Citadelum e le mie città

Costruire, pensare, vivere.

Se ripenso agli inizi della mia carriera videoludica, una delle immagini che mi vengono in mente è quella di un cofanetto di cartone nero e argento: la collezione FX Interactive che mio padre accettò dopo mille insistenze di comprarmi in edicola, settimanalmente con la Gazzetta dello Sport.

I tredici titoli che componevano la raccolta erano tra loro molto diversi per genere e atmosfera, costituendo per il me bambino una serie di scoperte assolute. Mi rendo conto adesso di come abbiano partecipato a formare i miei gusti: le corse automobilistiche di TOCA Race Driver mi apparivano incredibilmente noiose, mentre le truculente avventure diablo-like di Sacred esercitavano su di me un fascino enorme.

Tra tutti, però, il mio preferito era senza dubbio Imperivm – Le grandi battaglie di Roma, uno strategico in tempo reale che, come facilmente intuibile dal titolo, si proponeva l’ambizioso obiettivo di ricostruire alcuni dei momenti cruciali della storia bellica dell’antichità.

Ancor più dell’aspetto ludico in sé, di cui mi rimangono solo vaghi ricordi, a conquistarmi era lo spazio che il videogioco mi concedeva e incoraggiava a esplorare: il deserto di Zama, le foreste della Gallia, il mare di Azio… E, più di ogni altra cosa, le città che ero chiamato a difendere, e dalle cui porte marciavano gli eserciti da me assemblati. Per quanto semplici e statiche, quelle città offrivano infiniti appigli alla mia immaginazione, e infatti non avevo mai fretta di portare a termine le battaglie, preferendo costruire eserciti eccessivamente grandi al riparo delle mie mura.

Credo proprio che anche a dieci anni sarei stato entusiasta di Citadelum. Il titolo sviluppato da Abylight Barcelona è un city builder ambientato nell’antica Roma in cui si è chiamati a fondare e gestire insediamenti di complessità sempre maggiore, ottimizzandone le potenzialità abitative, produttive e militari.

Costruite di desideri e di paure

Citadelum è un gioco ragionevole, che invita a trovare i giusti equilibri. Bisogna costruire case per i nostri plebei, campi per nutrire la popolazione, miniere, depositi; ville patrizie, esattorie, arene… L’obiettivo è quello di tenere i nostri abitanti soddisfatti e al contempo imprimere la giusta crescita alla città, obbedendo nel corso della campagna agli obiettivi affidatici dalla Capitale. Più facile a dirsi che a farsi, perché questi due obiettivi possono essere a tratti antitetici, così come le necessità delle due diverse classi sociali.

Dati gli effetti negativi associati agli edifici produttivi da incastrare tra loro, l’espansione delle nostre città potrebbe finire per assomigliare molto alla risoluzione di un puzzle, apparendo a tratti leggermente inorganica, ma trovare i giusti equilibri rimane sempre soddisfacente, e con un po’ di bravura si riesconono anche a rendere le nostre città esteticamente piacevoli: cosa di fondamentale importanza, almeno per chi scrive.

Accennavo alle potenzialità militari dei nostri insediamenti. Saremo infatti chiamati a mettere insieme un esercito per difendere la nostra città, a esplorarne i dintorni e a guidare sortite contro i barbari. Rispetto all’intricatissima ragnatela di acquedotti, templi, miniere e fattorie da tessere e mantenere in equilibrio, l’aspetto bellico rimane però decisamente secondario e risulta troppo automatico, semplice e piatto, ma ho trovato comunque divertente mandare i miei soldati a seminare morte, in un tripudio di sangue e budella.

Anche il sistema di divinità, che ricorda molto quello di Faraon e della serie di Caesar, mi è parso meno incisivo rispetto ai classici di Impression Games. Costruire i templi e offrire agli dèi i giusti sacrifici è relativamente semplice e gli effetti delle loro benedizioni risultano spesso poco influenti.

Ho apprezzato però la volontà da parte degli sviluppatori di modernizzare gli schemi classici, semplificando dove necessario e puntando sulla qualità della vita del giocatore, senza per questo banalizzarne le sfide; un sentimento che permea tutto Citadelum e ne giustifica l’esistenza rispetto agli illustri predecessori, al di là dell’avanzamento tecnico-grafico: il gioco è bello da vedere, esteticamente vivace, chiaro nelle interfacce.

Ciò che non si è più

Quindi Citadelum mi è piaciuto. Ma mi sono divertito a giocarlo? Non quanto avrei voluto, credo. Il loop di gioco è piacevole, ma la campagna—che vorrebbe raccontare la storia di Roma dalla repubblica all’impero—è troppo frammentata e la narrazione che l’attraversa manca di coesione e carisma.

Credo inoltre che alcuni di quegli snellimenti che a livello razionale ho ritenuto positivi, addirittura necessari, abbiano finito per farmi sentire stranamente emarginato: l’inesauribilità delle risorse ha tolto più pathos di quanto credessi alle mie partite, e non dovermi preoccupare di dove andassero i miei omini, facilitati da aree di azione chiare e immediatamente efficaci, mi ha privato del gusto di starli a guardare. Insomma, ho gioito meno di quanto pensassi nello stare a guardare la città brulicare, espandersi, esistere e morire.

L’esperienza di gioco costruita da Abylight mi è parsa involontariamente troppo utilitaristica, proiettata verso il raggiungimento di obiettivi che perlomeno ai miei occhi lasciano il tempo che trovano. Ho costruito tante città in vita mia, dalle metropoli ultrarazionali di Simcity ai traballanti villaggi di Banished, passando per le colonie aliene ed eticamente discutibili di Rimworld; credo di essermi accorto oggi che le città videoludiche in cui mi sono divertito di più sono quelle che sono esistite per sé stesse, che finivano per raccontarsi e raccontarmi una storia.

Giocando Citadelum, guardando crescere le mie città e osservando la vita più o meno pacifica dei loro abitanti digitali, ho pensato più volte a quel cofanetto nero e argento che da anni prende polvere in garage. Dubito che Imperivm potesse essere considerato un gioco particolarmente bello anche all’epoca, e per quanto la sua traiettoria ludico-narrativa e quella di Citadelum siano spesso sovrapponibili, l’esperienza che offrono rimane diversa; il paragone è quindi ingiusto. Eppure, se ripenso a quanta futilità mi concedessero le sue città, provo una profonda gratitudine.

Si vive e si cambia, così come cambiano le nostre prospettive. Penso che la nostalgia sia un sentimento inevitabile per chi gioca da anni. Forse in questo caso la mia mente è semplicemente andata in una direzione sbagliata, ingannata da un’ambientazione a me troppo cara e da qualche suggestione bellica di troppo: Citadelum rimane un bel gioco, per quanto a tratti possa rivelarsi superficiale.

Quando ripenserò a Citadelum, lo ringrazierò per avermi posto una domanda: cosa vogliamo costruire, quando giochiamo?