David Szymanski ha sempre voluto fare un retro-shooter in prima persona, ma è andata a finire che l’inizio del processo di sviluppo è praticamente avvenuto per caso: Szymanski, uno sviluppatore indipendente solitario con esperienza in giochi horror narrativi e in prima persona, un giorno si è svegliato con l’idea di mettere uno shotgun nel suo progetto.
«Ho collegato quest’arma alla visuale e ho fatto in modo che si muovesse, facesse fuoco, e così via», racconta Szymanski. «Dopodiché ho pensato “Okay, tutto questo sarà accompagnato da texture in bassa risoluzione, perciò cercherò qualche immagine di catalogo in rete, ne abbasserò la qualità e otterrò quel tipo di texture“». Il risultato non era il massimo, lo ammette senza problemi, ma ne rimase comunque soddisfatto. «A quel punto mi son detto “forse è giunto il momento di realizzare il retro-shooter che ho sempre voluto fare”».
Poco più di tre anni dopo Szymanski ha pubblicato DUSK, uno shooter in prima persona ispirato a Quake che si è rivelato il miglior FPS del 2018. Con un level design pazzesco, ritmi sostenuti e una quantità di pezzi di carne, sangue e ossa sufficiente a mandare fuori di testa John Romero, DUSK ha riscosso un enorme successo. «L’accoglienza riservata a questo gioco è stata incredibile, non credevo la meritasse, né di meritarla io», dice Szymanski.
DUSK non è stato il primo retro-shooter uscito di recente, e di certo non sarà l’ultimo. Proprio come un certo altro shooter pubblicato nel 1993, infatti, è stato un gioco capace di imprimere l’idea dei retro-shooter nella coscienza collettiva, agendo un po’ come le crepe iniziali che appaiono prima di un’enorme esplosione causata da un’eccessiva pressione.
Dalla California alla Nuova Zelanda, un esercito di retro-shooter si prepara ora alla battaglia. Alcuni, come DUSK, sono opera di sviluppatori cresciuti trasformando in poltiglia rossa gli Imp di Doom e i Pig Cop di Duke Nukem 3D. Altri progetti sono stati invece portati avanti dalle stesse persone che avevano creato i classici da cui ha preso vita il genere.
«Penso che il ritorno di questi giochi sia dovuto al fatto che ci riportano alle origini dei FPS», sostiene Scott Miller, fondatore di 3D Realms, lo studio che ha sviluppato e pubblicato shooter anni Novanta come Shadow Warrior e Duke Nukem 3D. «È un nostalgico viaggio indietro nel tempo per chiunque abbia giocato agli shooter degli anni Novanta, mentre per i più giovani è come tornare alla trilogia originale di Star Wars per vedere come tutto è iniziato».
Più recentemente, 3D Realms ha pubblicato due nuovi shooter: Ion Fury, sviluppato da Voidpoint, e WRATH, sviluppato dalla stessa 3D Reams in collaborazione con KillPixel Games. Entrambi i giochi si rifanno in parte a specifici shooter degli anni Novanta: WRATH, ad esempio, è ispirato a Quake.
Ma quale approccio adottare quando si crea uno shooter che somiglia in tutto e per tutto a quelli degli anni Novanta? Ogni sviluppatore ha il suo. Per quanto riguarda Ion Fury e WRATH, entrambi i giochi sono stati sviluppati usando engine dell’epoca. Ion Fury è stato realizzato con Build, mentre alla base di WRATH c’è id Tech, lo stesso engine di Quake.
«L’idea era di restare fedeli all’era che volevamo replicare», spiega Miller. «Aveva senso per noi, come minimo, usare gli stessi famosi engine degli anni Novanta. Detto questo, entrambi sono stati modificati e aggiornati in diversi modi nel corso degli anni, con una migliore illuminazione e così via, ma conservano comunque lo stesso aspetto e le stesse atmosfere che caratterizzavano gli shooter dell’epoca. Le sensazioni sono la cosa più importante».
Si tratta di una metodologia completamente diversa rispetto a quella adottata da Szymanski, che ha realizzato DUSK con Unity 5 per poi ottenere con l’ingegneria inversa un’estetica capace di ricordare gli engine dell’era di Quake. Il processo ha richiesto parecchie ricerche e sperimentazioni. Ad esempio Szymanski ha usato la stessa limitata tavolozza di colori di Quake, e ha disegnato a mano molte delle texture per dar loro un aspetto adeguatamente grezzo. «Questo è il modo in cui si è svolta la lavorazione delle texture», dice. «Si è perfezionata rifacendole ancora e ancora».
Comunque non tutti i retro-shooter sono altrattanto interessati all’autenticità. Un progetto molto acclamato—e poco autentico—è Amid Evil, uno shooter fantasy in stile Hexen creato dallo studio neozelandese Indefatigable. «Il nome Amid Evil lo abbiamo trovato quando eravamo ancora bambini—avevamo otto oppure nove anni», dice Leon Zawada di Indefatigable. «Veniva usato in un vecchio file WAD di Doom mai venuto fuori».
Proprio come Szymanski, Zawada e il suo collaboratore Simon Rance sono degli appassionati di shooter di lunga data. Il loro retroterra come sviluppatori si trova però in giochi dallo stile più moderno, e in questo caso hanno usato Unreal Engine 4. È stata questa combinazione di passione ed esperienza a portare a Amid Evil.
«Verso la fine del 2016 facendo prove con Unreal Engine 4 abbiamo scoperto che sovrapporre mappe normali a texture non filtrate dava risultati interessanti», racconta Zawada. «Ci siamo chiesti se potesse funzionare per lo sprite di un’arma in prima persona, come in Doom. Simon ha creato un modello di prova e lo ha trasformato in uno sprite—era perfetto! Da lì abbiamo iniziato a pensare come avremmo potuto mischiare vecchie e nuove tecniche per la grafica».
Ne è venuto fuori un FPS che non somiglia a nessun altro, un ibrido tra i modelli 3D della metà degli anni Novanta e gli effetti di luce e di ombra moderni. «Amid Evil usa tutti gli strumenti di Ureal Engine 4, come physically based rendering o volumetric fog», spiega Zawada. «L’unico limite che ci siamo dati a livello estetico è stata la risoluzione delle texture e il dettaglio delle mesh, ma a parte questo non abbiamo avuto alcuna remora nell’usare tutte le potenzialità offerte dall’engine».
L’impostazione stilistica di Amid Evil potrà pure non essere fedele agli originali, ma il gioco porta con sé un’idea comune a tutti questi progetti. Anche se la nostalgia ha avuto un ruolo importante nella nascita dei retro-shooter, nessuno di essi si limita a replicare il passato. Al contrario, prendono la struttura di base e le regole dei classici, e le usano per realizzare qualcosa di nuovo e di entusiasmante.
Un buon esempio in questo senso è il level design di DUSK, che riprende concetti di cui John Romero è stato pioniere in Doom e Quake, portandoli a livelli ancora più alti, giocando con la prospettiva e con la geometria 3D in una maniera mai vista nei vecchi classici. Due passaggi salienti sono gli Escher Labs, un allucinante labirinto 3D ispirato dalla missione The Sword di Thief: The Dark Project, e The Infernal Machine, un tritacarne sotterraneo tanto rivoltante quanto ambizioso in termini spaziali.
In effetti, quando il secondo episodio di DUSK è uscito in Early Access su Steam (sia DUSK che Amid Evil emulano le pubblicazioni in stile shareware degli shooter all’inizio degli anni Novanta, come Doom), è stato così ben accolto che Szymanski iniziò a essere preoccupato del prosieguo dello sviluppo.
«Ho pensato “cosa potrei proporre dopo questo? Ho già realizzato il livello con la geometria non euclidea, ho fatto il macchinario gigantesco che trita qualsiasi cosa, e anche un tempio di metallo sospeso nel cielo, perciò cosa ci sarà nel terzo episodio?”». La risposta si è rivelata essere un grande scenario cittadino medioevale ispirato da Hexen e Dark Souls, come pure alcuni livelli che ne richiamano altri visti in precedenza, ma distorti e manipolati in modo da confondere il giocatore. «Penso che alla fine ce la siamo cavata», dice Szymanski.
Per quanto concerne 3D Realms, nonostante l’utilizzo degli engine originali degli anni Novanta, la semplice potenza dei PC moderni permette a giochi come WRATH di avere maggiori ambizioni rispetto alla ripetizione delle glorie del passato. «La velocità dei computer attuali permette livelli più grandi, più ricchi di dettagli, e sicuramente molto più pieni di nemici», dice Miller.
In ultima analisi, tuttavia, ognuno di questi retro-shooter rappresenta non tanto un ritorno al passato, quanto la continuazione di un lavoro che sembrava essere rimasto in sospeso. Tutti questi progetti in sostanza esplorano una diversa linea temporale nell’evoluzione del genere, ponendo domande come “a cosa somiglierebbero gli shooter se Call of Duty non fosse mai esistito?”, oppure “cosa sarebbe successo se il progresso delle schede grafiche si fosse fermato alla Voodoo 2?”.
È un periodo affascinante per la storia dei FPS, dal momento che si sta guardando simultaneamente al passato e al futuro per immaginare le possibili evoluzioni del genere. Quale impatto possano avere nel lungo termine questi giochi sul settore videoludico è difficile da prevedere, ma una cosa è certa: sono i migliori shooter che abbiamo visto da molto, molto tempo a questa parte.