A Tale of Two Halves, intervista a Richard Moss

A partire dal nuovo libro di Bitmap Books sui videogiochi di calcio.

Sfogliando le pagine di A Tale of Two Halves: The History Of Football Video Games, ultima novità nel catalogo di Bitmap Books, mi sono convinto, o forse meglio mi sono reso conto, di una cosa: per i videogiochi di calcio possono esistere solo sequel, mai remake. I titoli che appartengono a questo genere videoludico sono fatto per vivere nel presente, e poi cadere nell’oblio, e prepararsi ad alimentare una malinconia; una malinconia pura, impossibile da mitigare con una sessione di retrogaming. Perché oggi sarebbe del tutto normale riprendere in mano Quake, o Dungeon Keeper, o Indiana Jones and the Fate of Atlantis, ma rimettersi a giocare FIFA ‘98 sarebbe, beh, quantomeno un’esperienza strana. Volendo usare una similitudine: i videogiochi del passato sono un po’ come quei piatti e quei bicchieri che hai, ti viene da pensare, da sempre, e li puoi tirare fuori da un mobile e ricominciare a usarli tutti i giorni senza particolari problemi; ma un videogioco di calcio del passato somiglia invece a una scatola con lettere e fotografie rimaste chiuse lì dentro per vent’anni, di fronte alle quali fai fatica a dire che quella vita e questa tua di adesso siano proprio la stessa.

È come se si fosse verificata una rottura nel continuum temporale, è come se quel filo che ancora ti lega a tante cose del passato si fosse selettivamente spezzato. Forse è l’effetto di tutti quei calciatori ormai ritirati, trasformati in dirigenti o in allenatori o in commentatori, o del tutto spariti dalla circolazione; il tempo del calcio, si sa, scorre più velocemente di quello normale. Forse è qualcosa d’altro, riconducibile più a sensazioni che a dati di fatto, ma una cosa è sicura: i videogiochi di calcio del passato restano oggetti molto strani. Sai di aver passato decine, centinaia, forse migliaia di ore su una caotica e creativa riproduzione del tuo sport preferito come Sensible Soccer, o su un gestionale come quel PC Calcio che potevi trovare direttamente in edicola, ma oggi con quale spirito potresti mai tornare su quei titoli? O per realizzare un’impresa, per affrontare l’assurdo, come fanno i ragazzi che stanno vivendo il 3000 all’interno di Premier Manager 99, o per motivi di studio, catalogazione e preservazione; è questo il caso di Richard Moss—già autore del libro Shareware Heroes, del quale avevamo proposto un estratto su queste stesse pagine—che si è assunto il compito di curare il volume di cui parliamo qui. L’ho raggiunto per fargli alcune domande.

Come nasce l’idea di questo libro? Che rapporto hai con il calcio?

Ho sempre amato il calcio, fin da quando ero bambino. Mio padre, un fanatico del calcio, mi ha insegnato a giocare e mi ha mostrato la bellezza e la genialità di questo sport. Così sono cresciuto circondato dal calcio: giocando, guardando, simulando, pensando e parlando di calcio ogni giorno. Tenevo persino dei quaderni con le statistiche della mia squadra nei salvataggi di Premier Manager II.

Alla fine ho accantonato il sogno di diventare un calciatore professionista e ho cominciato a scrivere di videogiochi e tecnologia per vivere. Ho trascorso un decennio lavorando come scrittore freelance, durante il quale ho scritto il mio primo libro, The Secret History of Mac Gaming. Ed è proprio questo il filo conduttore: quando quel libro è andato fuori catalogo, ho fatto un accordo con Bitmap Books per la pubblicazione di un’edizione ampliata, e una volta uscito abbiamo iniziato a parlare di collaborare a un nuovo progetto editoriale.

Avevo scritto diversi articoli per Ars Technica sulla storia/evoluzione di vari generi di giochi (per esempio, sparatutto in prima persona, strategia in tempo reale, city builder, persino kart racer), e sapevo che Bitmap Books aveva avuto molto successo negli ultimi anni con libri d’arte e coffee table book incentrati sui generi, così ho proposto tre diverse idee. Una di queste riguardava il mio genere di giochi preferito di sempre: il calcio. L’amministratore delegato e direttore creativo di Bitmap Books, Sam Dyer, è un grande appassionato di calcio e ha subito detto che avrebbe preferito fare quello. Poi, nei mesi successivi, abbiamo parlato di come affrontare il progetto e abbiamo elaborato una struttura di massima, e poco più di due anni dopo eccoci qui.

Questa intervista mi sembra una grande occasione per sapere finalmente come nasce un libro di Bitmap Books. A Tale of Two Halves tratta più di 400 giochi: sei riuscito a recuperarli e a provarli tutti? Come hai raccolto tutte le schermate? Ti sei avvalso di emulatori, di collaboratori? Quanto tempo ci hai messo?

Risponderò prima all’ultima parte: ci siamo impegnati a realizzare l’idea alla fine del 2021, poi ho firmato il contratto nell’aprile del 2022 dopo 5-6 mesi di ricerche nel tempo libero per definire il progetto. Ho terminato la prima bozza nell’agosto del 2023 e abbiamo chiuso il testo e le immagini credo per la fine di marzo del 2024, con la copertina definitiva, il blurb e tutti gli altri piccoli ritocchi sistemati nei mesi successivi. Quindi ci sono voluti circa due anni per realizzare il libro, durante i quali io ci ho lavorato part-time insieme ad altri progetti (così come Sam Dyer, che ha svolto il ruolo di direttore artistico in questo come in tutti i libri Bitmap Books).

Per quanto riguarda il reperimento di tutti i giochi e delle schermate, si è trattato di un mix di approcci. Naturalmente possedevo già copie di alcuni titoli e ne ho acquistate molte altre su eBay. Solo una manciata di vecchi giochi di calcio è ancora in commercio e molti non solo sono fuori catalogo, ma sono anche quasi impossibili da trovare sul mercato secondario, quindi ho dovuto anche rintracciare copie pirata di molte cose, il che, in un’occasione, si è rivelato una benedizione inspettata perché mi ha permesso di assistere a una deliziosa misura di protezione del copyright. In concreto, in I Play 3-D Soccer di Simulmondo, gli sviluppatori hanno inserito nel codice una sorta di interruttore che invia casualmente il pallone in un loop infinito attraverso l’aria se rileva che si sta giocando con una copia craccata. I giocatori finiscono quindi per correre ripetutamente in fila per scrivere la parola “illegale” sul display del radar. Probabilmente non ne sarei mai venuto a conoscenza se non l’avessi scoperto di persona sulla copia craccata che ho scaricato online.

Per tutti i giochi, ho giocato con l’hardware originale se ce l’avevo e con l’emulazione in caso contrario, utilizzando le impostazioni più autentiche che potevo gestire—almeno per la prima volta in ogni gioco—in modo da poter percepire davvero i lunghi tempi di caricamento e i tediosi scambi di dischi che i giocatori dovevano sopportare sull’hardware originale. La maggior parte delle schermate è stata catturata tramite emulazione; probabilmente ne ho catturate circa due terzi da solo, mentre per il resto ci siamo fatti aiutare.

Mi piacerebbe sapere qualcosa anche sull’incredibile cura per i dettagli dei libri di Bitmap Books: qui, ad esempio, ci sono dei lacci sportivi al posto dei tradizionali segnalibri, e il codice a barre è modificato per somigliare a un gruppo di tifosi. Ci puoi dire di più su queste trovate, ne avete pensate altre che sono poi state scartate magari perché troppo costose o complicate?

Ho pensato che il codice a barre fosse ispiratissimo; in realtà non ne sapevo nulla finché non ho ricevuto la mia copia del libro. Queste idee sono venute da tutto il team, ma credo che la maggior parte delle cose siano state il risultato di Sam Dyer che mi ha mandato messaggi a caso del tipo “e se facessimo X”, oppure di me e Sam che abbiamo discusso alcune idee e tastato il terreno, poi Sam è andato avanti e ha visto se riusciva a farle funzionare. È stato un po’ faticoso arrivare alle magliette ISS/PES con i nomi iconici dei giocatori finti che si trovano in tutto il libro. Abbiamo iniziato con l’idea dei “migliori” 11 giocatori e abbiamo pensato anche a delle gallerie di maglie, poi solo quando stavamo mettendo insieme il progetto finale Sam ha proposto di commissionare dei disegni di maglie a pagina intera. Una volta che li ho visti, ho capito che dovevamo trasformarli in una sorta di divertente trivia, così ho scritto delle didascalie che davano indicazioni sul vero giocatore che si nascondeva dietro il nome falso, senza mai dire esplicitamente chi fosse. La principale idea che ricordo essere stata scartata è quella degli adesivi. Abbiamo una sezione “Leggende del gioco virtuale” che rende omaggio a diversi giocatori che sono stati fenomenali in un videogioco ma un po’ meno nella vita reale, e Sam voleva fare dei piccoli adesivi in stile Panini per loro (e forse anche per celebrare i giocatori con i nomi falsi), ma non riusciva a trovare una soluzione con un rapporto qualità-prezzo che lo soddisfacesse.

Nell’introduzione a questo pezzo ho scritto che dei giochi di calcio si possono fare solo sequel, mai remake: a distanza di anni, resta solo la nostalgia. Ci sono dei titoli a cui sei particolarmente legato, quali sono e perché?

Ci sono diversi vecchi giochi di calcio con cui ho una forte affinità personale. Championship Manager ’93 e Premier Manager II sono stati i miei primi giochi manageriali e la fonte di centinaia di ore di divertimento durante la mia giovinezza, sia quando li ho incontrati per la prima volta tra il 1994 e il 1996, sia nei primi anni 2000, quando mi sono appassionato all’emulazione. In modo simile, FIFA 96 su SNES è stato il primo gioco di calcio che ho posseduto su console e ho un bel ricordo sia delle stagioni giocate da solo che delle partite testa a testa contro mio fratello.

Ho anche molta nostalgia di ISS Pro Evolution 2 per PlayStation, perché quel gioco ha rimodellato la mia visione di ciò che i videogiochi di calcio potevano e dovevano essere. Prima di allora, avevo giocato principalmente a titoli arcade come la serie FIFA, Actua Soccer e giochi top-down come Sensible Soccer. Ma dopo aver giocato con ISS Deluxe in un emulatore e aver visto una recensione entusiastica di quello che all’epoca era l’ultimo gioco di calcio di Konami, sapevo di doverlo comprare e mi ha quasi cambiato la vita. Improvvisamente capii che i videogiochi di calcio non gestionali potevano essere più di un semplice divertimento; potevano essere gloriose interpretazioni interattive del calcio che guardiamo in TV, in cui sei tu a decidere ogni calcio della palla. Finalmente c’era un gioco di simulazione calcistica, un gioco che poteva davvero catturare la maestosità dello sport reale con l’intelligenza artificiale, passaggi di palla calibrati e un gameplay più tattico.

Nello stesso periodo ero appassionato di Championship Manager 2000/2001, che giocavo su un portatile così lento che spesso impiegava un’ora per elaborare la fine di una giornata (per passare da “sera” a “mattina”). Sono profondamente legato a quel gioco, come ad alcuni dei titoli successivi di Football Manager (in particolare Football Manager 2009), grazie alle storie che ho creato giocando, alla gloriosa prestazione con quattro gol di Juninho che ha ribaltato un deficit aggregato per portarmi in semifinale di Champions League, e l’incredibile sviluppo in superstar di livello mondiale di Simon Johnson, Jamie McMaster e Harpal Singh, ora dimenticati, o, per fare riferimento a FM2009, i sei premi di giocatore mondiale dell’anno e i record di gol di Antonio Acosta, un regen che è stato il mio giocatore principale per la maggior parte di un salvataggio lungo 25 stagioni con il Nottingham Forest.

Un altro grande gioco per me è stato Pro Evolution Soccer 5. In parte perché è senza dubbio uno dei più grandi giochi di calcio di tutti i tempi e in parte per il periodo in cui è uscito. Ho terminato il mio esame di maturità circa due settimane dopo l’uscita della versione PAL e ho trascorso la maggior parte dell’estate (vivo in Australia, quindi qui l’estate è la fine dell’anno) a giocare, per poi continuare a farlo per anni. È quanto di più vicino al gioco di calcio più perfetto che sia mai esistito per me (anche se FIFA 10 ci è andato molto vicino), con i suoi controlli raffinati, la superba sensazione del pallone e la fisica della palla, un ritmo di gioco metodico (ma non blando) e l’apprendimento costante. E la modalità Master League è abbastanza profonda da soddisfare anche il mio desiderio di gestione. È solo un peccato che gli arbitri interrompano troppo il gioco e che la telecronaca (almeno in inglese) sia mediocre. Recentemente sono passato a una patch di traduzione della versione coreana di Winning Eleven 9 Liveware Edition, che migliora la sensazione dei controlli e aumenta leggermente il ritmo, ma in realtà gioco ancora a questo gioco.

Non posso che confessare qui la mia fissazione con i regen di Football Manager, una serie che gioco principalmente proprio con l’obiettivo di arrivare a un mondo in cui non esistono più calciatori reali; e cogliere l’occasione per ricordare Kamil Kruse, micidiale punta tedesca che ha trascinato un mio Milan a vincere quattro Champions League in cinque stagioni, in Football Manager 2014 se non ricordo male. La trattazione di A Tale of Two Halves però si ferma al 2010, perché a un certo punto i giochi si sono ridotti di numero, e hanno puntato esclusivamente al realismo. Secondo te perché è successo? Si è smesso di vedere del potenziale in modalità di gameplay particolari come quelle che metti in evidenza nel libro (gli scenari di International Superstar Soccer, la storia del calcio in Viva Football, i tanti titoli che si focalizzavano sulla carriera di un singolo calciatore)?

Credo che l’aumento dei costi di sviluppo sia stato un problema importante, così come l’inerzia. Quattro franchise hanno dominato totalmente le vendite dei giochi di calcio per console nell’era PlayStaion 2/GameCube (FIFA, Pro Evolution Soccer, This is Football, LMA Manager), eppure c’era ancora più di una dozzina di giochi di calcio di altri sviluppatori su quei sistemi, fino alla fine della generazione, nel 2006, con Virtua Pro Football di SEGA, e a quel punto non c’è più stata alcuna possibilità di avere un titolo di successo perché i grandi franchise avevano un pubblico troppo consolidato dopo diversi anni di uscite annuali. Queste aziende hanno colto l’occasione perché la PlayStation 2 aveva una base installata enorme e i costi di sviluppo erano abbastanza bassi da poter coprire i costi con forse 100.000 vendite in tutto il mondo—numeri molto modesti se si pensa che nel 2005 c’erano più di 80 milioni di PlayStation 2 in tutto il mondo. Ma con la generazione PlayStation 3/Xbox 360 i costi sono aumentati notevolmente, soprattutto per i team che partivano da zero, e per altri sviluppatori la matematica ha avuto molto meno senso. Ecco perché la maggior parte dei titoli non-PES e non-FIFA del periodo 2006-10 sono stati realizzati su PC e console portatili, dove si aveva una discreta possibilità di recuperare i costi di sviluppo.

Poi il mercato dei giochi “casual” o “mid-core” o “budget” è crollato intorno al 2009-2011, quando editori come THQ e Midway, tra gli altri, hanno ceduto alla duplice pressione della crisi finanziaria globale e dell’abbondanza di shovelware su Wii e DS. Per qualche anno, quindi, ci sono state solo le grandi aziende, nessuna delle quali ha pensato che valesse la pena di affrontare il radicamento sul mercato di EA, e gli indie, che generalmente (ma non sempre, come si può vedere nel mio libro) rifuggono dai giochi sportivi.

Anche l’ultimo tassello di questo puzzle è legato al denaro. Si tratta del successo senza precedenti, sorprendente e inarrestabile della modalità Ultimate Team di EA, che per l’azienda è diventata una mucca da mungere talmente importante da prendere in ostaggio la serie, convincendo allo stesso tempo i vertici di Konami (che, a quanto ho sentito dire da alcuni sviluppatori, non si sono mai interessati ai giochi) della necessità di convertire il loro celebre franchise calcistico in un gioco free-to-play incentrato sulla monetizzazione di una modalità simile. Il potere corrompe; senza una vera concorrenza di cui preoccuparsi, questi due giganti hanno spostato le risorse dal gioco principale al metagame, con maggiori profitti ma anche a scapito di tutti gli amanti del calcio.

Perciò non credo che gli sviluppatori abbiano smesso di vedere del potenziale in modalità di gioco creative, ma solo che hanno avuto meno opportunità di svilupparle e di inventarne di nuove, ed è per questo che è così bello vedere una manciata di giochi indie come la serie New Star Soccer, Football Tactics and Glory, Rocket League, Football Drama e Behold the Kickmen che arrivano e portano idee fresche al genere dopo gli ultimi 10-15 anni di stagnazione dei tripla-A.

È vero, ma ho una visione più pessimista: ho l’impressione che nel genere dei giochi di calcio si sia ormai realizzato uno scenario in cui pochi titoli riescono tenere a distanza la concorrenza semplicemente monopolizzando il tempo a disposizione dei giocatori. Serie come FIFA o Football Manager costituiscono entrambe, praticamente, un’alternativa alla vita reale. È un po’ lo stesso risultato a cui puntano Fortnite o Minecraft, ma compiuto pienamente, almeno per quanto riguarda il genere calcistico. Che ne pensi?

Assolutamente, credo che tu abbia ragione. Se trascorri tutto il tuo tempo libero completamente immerso nel mondo di un singolo gioco, allora non hai alcun incentivo a conoscere o provare un titolo concorrente—e probabilmente non vuoi farlo a prescindere, perché a) stai già ottenendo un’esperienza soddisfacente, b) sei così immerso nel funzionamento di quel gioco che qualsiasi altra cosa ti sembrerà strana e spiazzante, e c) hai passato così tanto tempo a costruire la tua squadra o la tua carriera lì che, a causa della fallacia dei costi sommersi a cui noi esseri umani siamo così suscettibili, non puoi sopportare il pensiero di abbandonare quell’investimento di energia, tempo e cervello per qualcosa che potrebbe essere migliore. Quel gioco è abbastanza buono, ed è il diavolo che conosci, quindi lo segui—questa sembra essere la psicologia di ciò che sta accadendo, osservando come la gente parla dei recenti giochi FIFA e Football Manager. Inoltre, la serie di EA cerca di incentivare l’utente a continuare a seguirla da un anno all’altro, consentendogli di mantenere i “punti FC” dell’Ultimate Team (la valuta del gioco), il profilo del club e la rosa di partenza del gioco precedente.

Ma sarà interessante vedere cosa succederà dopo con l’uscita di UFL a dicembre, perché sembra essere la prima nuova competizione che FIFA/EAFC avrà in questo campo dai tempi della PlayStation 2 e, se guadagnerà un forte slancio e otterrà un’accoglienza positiva, allora potrebbe ridare vita al genere e conquistare una porzione della base di giocatori di FIFA/EAFC e/o eFootball.