Raccontare un viaggio psichedelico è impossibile. Non lo dico io, ma persone molto più illuminate di me. “Come descriverlo? Il punto è precisamente che non lo si può descrivere. Che sfugge alla dittatura delle parole.” Così scrive nel suo ultimo romanzo Vanni Santoni, uno che di psichedelia se ne intende eccome. Perciò questo articolo descriverà poco le meccaniche di gioco, ancora meno i folli personaggi che popolano i suoi mondi, o l’estetica di Everhood 2. Mi concentrerò più sull’esperienza in sé e su come affrontarla nel migliore dei modi, perché ogni parola risulterebbe inefficace.
Da un po’ di tempo, anche in Italia, si parla di rinascimento psichedelico. Basta entrare in una libreria ben fornita (indipendente mi raccomando) per rendersi conto della quantità di saggi, romanzi, graphic novel e riviste dedicati a questo tema. Così su due piedi, memore delle mie letture più recenti, mi vengono in mente Come cambiare la tua mente e Piante che cambiano la mente di Michael Pollan, il piccolo saggio con il gattone sorridente in copertina di Edoardo Camurri Introduzione alla realtà, La verità su tutto di Vanni Santoni citato nell’introduzione, il coloratissimo Crawl space di quel geniaccio di Jesse Jacobs, il terzo numero della rivista COSE Spiegate bene dal titolo Le droghe, in sostanza. Ma qui su Ludica ci occupiamo di videogiochi e anche su questo versante diciamo che alcuni sviluppatori accorti non sono stati di certo a guardare.

Tra i titoli che ho giocato e che strizzano l’occhio alla nouvelle vague psichedelica mi vengono in mente Superliminal, Ultros, Spinch, Manifold Garden, e persino il famosissimo idraulico baffuto ha avuto la sua svolta “allucinata” in Super Mario Bros. Wonder. I videogiochi che ho appena suggerito però sfiorano solamente il tema della psichedelia, usandola principalmente per il suo potere evocativo, immaginifico e visivo. Esperienze estetiche a basso dosaggio, oserei definirle. Non approfondiscono le implicazioni filosofiche, teologiche, spirituali, trascendentali che gli enteogeni (neologismo che letteralmente significa “che ha Dio al suo interno”) forniscono.
Se si vuole un trip completo con disintegrazione dell’ego, del tempo e della realtà, dove l’esperienza visivo-musicale diventa una danza sinestetica, bisogna provare Everhood 2. Edoardo Camurri su Doppiozero scrive: “Come ripetevano gli antichi, la conoscenza è innanzitutto ebbrezza e follia, cioè estasi e danza, e Huxley pazientemente spiega […] che nessun essere umano è immune da questo desiderio”. Io aggiungerei anche Kurt Vonnegut che in Un uomo senza patria scrisse: “Gli uomini sono animali fatti per danzare. Quant’è bello alzarsi, uscire di casa e fare qualcosa. Siamo qui sulla Terra per andare in giro a cazzeggiare. Non date retta a chi dice altrimenti”. E allora balliamo.

L’ossatura ludica di Everhood 2 si regge su un rhythm game già consolidato e che aveva fatto la fortuna del primo capitolo, generando una quantità notevole di video “No Hit Expert Mode” su YouTube. Il nostro personaggio, un “essere di luce” senza voce, il cui colore dipende dalle risposte che abbiamo dato all’inizio del gioco, si trova in fondo allo schermo, mentre in alto il nemico di turno. Su una specie di pentagramma vengono lanciate delle mezzelune colorate che, a differenza della maggior parte dei rhythm game, bisogna evitare saltando o spostandosi di lato, pena il calo dei nostri HP.
La differenza sostanziale con Everhood (almeno nella prima parte del gioco) è che qui già da subito con la pressione di un tasto possiamo assorbire le luci colorate e con un altro rilanciarle al mittente. Più ne assorbiamo, più potente è il nostro attacco. Alcune note non possono essere proprio assorbite (nere), altre non possono essere saltate perché sono dei rettangoli alti. Ci sono tre tipi di attacchi incrementali (light, medium, heavy) che si attivano prendendo note dello stesso colore senza mai sbagliare. Con un attacco ben assestato si può eliminare il nemico con un colpo solo.

Gli elementi da RPG sono più marcati rispetto al primo Everhood. Si accumulano XP naturalmente vincendo le sfide, oppure andando a caccia di bauli rossi sparsi nei vari mondi. L’attacco può essere potenziato raccogliendo dei cristalli (power gem) e si può indossare un talismano (se ne possono trovare cinque) che oltre ad aumentare in maniera stabile alcuni attacchi può far risorgere il giocatore dopo la sconfitta.
Ma al di là dell’aspetto puramente ludico e tecnico, Everhood 2 brilla nei suoi riferimenti alla psichedelia e nella messinscena di un cast di personaggi tanto folli e sopra le righe quanto credibili e memorabili (Jung e Rasputin ma McKenna su tutti, il cui monologo sull’arte vale da solo il viaggio). Si accede ai vari mondi attraversando delle porte che non fanno parte di alcuna struttura architettonica, ma che se ne stanno da sole e autoportanti nel mezzo del nulla (ovviamente è quanto mai scontato l’omaggio a Huxley). Anche un frigorifero potrebbe essere un portale (e infatti lo è). Prendendo ad esempio il gioco filosofico The Doors Inn di Stefano Gualeni potremmo affermare che le porte in Everhood 2 sono la summa di una magic door, una glitched door e una meta-representanional door.

Everhood 2 è un rabbit hole nel quale si entra e si esce (se mai si esce) trasformati. Comincia con una serie di domande, che rompono la quarta parete, alcune anche scomode e personali (“Di cosa hai paura? Morte – Me stesso – Tutto – Niente”; oppure “Sei depresso? Si – No – Non lo so”). E finisce con una domanda. In mezzo c’è un trip musicale, visivo, esperienziale e trasformativo che non può essere raccontato. Va semplicemente vissuto. Mi sento però di dare un consiglio. Non approcciatelo in maniera leggera. Non giocatelo di giorno, magari tra una pausa e l’altra. Non bisogna avere distrazioni intorno, quindi possibilmente niente coniuge, convivente, genitori, figli, animali, ecc. Niente telefono a portata di mano e notifiche varie. Per avere un’esperienza soddisfacente bisogna fare attenzione sia al set che al setting. Il set è l’atteggiamento mentale o l’aspettativa che uno immette nell’esperienza, mentre il setting è l’ambiente in cui essa ha luogo.
Il rischio che si corre non rispettando queste regole è quello di avere un bad trip (quindi recensioni negative). Allora per arrivare preparati vi dico come l’ho fruito io: principalmente di notte a luci spente, quando tutti dormivano, steso sul divano, con un paio di cuffie e la Steam Deck OLED a dieci centimetri dagli occhi. Scrive Camurri in Introduzione alla realtà: “Nella veglia siamo come degli sbirri cocainizzati che fanno ispezioni continue nel reale, commercialisti che cercano di far tornare i conti della vita, infermieri col camice bianco e la siringa di tranquillanti in mano, soldati pronti a sparare. Nella notte ci trasformiamo invece in sorridenti disertori; lo sbirro fa una smorfia allo specchio, l’infermiere si confeziona un turbante col camice e rimane nudo con la siringa eretta come organo sessuale, il commercialista lecca i tasti di una calcolatrice gelato al sapore di merda. La notte è una benedizione”. Bisogna entrare nella realtà onirica del gioco, che da noi pretende che abbandoniamo, o perlomeno sospendiamo, lo spazio e il tempo ordinario. I colori fluo e acidi spiccano sugli sfondi neri, le distorsioni, i glitch, sparati velocissimi vicino agli occhi; la musica techno, funk, folk, metal, elettronica rimbombante nelle orecchie.

Scrive Michael Pollan: “Se, nella coscienza, ti spingi abbastanza in profondità, o abbastanza lontano, ti imbatti nel sacro. Non è qualcosa che generiamo noi: sta lì in attesa di essere scoperto”. Bisogna andare in profondità con Everhood 2, gettarsi sì nel rabbit hole, ma con consapevolezza. Prosegue Pollan: “Ho cominciato a chiedermi se quelle straordinarie molecole non siano forse sprecate nei giovani”. Per apprezzare veramente un trip bisogna arrivarci con delle abitudini mentali e dei comportamenti quotidiani consolidati. Solo così si possono sgretolare. Superato il giro di boa dei cinquanta, di consuetudini e certezze purtroppo ne ho accumulate tante, anche in ambito videoludico.
Se facciamo finta che i giochi AAA rappresentino le abitudini mentali, allora Everhood 2 è un concentrato di psilocibina, mescalina, DMT e LSD che induce un’esperienza mistica che va a rompere le consuetudini videoludiche. Certo non c’è più l’effetto sorpresa che ha avuto il primo capitolo, e comunque dentro ci si ritrovano gli elementi tipici di alcuni generi affermati e consolidati come i rhythm game e gli RPG. Ma rimane la cosa più vicina a un’esperienza psichedelica dove l’Io e il mondo cadono e il paradigma della realtà si scioglie. Un’esperienza di insormontabile valore, non solo per i videogiocatori, ma anche per artisti, intellettuali, mistici e chiunque sia interessato a esplorare i segreti dell’esistenza.