L’11 febbraio avevo appuntamento per fare una risonanza magnetica all’addome. Ma prima di riuscire a prenderlo ho dovuto attendere per ore al telefono, divise in svariati tentativi mensili e rimbalzi che mi dicevano che le liste erano chiuse. Arrivato in ospedale ho aspettato il mio turno per fare l’accettazione, poi quando sono sceso nel reparto diagnostica mi sono seduto in una sala d’attesa ad aspettare di essere chiamato dall’infermiera. Sono dovuto rimanere immobile nel tubo ronzante a metà tra un modem 56k e un beat techno trance per ben 60 minuti. Uscito dall’ospedale mi sono fiondato in un bar, essendo a digiuno dalla sera prima, dove ho aspettato il mio turno per ordinare un caffè filtro e un cornetto. Mi sono seduto in un angolino e mentre attendevo che il barista facesse percolare piano piano l’acqua nella miscela di caffè appena macinato, ho tirato fuori dal mio zaino lo Steam Deck. Così, per ingannare il tempo, mi sono messo a giocare a While Waiting (Optillusion, 2025).

L’attesa è un tempo soggettivo. Basta che qualcosa ci costringa a una sosta intermedia nel corso prevedibile delle cose, e già sembriamo dei felini poco prima del pasto. Nel migliore dei casi l’attesa è tempo regalato, più spesso rubato. Ma sempre, nell’attesa il tempo stesso diventa stato d’animo.
While Waiting si gioca da solo. Essendo una riflessione sull’attesa e sulla percezione che abbiamo del passare del tempo, uno dei modi di esperirlo è proprio quello di non fare niente e semplicemente stare a guardare. Attenzione però a non confonderlo con un idle game: qui non c’è incremento, né click compulsivo. Siamo più dalle parti di The Longing (Studio Seufz, 2020), dove il protagonista Shade deve aspettare nel regno sotterraneo letteralmente 400 giorni prima che il suo vecchio e stanco re si svegli. Il conto alla rovescia va avanti anche non facendo nulla. Oppure si possono far compiere a Shade piccole task come leggere libri, disegnare, esplorare le caverne e raccogliere oggetti per decorare la sua grotta. Con The Longing, While Waiting condivide il ritmo pacato e l’eccessiva lentezza di movimento del protagonista.

Se colleghiamo la fine dell’attesa a uno scopo (prima che tu torni, avrò fatto questo e quello, avrò cambiato questo e quello), entra in gioco una componente agonistica, che ricompensa i nostri sforzi con una vittoria su noi stessi. Mentre cerchiamo di imporre al tempo la nostra personale drammaturgia, riusciamo magari persino a rallegrarci per la prevista fine dell’attesa. La vita non è spesso costruita intorno a simili autoillusioni, in cui l’arte della persuasione ci protegge contro noi stessi dal genuino horror vacui dell’attesa?
While Waiting viaggia su due binari paralleli: da una parte abbraccia l’attesa e si può non fare nulla, tanto che l’inattività viene premiata con un adesivo. Dall’altra cerca in tutti i modi di ingannarla, ludicizzandola. La gamification dell’attesa è alla base del gameplay di While Waiting, che trasforma il “tempo morto” nella maggior parte dei casi in minigiochi che spaziano da cloni di Snake e Flappy bird, a Pac-Man e Hidden Folks. Altre volte si rifà a puzzle game in stile Sokoban o Tetris. Oppure situazioni più concitate come il tiro al bersaglio che ricorda Wii Play o un endless runner ambientato però in un ufficio. Altre fasi sono più vicine ad un punta e clicca. Alcuni di questi minigiochi sono divertenti e riusciti, altri un po’ meno: snervanti, realizzati con pressappochismo, difficili da capire e manovrare. Pur se si ha a disposizione più tempo dei microgiochi della serie Warioware, non sempre è immediato riuscire a comprendere la meccanica del gioco o semplicemente lo scopo. Il più delle volte il tempo scade e l’unico adesivo che si guadagna è quello del “do nothing”. D’altronde non viene detto nulla al giocatore che, per capire cosa eventualmente fare, ha a disposizione solo la pagina di un libro dove c’è una sorta di to-do list in stile Untitled Goose Game (House House, 2019). Solo quando si soddisfa quell’azione, si guadagna l’adesivo relativo. I rimandi e le citazioni al mondo dei videogiochi sono all’ordine del giorno in While Waiting, con una varietà impressionante di situazioni surreali e comiche. Nei cento livelli che coprono tutta la vita del protagonista dalla nascita alla morte bisogna più o meno scovare 3-4 modi di ingannare il tempo per ogni livello, per cui, avete pane per i vostri denti per soddisfare e combattere l’horror vacui dell’attesa.

La modernità […] può essere descritta come processo di abbreviazione dei tempi di attesa; la tecnologia lavora all’eliminazione dei tempi e degli spazi intermedi.
Andando a scavare un po’ più a fondo e in termini meta, While Waiting può essere letto anche come parodia e critica del gamer e del gaming moderno. Utilizzando lo stesso medium il giocatore si ritrova a dover aspettare che qualcosa finisca: il tutorial, una cut scene, i titoli di coda. L’utilizzo del pulsante “avanti” o “salta” è sempre più frequente, anzi è una feature a cui gli sviluppatori non possono quasi più sottrarsi, pena recensioni negative. Se la critica nel gioco di Optillusion è velata e leggera, The Stanley Parable Ultra Deluxe (Crows Crows Crows, 2022) ci va giù pesante. Qui riporto una parte del monologo del cosiddetto “Skip Button ending”. Se non l’avete giocato smettete pure di leggere e saltate completamente il paragrafo, perché è una delle cose migliori mai scritte in un videogioco. Il narratore di fronte ad un pulsante giallo per far procedere il gioco, se la prende con i giocatori che hanno mosso delle critiche (vere) al primo The Stanley Parable (Galactic Cafe, 2013). «Sembra che questo sia ormai il mondo in cui viviamo! Sembra che siamo un popolo che vive in una tale desolazione e disagio con se stesso che il nostro intrattenimento è diventato la nostra vita! È arrivato a rappresentarci! Deve assolutamente parlare di chi siamo come persone! Perché altrimenti, senza il nostro intrattenimento, non avremmo nulla! Senza intrattenimento, saremmo costretti a guardare dentro di noi, verso la crudele desolazione che portiamo dentro.»

Con l’accelerazione dell’informazione, anche il ritmo dei nostri rapporti personali si è adeguato alla frequenza convulsa del traffico online e così, in pratica, alla simultaneità. La maggiore rapidità della comunicazione, certo, non ci ha liberati dalla pena dell’attesa, anzi, con la sincronizzazione di aspettativa e velocità di compimento, l’impazienza è aumentata.
In un’epoca in cui la tecnologia scandisce la vita di tutti, tra e-mail, notifiche, news e inviti a restare online, bisogna imparare la vera arte dell’attesa. While Waiting prova a scardinare il videogioco inteso in senso classico, fatto di reazioni immediate e precise, di mancanza di errori, di speedrun, di miglioramento costante, di logica. Percorre un terreno insidioso come quello della noia e della lentezza, che potrebbe allontanare la maggior parte dei giocatori. Dalla sua non ha neanche quella comicità sfacciata e sboccacciata di Thank Goodness You Are Here (Coal Supper, 2024). Ma una cosa la fa bene ed è provare a far accettare l’attesa come componente inevitabile della vita, non necessariamente negativa. In più evidenzia in maniera esemplare come lo scorrere del tempo sia percepito in maniera completamente diversa durante le varie fasi della vita. Se da bambini l’attesa spesso e volentieri si trasforma in gioco e viene vissuta in maniera leggera, nella vecchiaia aspettare la visita di un figlio che vive lontano può diventare fonte di sofferenza. D’altronde passiamo ineluttabilmente molto del nostro tempo ad aspettare una telefonata, una nascita, un treno che ci deve portare da qualche parte, Natale, il compleanno, il capodanno, il turno allo sportello in posta o in un ufficio, la notte dopo l’ora blu, i risultati di una risonanza magnetica. Possiamo avere la pazienza di aspettare anche in un videogame, no?
Le citazioni in corsivo sono tratte da L’arte dell’attesa di Andrea Kohler (add editore, 2022).