Quarantacinque anni fa J.J. Abrams, il creatore di Lost, era un piccolo newyorchese appassionato di magia. Si recò da Tannen’s Magic, un negozio di Manhattan, e con quindici dollari generosamente elargiti dai genitori si portò a casa una Magic Mistery Box: uno scatolone, con un bel punto interrogativo disegnato sopra, che a detta del negoziante poteva contenere cianfrusaglie di poco conto oppure articoli fino a un valore di cinquanta dollari. Ad oggi, J. J. Abrams non ha ancora aperto la scatola. “Finché è chiusa, rappresenta possibilità infinite”, ha raccontato in una conferenza. “Rappresenta speranza e potenziale”. Il negozio di Tannen’s Magic è ancora in attività e la scatola è ancora in catalogo, anche se adesso bisogna sborsare venticinque dollari per acquistarla. Per un compratore dotato della pazienza di Abrams, che preferisce i what if alla verità svelata, il suo contenuto risiede su un piano di esistenza ambiguo, come il gatto di Schrödinger.
J. J. Abrams ha integrato questo concetto nel suo modo di fare scrittura creativa, che sia per la televisione, per il cinema o per qualsiasi altro medium. “Cosa sono le storie, se non scatole misteriose? Ed esisterà mai una scatola più misteriosa di un cinema? Entri in sala, sei così emozionato all’idea di assistere allo spettacolo che il momento in cui le luci si spengono, spesso, è la parte migliore”.
Una storia come quella di Lost è tutta fondata sull’aspettativa dello spettatore. Un labirinto di suggestioni, sospetti, linee narrative che si intersecano. Una tensione che non necessariamente scioglie i propri nodi, ma che anzi tende a scemare man mano che ci si avvicina alla conclusione, come nel criticato finale di Lost: ma sono critiche di cui Abrams non ha paura, perché sa che più aspetti ad aprire quella scatola, più rimarrai deluso dal contenuto. L’ideale è che possa rimanere chiusa per sempre, e nel frattempo comprarne una nuova.
Il concetto è applicabile a qualsiasi medium, dicevamo, e i videogiochi hanno il lusso di poterlo affrontare coi loro peculiari strumenti interattivi. A differenza dello spettatore di Lost, impotente sulla poltrona, il giocatore può decidere di aprirla con le proprie mani, quella scatola. Ma sarà la scelta migliore? Chiedete agli sviluppatori di Tibia.
Ignoriamo per un attimo il titolo bizzarro e concentriamoci sul fatto che Tibia è un MMORPG tra i più longevi in circolazione, pubblicato nel 1997 e tutt’ora frequentato da un manipolo di affezionatissimi. Aspetto grafico e gameplay sono ancora quelli spartani dell’epoca, ragione per cui Tibia si è guadagnato la propria fetta di popolarità in paesi che nel primo decennio del 2000 non avevano accesso alle connessioni internet più prestanti. Col progresso digitale la base di utenti si è ridotta ma ci sono due sacche che resistono: in Brasile e in Polonia, per qualche singolare ragione. Agli occhi degli appassionati duri e puri, Tibia ha un pregio invidiabile. Mentre i MMORPG di maggiore successo seguivano la scia di World of Warcraft e diventavano sempre più patinati, votati a un’esperienza di gioco meno competitiva, Tibia restava quel regno dove tutto era permesso, e dove a grandi possibilità equivalevano grandi rischi. Il player killing è pressoché sdoganato, e quando un personaggio muore il giocatore perde tutti i progressi recenti—il bottino di giorni interi passati a livellare.
Per mantenere vivo l’interesse della community gli sviluppatori della CipSoft hanno inserito nel gioco diverse scatole misteriose, in osservanza di quanto citato da J.J. Abrams, che hanno generato pagine e pagine di speculazioni. In certi casi, sospettano alcuni, la CipSoft avrebbe lavorato in combutta coi giocatori per alimentare il mistero, da cui la leggenda dell’utente Mulf che avrebbe messo le mani su oggetti all’apparenza introvabili scatenando un folle inseguimento tra gli avversari più competitivi. Tra gli esempi più brillanti c’è la chiave magica di Chayenne, che risolvendo un tortuoso enigma garantisce l’accesso a un reame segreto, oppure una quest come quella della Paradox Tower: lunghissima, irritante e colma di indovinelli per accontentare i capricci di uno stregone folle. C’è una scatola che rimane chiusa, quella della Serpentine Tower, e chi ci prova dal 2004 è convinto che non esista soluzione: un vampiro, un behemoth e un elementale del fuoco sono intrappolati in un laboratorio su quattro piani, le cui stanze custodiscono oggetti bizzarri, rarissimi e tuttavia irraggiungibili. Fino a pochi mesi fa il mistero più allettante era rappresentato, con ottima simbologia, da una semplice porta chiusa. Qualcuno l’ha aperta, ma resta da chiedersi se qualcosa sia ancora nascosto lì dentro.
Sparse per la mappa di Tibia ci sono numerose gates of expertise, che avvisano il giocatore con una scritta verde: “only the worthy may pass”. La discriminante per essere degni è il livello del personaggio. Nel 2009 Cipsoft introduce una di queste porte nella regione di Banuta, il cui livello richiesto è 999. Una follia, tant’è vero che sfruttando un bug del server di prova un giocatore forzò l’accesso e non trovò nulla oltre la soglia. Anche gli sviluppatori, più tardi, lo ammisero. La porta di livello 999 era solo un’esca, un espediente narrativo, ma nel 2016 furono costretti a implementare nel codice un collegamento oltre quel varco, perché qualcuno aveva preso la sfida sul serio. Facciamo due conti per comprendere la proporzione dell’impresa. Per passare dal livello 19 al livello 20 occorrono 15.400 punti esperienza, e il massimo che si può ottenere da un nemico, un boss di alto livello, ammonta a 35.000. Dal 49 al 50 ci sono 112.900 punti di differenza. Da lì si aumenta in maniera esponenziale. Per passare dal livello 998 al 999 servono gli stessi punti esperienza che separano il livello 1 dal 145: 15.694.800. Per intenderci, molti giocatori di Tibia stazionano intorno al livello 100 per gran parte della loro esperienza. Oltre quella soglia salire di livello è un’operazione snervante, un farming tremendamente ripetitivo e soprattutto rischioso, se consideriamo la natura severa del gioco. Un solo errore, o magari un giocatore che ti ha preso di mira, può costarti la vita azzerando migliaia di punti esperienza.
È quanto accaduto a Kharsek, che tuttavia ha perseverato fino a raggiungere il livello 999, nel 2016. Di lui sappiamo poco, salvo che è brasiliano e che ha trascorso un insensato numero di ore su Tibia (oltre 12 al giorno, oltre 300 al mese) impegnato a livellare nei suoi farming spot preferiti. Considerata la rapidità dei suoi progressi in molti sono convinti che l’account venga gestito da più persone, almeno tre, coi più informati che avrebbero persino reperito i nomi. L’ostilità nei suoi confronti si tradusse in autentiche spedizioni punitive, volte a ostacolargli la marcia verso il 999. Ne scaturì una guerra: da una parte le bande rivali che lo seguono e lo attaccano, dall’altra Kharsek che abbatte un mostro dietro l’altro mentre i suoi tirapiedi lo proteggono dai player killers. Mathias Bynens, creatore del blog TibiaMaps e membro tra i più attivi della comunità, ha seguito da vicino la vicenda e l’ha descritta così: “Alcuni gruppi preparavano imboscate nelle aree di caccia di Kharsek e uccidevano più creature possibili, solo per ridurre il suo rapporto punti esperienza/ore. In altre occasioni attiravano orde di nemici potenti sui guaritori di Kharsek, obbligandoli a scappare o morire e lasciando Kharsek senza supporto, una situazione difficile anche per uno al suo livello”.
Il mistero s’infittisce, e chi sostiene che Kharsek agisca sotto protezione della CipSoft trova pane per i suoi denti, quando infine il giocatore raggiunge l’obiettivo e varca la porta, in diretta streaming su Twitch. La trasmissione s’interrompe sul più bello e Kharsek scompare dai radar per alcuni giorni. Quando torna a farsi vedere, ha ormai sfondato quota 1000 e continua a livellare come se niente fosse (mentre scriviamo ha toccato il 1164, superato però da Lyh al 1667). Non rivelerà mai a nessuno cosa ha trovato dietro la porta.
La storia potrebbe terminare qui, e quella scatola chiusa col punto interrogativo stampato sopra manterrebbe inalterato il suo fascino, il suo mistero. L’attività sui forum dedicati a Tibia raggiunge picchi a cui non si assisteva da anni, tutti presi ad argomentare su quale verità nasconda Kharsek. Ma all’equazione va aggiunto un giocatore polacco, Dev Onica. Anche lui viaggia verso il livello 999 e ha promesso che svelerà a tutti il mondo dietro la porta—in cambio di qualche donazione attraverso il suo canale Twitch. La faccenda diventa grottesca e la community s’innervosisce per la venalità di Dev Onica: il suo obiettivo è fissato a 5000 dollari, per pagarsi le vacanze, ma ne raccoglie solamente cinquanta. D’altronde, per quanto i giocatori di Tibia siano un gruppo coeso, l’audience è limitata. Alla fine, dopo aver tergiversato giorni e giorni in attesa di qualche dollaro in più, Dev Onica varca la soglia. Al di là c’è un’isola, un luogo di cui si supponeva l’esistenza grazie a un attento studio delle mappe, ma su cui nessuno aveva mai poggiato piede: Schrödinger Island, è stata giustappunto battezzata. Dopo il primo impatto, l’inevitabile delusione inizia a serpeggiare. Ci sono alcuni personaggi non giocanti, un calice con un’incisione speciale per celebrare l’impresa, ma per il resto solo palme, spiaggia e mare.
Dev Onica e i suoi successori setacceranno ogni pixel dell’isola alla ricerca di un tesoro nascosto, di una nuova quest enigmatica, di un boss da sconfiggere, ma senza successo. I più sospettosi gridano al complotto, d’altronde Dev Onica è noto nella community per i suoi atteggiamenti da troll, ed è verosimile che abbia confezionato tutta la storia ad arte, magari col supporto della CipSoft. Gli sviluppatori non si sbilanciano, ma dichiarano che Dev Onica ha effettivamente varcato la soglia. Martin Eglseder, un uomo chiave del team, ha commentato la vicenda tornando su quel tema così delicato accennato da Abrams: la crudeltà del finale, la necessità di sollevare il velo. “Un segreto che esiste da così tanti anni, e che è stato alimentato da così tanti giocatori, non può essere svelato senza deludere qualcuno. Non è possibile soddisfare ogni speranza e aspettativa che i giocatori hanno legato a quell’idea. Qualsiasi cosa tu faccia, non puoi soddisfare tutti”.
Anche Mathias Bynens ammette la delusione e tra i frequentatori del subreddit dedicato al gioco il sentimento più comune è il malcontento. “Tibia è sempre stato così”, si legge. “Se non sai nulla a proposito di una quest, è perché non è esiste. Non c’è nulla di misterioso”.
Qualcun altro invece ipotizza che l’intera vicenda sia un elaborato scherzo della Cipsoft, un messaggio metanarrativo rivolto ai giocatori più competitivi: il bello non sta nella ricompensa ma nel viaggio compiuto per arrivare fin lì, e a fronte degli sforzi sovrumani per conquistare il livello 999 la meta non poteva che essere rappresentata da un’isola semideserta, dove rilassarsi e accontentarsi del risultato senza bramare nuove sfide.
Ma c’è anche il partito di quelli che vogliono credere, per dirla con X-Files. L’utente Noji suggerisce una teoria accattivante, che per ora non è stata sperimentata. L’isola di Schrödinger si troverebbe in uno stato di sovrapposizione quantistica, per tenere fede al nome, e i personaggi non giocanti sarebbero versioni alternative dello stesso giocatore, vive e morte allo stesso tempo. C’è un oggetto all’interno di Tibia che garantisce una possibilità del 50% di vivere o morire, il ring of ending. Indossandolo sull’isola tutte le possibilità dell’esistenza potrebbero dispiegarsi, oppure accartocciarsi su se stesse.
Per quanto bizzarre, teorie come questa costituiscono il cuore narrativo, che è l’entità pulsante di un videogioco nel suo aspetto più interattivo, quello della condivisione dell’esperienza. Sono anche la dimostrazione di come il nostro animo sia diviso, e il nostro istinto di giocatori ci spinga in due direzioni differenti: ci danniamo per sfondare una porta inaccessibile, ma odiamo i finali e ci innamoriamo del mistero, al punto da conservare una scatola chiusa per quarantacinque anni.