Come qualsiasi produzione culturale, i videogiochi rispecchiano le esperienze delle persone che li fanno. Alcuni sviluppatori affrontano apertamente questo aspetto, e usano i videogiochi per esaminare le loro esperienze, adattandole in modo da renderle giocabili. In Consume Me, Jenny Jiao Hsia e AP Thomson hanno transformato una serie di prototipi confessionali riguardanti i disturbi alimentari di Hsia in un gioco dall’umorismo nero sui suoi anni nelle scuole superiori. In Lieve Oma, candidato ai premi IGF, Florian Veltman porta il giocatore a fare una riflessiva passeggiata nei boschi insieme a sua nonna, e in Northbound gli sviluppatori Arno Justus e Johannes Köberle si servono di un viaggio insieme a vecchi amici per esplorare i momenti inquieti che seguono la fine degli studi universitari. Abbiamo parlato con questi e con altri game designer per vedere in che modo le loro esperienze caratterizzano i loro giochi, per capire come e perché hanno scelto di far diventare giocabili le proprie vicende personali, e quali difficoltà comporta trasformare una vita in un’opera d’arte.
Consume Me inizia in modo simile a molti giochi precedenti di Hsia: le routine quotidiane di Morning Makeup Madness e di Wobble Yoga, ma anche argomenti più seri, come nel simulatore di relazioni a distanza Chat With Me. Man mano che Consume Me diventava un progetto più ambizioso, Hsia ha chiamato a lavorare con lei AP Thomson, con il quale aveva già realizzato Beglitched, premiato all’IGF del 2006. Thomson “è arrivato, ha preso tutto il codice scadente che avevo scritto, l’ha buttato nel cestino e ha riprogrammato una buona parte del gioco da capo”. “Ho riciclato”, suggerisce Thomson. In Consume Me, i temi provenienti dall’esperienza personale sono comunicati con umorismo e attraverso un’estetica gioiosa. “Abbiamo parlato di come il più serio degli argomenti abbia spesso risvolti comici”, dice Thomson. “Una dote fondamentale, nel comunicare temi importanti, è saper trovare dell’umorismo in ciò che accade”.
Laddove Consume Me è nato da un prototipo sul rapporto di Hsia con i disordini alimentari, il nucleo personale di Lieve Oma è stato dettato a Florian Veltman da esigenze di design. Derivato da un progetto che si stava rivelando troppo impegnativo per un gruppo di suoi amici, lui è riuscito a “fare qualcosa di più piccolo e più personale”, afferma. “L’idea di farne qualcosa sul mio rapporto con mia nonna è venuto dopo, ma sapevo di volere un’esperienza di gioco che fosse ‘terapeutica’, rilassante”.
Lieve Oma è stato pubblicato nel 2016 come un’ode a sua nonna, che lui descrive come “probabilmente la persona più importante in assoluto per me”. Il giocatore raccoglie funghi tra gli alberi d’autunno in compagnia della nonna, che ascolta i suoi problemi. “La premessa è influenzata, ma non direttamente basata, da esperienze reali. “Non sono mai andato a raccogliere funghi con mia nonna, ma facevamo passeggiate insieme nei boschi. La raccolta dei funghi mi è sembrata il modo migliore per inserire il giocatore nella narrazione, dandogli un obiettivo a breve termine per proseguire nel gioco”.
Rendere il gioco più personale gli ha donato però una risonanza emotiva. “In principio il gioco doveva avere dei dialoghi ramificati, in cui il giocatore doveva in sostanza ‘sfogarsi’ riguardo varie questioni”, spiega Veltman. “Ma provando a scrivere i dialoghi in questo modo, la storia sembrava debole e poco naturale. Il semplice fatto che il giocatore sapesse di poter scegliere qualcosa di diverso faceva perdere peso alle parole della nonna”. Così ha deciso di limitare le opzioni a disposizione del giocatore, ma nel farlo ha costruito un’esperienza più coinvolgente. “Molte persone mi raccontano come questo gioco li abbia fatti pensare alla nonna o a un’altra persona che è stata loro vicino”, dice Veltman, “ed è quello che volevo ottenere”.
Un walking simulator simile, che attinge a un’esperienza personale, è Inaka Project di Inasa Fujio, in cui il giocatore si trova nei panni di un postino nella campagna giapponese. Le scelte di design di Fujio si basano sulla sua vita, compresa un’estate passata nella casa di sua nonna a Osaka. “In parte è dovuto alla mia attrazione per la quotidianità, ma si tratta anche di nascondere la mia mancanza di abilità come designer”, dice Fujio. “Ciò include il modo in cui racconto le mie storie, in cui creo i miei personaggi, o disegno la mappa. Penso che la realtà sia disegnata troppo bene per poterla mettere in un videogioco, perciò il mio compito è interpretare i miei ricordi all’interno di un medium interattivo”.
Ambientato in scenari tranquilli, Inaka Project dà al giocatore il compito di consegnare lettere, raccogliere fiori, rilassarsi guidando su lunghe strade. È ispirato da Boku no Natsuyasumi (My Summer Vacation), un gioco per PlayStation su un ragazzo che passa le vacanze insieme alla sua famiglia. “Porta verso ricordi molto nostalgici”, dice Fujio, “e spero di creare qualcosa che abbia lo stesso impatto emotivo”. La famiglia è un tema importante per Fujio, che descrive l’abitazione della nonna come “una seconda casa, piena di ricordi di infanzia che mi piacerebbe trasferire nei miei giochi”. Nel frattempo un secondo gioco, Rainy Season, pensato come un primo passo verso il completamento di Inaka Project, “è una rilassante breve storia sul passare del tempo in famiglia”.
L’attenzione che l’opera di Fujio ha ottenuto online lo ha aiutato a sostenere i costi di sviluppo tramite Patreon, anche se lui ammette di essere un po’ confuso dal suo successo. “Pensavo che i miei interessi fossero davvero di nicchia, e non ci fosse una grande richiesta di walking simulator”, dice Fujio. “Nonostante fossi convinto di questo, ho continuato a lavorarci perché era qualcosa che volevo fare per me stesso”. Anche Lieve Oma “ha avuto un’accogliuenza incredibile, che va al di là di quanto potessi sperare”, dice Veltman. Il gioco è stato accolto così bene da aiutare Veltman a essere assunto presso ustwo Games, dove ha lavorato a Monument Valley 2.
Una delle sfide ricorrenti nel creare giochi così personali è bilanciare l’autenticità con l’immersione del giocatore—una cosa su cui Fujio riflette ogni giorno. “Parte della difficoltà sta nello stabilire cosa può essere esagerato o romanticizzato e conservare comunque la sua autenticità. Per quanto io voglia realizzare una copia esatta dei miei ricordi, non sarebbe così divertente da giocare, per cui provo a trovare un modo per mantenere le cose interessanti restando fedele ai miei obiettivi”. Fujio usa il protagonista come esempio. “Avevo bisogno di qualcosa che incentivasse il giocatore all’esplorazione, e ho pensato che il postino fosse una buona idea”, spiega. “Il problema era quanta libertà lasciare al giocatore, e quanto realistico dovesse essere il gameplay del postino. Se avessi restituito in ogni dettaglio la vita lavorativa di un postino il gioco sarebbe diventato un job simulator e ci si sarebbe distratti dal vero obiettivo dell’esplorazione”.
Per gli sviluppatori di Lieve Oma e Consume Me tale sfida ha riguardato invece i dialoghi. “All’inizio è stata molto dura”, spiega Veltman a proposito della scrittura del personaggio della nonna. “Avevo l’impressione che il gioco sarebbe diventato inaccessibile”. Ma poi Veltman ha pensato che il modo in cui i giocatori mettono alla prova le restrizioni del mondo di gioco richiama quello in cui “un bambino testa i limiti imposti dagli adulti”. Questo approccio ha reso più facile la scrittura del personaggio della nonna, pensato nell’atto di “osservare il bambino correre il giro e fare tutti quei giochi che un bambino inventa durante una passeggiata all’aperto. Una volta trovata la chiave per la nonna, anche il personaggio del bambino è stato più semplice da scrivere”. Creare dialoghi convincenti era importante per Hsia e Thomson, ma trovare un equilibrio è stato difficile. “Non ho problemi a scrivere cose che mi ha detto mia madre o pensieri miei personali”, spiega Hsia. “Ma è una cosa completamente diversa immaginare cosa avrebbe potuto rispondere la madre del mio ragazzo del liceo sentendomi dire in quale college sarei voluta andare”.
È stato circa a metà del processo di sviluppo del loro progetto di laurea Northbound che Arno Justus e John Köberle hanno deciso di fare delle ansie associate alla fine dell’università il tema centrale del gioco. “Fu quando iniziai a realizzare davvero che l’università stava per finire”, dice Justus. “Inserire queste esperienze all’interno della narrazione di Northbound certamente mi ha aiutato a mettere in ordine i miei pensieri e a elaborarli”.
Northbound parla di un road trip tra vecchi amici nell’incerto periodo che segue la fine dell’università. All’interno di un pulmino, il giocatore stimola la conversazione interagendo con i personaggi e con oggetti nostalgici. La storia era ispirata alla loro situazione, ma i personaggi e i dialoghi si basavano liberamente su persone di loro conoscenza. Lo stesso road trip risente del rapporto di amore-odio che entrambi avevano nell’infanzia con i viaggi. “Anche se di certo mi piaceva il senso d’avventura, li odiavo metà del tempo, perché erano noiosi e potevano durare una vita”, dice Köberle.
Per restituire queste sensazioni Northbound incorpora una meccanica relativa alla noia, per la quale i giocatori possono esaurire tutte le opzioni a loro disposizione e devono dunque aspettare l’inizio del capitolo successivo. Il risultato è “un silenzio imbarazzante e una sottile noia”, dice Justus. “Era esattamente quello che volevamo, anche se, a ripensarci, era una scelta piuttosto rischiosa”. Tanto in Northbound quanto in Consume Me, noi giocatori entriamo in connessione con le vite dei loro creatori. Alla fine, quando gli sviluppatori sfruttano le possibilità offerte dai videogiochi per trasmettere un messaggio personale, o per affrontare un tema difficile, contribuiscono pure ad alimentare il bagaglio delle esperienze umane, facendo progredire al contempo il medium videoludico nel suo complesso.