Promise Mascot Agency e la restanza

Pupazzi e mafia giapponese.

Nel 2008 ho fatto un viaggio in Giappone con mio fratello. Siamo stati a trovare una coppia di nostri amici che si erano trasferiti a Tokyo per lavoro (tutt’ora sono lì e non hanno nessuna intenzione di tornare in Italia, vero Matteo e Sabina?) che ci hanno fatto da guida e ospitato nel loro appartamento per qualche giorno. Poi con un costosissimo quanto efficacissimo e puntualissimo JR Pass siamo partiti verso sud alla scoperta del Giappone meno battuto. Avevamo solo un piccolo dizionario italiano-giapponese in mano (oggi sarebbe molto più facile eh) e con quello e solo quello abbiamo prenotato hotel e ryokan, visitato musei, templi, fatto bagni negli onsen, mangiato sushi, udon, ramen, yakitori, onigiri, bento in treno, di tutto di più. Ci siamo spinti fino nel Kyushu, l’isola principale più a sud ovest del Giappone. È proprio nel Kyushu, a più di mille chilometri di distanza da Tokyo, che è ambientato Promise Mascot Agency (PMA da ora in poi) e precisamente nella cittadina fittizia di Kaso-Machi.

Peccato che Kaso-Machi è un paese svuotato, abbandonato, spolpato, in pieno declino, decadente, dove un sindaco corrotto e indolente ha prosciugato tutti i fondi destinati al paese, su cui grava peraltro una grossa maledizione. La stazione dei treni è chiusa, le terme altrettanto, il porto è vuoto, non ci sono negozi, sacchi di immondizia sparsi ovunque, i vari templi dell’isola sono usati quasi come discariche. Quando arrivo a bordo del mio furgoncino scassato a Kaso Machi, ad accogliermi, nel bel mezzo di un lago, c’è la statua gigante di un tanuki. Ma questa è solo la stranezza più piccola. D’altronde cosa potevo aspettarmi dallo studio inglese Kaizen Game Works, che con il loro titolo d’esordio Paradise Killer (un mix di open world, investigazione, personaggi weird e stravaganti, estetica vaporwave, una colonna sonora che ancora risuona nelle mie orecchie) erano riusciti a guadagnarsi il mio personalissimo GOTY 2020?

Promise Mascot Agency (Kaizen Game Works, 2025)

La prima tappa del mio lungo peregrinare in questa isola è un ex love hotel, anch’esso caduto in disgrazia, e gestito da una mascotte di nome Pinky☆ (sì con la stellina!). La simpatica ma anche un po’ psicopatica Pinky☆ è un mignolo reciso con due occhioni azzurri e mi spiega perché sono finito lì e cosa mi aspetta. Piccolo flashback: uno scambio di soldi per un accordo tra due organizzazioni criminali finisce male. Michizane Sugawara, detto anche “The janitor” tanto che se ne va in giro con una scopa, è il braccio destro della matriarca Shimazu, a capo dell’omonima famiglia Yakuza. Michi viene esiliato a Kaso-Machi per occuparsi di un’agenzia di mascotte e guadagnare 12.000.000.000 di yen per ripagare il debito dei soldi persi nello scambio ed evitare così la morte della matriarca. Ora, come si fa a gestire un’agenzia di mascotte? Ma soprattutto, cosa sono queste mascotte?

Le yuru-kyara sono personaggi solitamente morbidi, teneri e pelosi che rappresentano città, aziende, prodotti, eventi, ristoranti e molto altro. Il loro scopo è di pura promozione e marketing, ma in Giappone hanno avuto un successo particolarmente grande, tanto da generare la creazione di linee di abbigliamento, giocattoli e una moltitudine di accessori, come portachiavi e articoli di cancelleria, marchiati con l’immagine delle mascotte. Un esempio lampante è il merchandise relativo a Kumamon (un orso nero dalle guance rosse creato dal governo della prefettura di Kumamoto) e che ha avuto la maggiore ripercussione economica per il paese. Nella sola prima metà del 2012 ha raccolto 11,8 miliardi di yen, guarda caso più o meno la stessa cifra che serve a Michi. Questo significa che gestendo bene l’agenzia di mascotte, Michi non avrebbe problemi a ripagare il debito, vista la quantità di soldi che girano intorno al business delle yuru-kyara. Le mascotte in PMA vivono fianco a fianco con gli umani e da loro hanno ereditato anche i sentimenti, i problemi e la paura esistenziale di un aldilà oltre la nostra comprensione. La prima che incontriamo e che entrerà a far parte della nostra agenzia è un blocco di tofu morbido piagnucolante!

Promise Mascot Agency (Kaizen Game Works, 2025)

A livello di gameplay PMA è fondamentalmente un open world, con elementi da visual novel e management sim. Il compito principale è quello di arruolare nuove mascotte, fargli un’offerta economica, mandarle a presenziare eventi, non prima di aver trovato le attività interessate ai nostri servizi (solitamente negozi e ristoranti che vogliono riaprire). Prima di affidare il lavoro alle nostre mascotte, possiamo dargli un aiutino, sotto forma di bibite e cibo che possiamo acquistare nelle varie vending machine sparse per tutta l’isola (anche nei posti più insoliti, ma è proprio così in Giappone visto che nel 2000 se ne trovavano 5,6 milioni, una ogni 23 abitanti). Una volta sul posto la nostra mascotte comincia a lavorare, ma a volte le cose possono andare male.

Tra porte troppo strette, palchi traballanti, importunatori sia animali che umani, registratori di cassa impazziti, dobbiamo mandare qualcuno ad aiutarle. Qui entra in gioco un’altra meccanica che pesca a piene mani dai card game. Durante le nostre peregrinazioni infatti possiamo chiedere alle persone che incontriamo se vogliono diventare delle “hero card”, carte con varie caratteristiche numeriche, che possono aiutare le mascotte a superare l’ostacolo di turno. Oltre alla gestione delle yuru-kyara (ce ne sono alcune più adatte di altre per ogni incarico e dopo aver lavorato hanno bisogno di riposarsi, perché il loro indicatore di stamina scende), si aggiungeranno col progredire, altri modi di raccimolare soldi. Tipo vendere i gadget delle mascotte ai vari negozi di Kaso-Machi, non prima di averli presi da alcuni ufo-catcher giganti sparsi nell’isola. Oppure trovare e mandare altre mascotte a lavorare nelle città limitrofe, garantendosi così delle entrate fisse a fine giornata.

Promise Mascot Agency (Kaizen Game Works, 2025)

Il fascino del japonisme sembra non conoscere crisi, non solo in ambito otaku, quindi manga, anime, visual novel e videogiochi, statuette in vinile ecc. L’influenza del Giappone, anche nel nostro paese, è talmente vasta che è uscito da poco un saggio dal titolo Yakuza Blues. Vita e morte nella mafia giapponese di Martina Baradel, italiana, criminologa dell’università di Oxford, considerata una dei maggiori esperti mondiali di yakuza. In un articolo su Il Venerdì di Repubblica scrive il giornalista Gianluca Modolo: “il libro narra di complesse cerimonie di affiliazione, di rituali di amputazione delle dita per chi sbaglia e deve chiedere scusa, di scontri tra clan, di violenza, di come la Yakuza sia legata alla società: tutta la società, non solo quella parte che popola le notti tra un hostess bar e un casinò illegale”. Praticamente la trama di PMA, che si basa sulle dinamiche tipiche della mafia giapponese.

Ho passato una trentina di ore sull’isola di Kaso-Machi e, devo essere sincero, ho avuto difficoltà a lasciarla. Ho conosciuto tutti i suoi abitanti, ho trovato tutte le mascotte e riaperto e rinnovato tutti i luoghi principali, compresi gli uffici dell’agenzia. Ho ripulito tutti i templi. Ho ammirato tantissime albe e meravigliosi tramonti. Ho sbloccato tutti gli achievement (non lo faccio per nessun gioco, credo questo sia il primo). Ho trovato tutti gli upgrade per il mio furgoncino. Ho trovato e potenziato al massimo tutte le Hero Card. Ho simpatizzato di più con alcune mascotte di altre, infatti si può far crescere la loro life satisfaction passando del tempo in loro compagnia, aiutandole così a realizzare i loro desideri e aspirazioni. Insomma PMA mi ha stregato, è talmente denso di attività che mi ha quasi sopraffatto dalle cose da fare, ma una volta finite le fetch quest, sono voluto restare ancora qualche ora solo per il gusto di gironzolare per l’isola e godere del bellissimo paesaggio al tramonto ascoltando l’eterogenea e superba soundtrack.

Promise Mascot Agency (Kaizen Game Works, 2025)

Ma la di là della parte ludica, quella che ricorderò nel tempo e che ha risuonato particolarmente con me, è la parabola di Michi e il destino di Kaso-Machi. Scrive Vito Teti ne La restanza [Einaudi 2022]: “Calamità, catastrofi, terremoti, mutamenti climatici lenti o improvvisi, frane, alluvioni, fame, invasioni, incendi hanno provocato grandi spostamenti di popolazioni, flussi adirezionali di intere comunità, di paesi crollati su se stessi. Anche queste diaspore, ricorrenti in tutti i periodi storici, sono attraversate da una dialettica irrisolta: restare o migrare, continuare a vivere nel luogo abitato o partire, ricostruire in loco o altrove […] ?”. Pur se costretto all’esilio a Kaso-Machi, Michi non si è tirato indietro e, aiutato da Pinky☆ e le sue mascotte, ma anche da tanti altri abitanti di Kaso-Machi che hanno deciso di restare e non arrendersi allo spopolamento, è riuscito a ridare splendore ad un paese altrimenti destinato a morire. Kaso-Machi è in Giappone ma potrebbe benissimo essere una cittadina inglese che basava l’economia sul carbone, uno dei tanti borghi irpini di cui parla il paesologo Franco Armini, o uno dei paeselli nel cratere sismico tra le Marche, l’Umbria e l’Abruzzo. Continua Teti: “la riflessione […] racchiude il paradosso che i luoghi dell’interno, i paesi nostri dell’Appennino, e i piccoli paesi di tutto il mondo, conoscono: l’indifferenza per il loro destino o per la loro morte unita ad una nuova metafisica del luogo. Occorre opporsi a questa prospettiva che coglie i luoghi in una sorta di storica immobilità”.

Io, come Michi, ho deciso di restare a ridosso dell’Appennino marchigiano in un paese di 300 persone, dove ho aperto un locale in barba a qualsiasi business plan e all’immobilità. E poi anche io ho una mascotte. È un picchio antropomorfo, che ho fatto disegnare a matita da un bravissimo illustratore, che se ne sta seduto su un tronco d’albero a fumare la pipa mentre ammira il panorama con i monti sullo sfondo. Non sarà estremamente kawaii, bizzarra, esotica e senziente come le mascotte di PMA, ma insieme al mio picchio lotto e continuo a lottare come Michi e Pinky per la restanza perché “riabitare significa ricostruire comunità, creare le condizioni essenziali per consentire di rimanere a chi vuole restare, per favorire il ritorno di chi vuole tornare”.