direttamente a dare la caccia al re, oppure eliminare i nemici o semplicemente rimandare i loro attacchi; o una volta trovato il re, se restare nel quadro per raccogliere bonus e potenziamenti, pena restare esposti agli attacchi dei nemici presenti, o passare subito al livello successivo, perdendosi però qualche utile upgrade; a determinare l’esito della partita sarà sempre, alla fine, la somma di tante micro-decisioni—il segreto di ogni vittoria sta nei dettagli.
Se a tutto ciò si unisce la generazione casuale dei quadri a ogni partita, si ottiene una varietà di situazioni tattiche che può ricordare Into the Breach, ma con un livello di difficoltà sensibilmente più abbordabile, almeno finché non ci si mette alla prova con le modalità NG. Come tutti i giochi citati finora, Let’s! Revolution! è uno di quei titoli con cui si possono passare centinaia di ore, o anche una vita intera.
È un traguardo abbastanza impressionante per un team alla sua prima vera opera, e va dato merito loro di aver creduto nelle potenzialità dell’idea di partenza, convincendosi durante la lavorazione della necessità di svilupparla fino in fondo. È una delle cose più interessanti raccontate da Michael Highland, direttore creativo del gioco, a Screen Rant:
Inizialmente il gioco non aveva un personaggio, per via delle dimensioni del progetto. Avevamo stabilito che il gioco doveva essere completato in un anno. E una delle regole che ci eravamo dati è stata quella di non avere avatar, perché ci siamo detti: «Se facciamo un avatar e creiamo dei personaggi, la dimensione del progetto cambia. Non possiamo farlo». Quindi ci siamo dedicati più che altro a un puro puzzle game in cui si cliccava sulle tessere e non c’era un personaggio. Poi, molto presto, ci siamo detti: «Ci vuole un altro livello di complessità per renderlo interessante». E credo che Ian abbia fatto un prototipo del tipo: «E se si rivelassero sempre delle tessere, ma lo si facesse spostando un pezzo?». E noi abbiamo pensato: «Oh, bello! E se quel pezzo avesse diverse abilità per rivelare le tessere?». Poi, molto rapidamente, la cosa si è trasformata in una valanga.
Memorabile a partire dal suo titolo un po’ sgrammaticato, con due punti esclamativi in aperto contrasto con la gentilezza dell’invito alla rivoluzione (a quanto pare, un omaggio all’ossessione tutta giapponese per l’espressione inglese “Let’s”), e molto aiutato dalla bellezza della sua coloratissima grafica, che ricorda lo stile di Adventure Time o Steven Universe, con qualche accenno pue all’estetica di Moebius, Let’s! Revolution! ha tutta l’aria del futuro classico. Da pochi giorni è disponibile anche su console (Nintendo Switch, PlayStation 5, PlayStation 4, Xbox Series X|S e Xbox One).