Nel luglio dello scorso anno Alain Corre, dirigente di Ubisoft, a proposito di Helen, l’anziana assassina di Watch Dogs: Legion, ha detto: “Nessuno in precedenza ha mai osato fare qualcosa del genere con una nonna”. Le reazioni del pubblico sono state, non senza buone ragioni, di scherno. Questa miscela di inaccuratezza storica e spavalderia autopromozionale è la norma in un settore tripla A incline a presentare i progressi compiuti dagli studi indipendenti come propri, ma nella vanteria di Corre c’è un briciolo di verità. In un’epoca di sempre maggiore inclusività, una fascia d’età resta assente nell’infinita sfilata dei personaggi che si contendono la nostra attenzione nei videogiochi: quella degli anziani.
Per gli altri l’ispirazione sembra essere venuta principalmente dal cinema e, in misura minore, dalla letteratura e dalle arti visive. Nei videogiochi ci sono state presentate storie sulla vita di bambini, ragazzi e adulti in cui è stato sempre più facile riconoscersi, ma quando si oltrepassa il limite della mezza età il medium ha molto poco da offrire. Dov’è dunque la vecchiaia nei videogiochi, e per quali ragioni possiamo pensare che troverà sempre più spazio in futuro?
Le condizioni in cui venivano realizzati i videogiochi nei primi anni Ottanta possono in parte spiegare la scarsità di personaggi anziani. I videogiochi erano un prodotto pensato principalmente per i ragazzi e venivano spesso realizzati dai cosiddetti “bedroom coders”—sviluppatori autodidatti e ancora molto giovani che in molti casi lavoravano direttamente in casa dei loro genitori. A quell’età, e ci siamo passati tutti, si considera vecchio chi ha figli e lavora in ufficio, non chi abbia sessant’anni e più. Per la stragrande maggioranza dei creatori e dei fruitori di videogiochi la vita oltre i 65 anni era un lontano miraggio, una debole eco da un altro universo. Perciò i pochi personaggi anziani che possiamo trovare sono caricature esagerate—la loro caratterizzazione è basata proprio sull’età e serve a far ridere.
Bad Street Brawler (conosciuto anche come Street Hassle) è la rappresentazione più terra terra—ma comunque divertente—di questo paradigma: il famigerato picchiaduro a scorrimento laterale di Beam Software vedeva un uomo muscoloso, sportivo e scarsamente vestito prendere a calci, pugni e testate gente fragile dai capelli bianchi. All’estremo opposto potremmo mettere il ruolo più belligerante di Bionic Granny, in cui il personaggio che dà il titolo al gioco si apposta fuori dalle scuole e colpisce i bambini in uscita con il suo bastone. Watch Dogs: Legion potrà non essere il primo gioco con un personaggio anziano, ma un passo in avanti rispetto agli anni Ottanta è stato fatto: Helen almeno combatte contro la polizia in uno stato fascista, non contro scolaretti che tornano a casa per il pranzo. Se le prime rappresentazioni della vecchiaia nel medium si limitavano per lo più a vittime tragicomiche o a streghe cattive, con da una parte la stereotipata nonna sorridente di un punta e clicca, e dall’altra il mago minaccioso di un gioco di ruolo, non sorprende che gli sviluppatori contemporanei trovino poco a cui attingere per una storia più fondata su dei personaggi anziani.
Piuttosto che tentare di esaminare l’esperienza della vecchiaia in sé, forse è più facile per i narratori dipingerla come un’altra fase dello sviluppo: l’occasione per una narrativa di vita più ampia. Questa non è una tecnica nuova, essendo già stata usata nel classico Alter Ego di Activision, in cui si guidano le scelte di un individuo dalle prime fasi dell’infanzia fino alla morte. The Passage di Jason Rohrer si basa su una premessa simile, sebbene trattata in un modo più poetico e minimalista, facendo percorrere al personaggio controllato dal giocatore, insieme al coniuge, un corridoio vuoto e apparentemente infinito dove vengono gradualmente introdotti dei piccoli cambiamenti: i capelli si diradano, i movimenti si fanno più lenti, e si culmina con due finali prevedibili ma toccanti.
Alcuni dei più perspicaci di questi sviluppi, tuttavia, non sono parti necessarie o addirittura previste nell’arco del personaggio. Brendon Chung, la mente dietro Blendo Games e co-sviluppatore di Quadrilateral Cowboy, ha aggiunto un breve epilogo alla storia di Poncho, rivisitando la sua eroina ribelle diversi decenni dopo che la sua avventura principale ha avuto luogo. Dopo la serie di rapine proto-cyberpunk che esegue insieme ai suoi amici diseredati, tra cui un colpo alla Borsa di Malta e un’intrusione in un reparto di neurochirurgia orbitante, ci ritroviamo di fronte Poncho in età avanzata ma non meno spavalda. Guida tuttora la sua scadente hoverbike e vive ancora in povertà, mangiando ramen istantaneo e dormendo su un materasso sporco. Intorno a quest’ultimo sono disposte alcune foto che mostrano con orgoglio le sue imprese giovanili; una collezione pensata per trasmettere «la sensazione di dare uno sguardo sincero alla tua vita. Cosa hai costruito, cosa hai distrutto, quali sono le piccole cose che hai fatto per rendere questo mondo un posto migliore?». La scena dolcemente malinconica non è inserita per completare una narrazione biografica dettagliata. Al contrario, Chung vuole che l’immaginazione del giocatore riempia gli spazi vuoti nella storia della banda fornendo «proprio questo—uno sguardo. Avranno vissuto ulteriori avventure e momenti fantastici e altri meno belli negli anni intercorsi, e c’è qualcosa di bello nel saperlo».
Se la coda dolce-amara di Quadrilateral Cowboy serve a convalidare i capitoli giocabili della storia della giovane Poncho attraverso una breve occhiata ai suoi ultimi anni, allora Old Man’s Journey inverte sia quella struttura temporale che il suo scopo. Nel gioco di Broken Rules abbiamo il compito di risolvere enigmi spaziali per guidare il protagonista attraverso un’idilliaca campagna mediterranea mentre tenta di ricongiungersi con la sua famiglia. Il direttore creativo Clemens Scott sostiene che la scelta di un eroe anziano «ci ha permesso di riflettere sulla sua vita passata e sulle sue discutibili scelte, creando comunque empatia per lui attraverso il suo viaggio verso la redenzione». In questo modo, saltare la giovinezza del personaggio, accennando al dolore che ha causato solo attraverso vignette estemporanee, limita l’impulso a giudicare e apre lo spazio al perdono, affinché «i giocatori finiscano il gioco con un senso di speranza e di piacere».
Il protagonista tormentato dai sensi di colpa di The Last Time, il poliziotto Jack Glover, non ha invece alcuna responsabilità per il momento che gli ha rovinato la vita diversi decenni prima. Durante la vivace introduzione del gioco, una chiamata apparentemente di routine per un furto con scasso si trasforma in tragedia quando il partner del giovane ufficiale viene ucciso a sangue freddo da un criminale. Come in Old Man’s Journey, il gioco ruota principalmente intorno alla vecchiaia del protagonista, e in particolare al suo ultimo tentativo di rintracciare l’assassino del suo amico. Secondo Daniel Black, l’età di Jack «consente al giocatore di incontrare ostacoli che le persone anziane possono affrontare—solitudine, mancanza di rispetto». The Last Time è un tradizionale punta e clicca, caratterizzato da un ottimismo e un calore insoliti, che riesce, nonostante la sua cupa premessa, a dipingere l’immagine edificante di un Jack capace di ritrovare le proprie energie. Si precipita all’interno di una casa di cura in fiamme per salvare un vecchio veterano e si esibisce in un notevole repertorio di mosse da ballo all’interno di una discoteca alla moda, e ogni sua piccola avventura rafforza il messaggio centrale di Black, secondo cui «non sei mai troppo vecchio per cambiare».
La maggior parte dei titoli trattati finora presenta personaggi anziani relativamente sani e attivi. Poncho rimane una motociclista; l’Old Man senza nome attraversa colline e foreste intere; e Jack si trasforma in un supereroe calvo quando se ne presenta la necessità. Ma ci sono anche giochi che tentano di affrontare i problemi che arrivano con l’età avanzata, siano essi mentali, fisici o sociali. Tale of Tales ha realizzato un walking simulator in senso letterale, con il ritmo intenzionalmente letargico dell’eroina di The Graveyard che rende difficile la sua passeggiata. Mentre la sua andatura pian piano si deteriora fino a diventare zoppicante e gli scomodi controlli tank tolgono qualsiasi voglia di deviare dal percorso, diventa chiaro che queste rudimentali modifiche alle meccaniche di movimento hanno lo scopo non solo di rappresentare lo sforzo fisico degli anziani, ma anche di trasmettere un senso di crescente isolamento. Una raffica di attività sembra essere ignorata dalla protagonista. Le sirene della polizia risuonano in lontananza; gli uccelli fanno baccano sugli alberi sovrastanti. Ma quando ogni tuo sforzo cosciente è finalizzato al raggiungimento di una panchina per riposare le gambe stanche tutto il resto diventa insignificante.
L’unico personaggio di The Fifth Apartment affronta sfide simili ma in un ambiente ancora più opprimente. Tutto nella sua cupa casa parigina fa pensare a una persona che ha abbandonato la speranza. I pavimenti stanno marcendo, c’è muffa sui muri e l’impianto idraulico sembra sussurrare con voci umane come se il suo cervello cercasse di crearsi una compagnia. La TV si trova in primo piano e al centro del buio soggiorno in cui trascorre la maggior parte delle sue giornate, ammazzando il tempo in attesa di andare a letto. Probabilmente la cosa peggiore di tutte è il balcone, dove la luce, il trambusto stradale e una versione a fisarmonica di, ironia della sorte, La Vie en Rose forniscono un contrappunto straziante alla sua solitudine. Un vivido ritratto dell’alienazione per via del quale, come racconta il co-creatore Klos Cunha, «molte persone mi hanno cercato dopo aver finito il gioco, dicendomi di essersi commosse e di essere state spinte a chiamare le loro madri e nonne». Come gioco The Fifth Apartment è un’esperienza spiacevole e, anche se il suo impatto è in qualche modo attenuato da una sotto-trama horror resa necessaria dal tema della game jam Ludum Dare durante la quale è stato realizzato, resta una testimonianza del talento di Cunha, Ricardo Bess e Bruno Poli che sono comunque riusciti a generare una simile reazione.
Trentacinque anni dopo le buffonerie di Bionic Granny, l’uscita di The Stillness of the Wind sembra emblematica del mutato rapporto del medium con i protagonisti più anziani. In tutto questo tempo i ragazzini che si ritrovavano a picchiare passanti indifesi in Bad Street Brawler sono cresciuti. Quelli il cui attaccamento ai videogiochi ha resistito alle esigenze della vita familiare, alle preoccupazioni di una carriera lavorativa e alla comodità di Netflix ora è meno probabile che considerino i personaggi anziani come un elemento di cui ridere. La popolarità di protagonisti giovani, agili e attraenti non è in discussione—le nonne arrabbiate non faranno sparire Lara Croft e Nathan Drake—ma c’è motivo di presumere che, di pari passo con l’invecchiamento dei videogiocatori crescerà pure il loro interesse in personaggi e situazioni con cui gli sarà più facile identificarsi. La maggior parte dei giochi citati in questo pezzo sono usciti negli ultimi cinque anni; sicuramente ne seguiranno altri.
L’importanza di The Stillness of the Wind in questo cambiamento storico risiede nel modo in cui sottilmente riformula le possibilità e le aspettative nei confronti dei protagonisti più anziani. Sì, i giochi precedenti hanno dato uno sguardo comprensivo e sfumato ai loro eroi ed eroine, ma nelle loro storie era palese l’ansia di connettersi, la necessità di un aggancio drammatico. Talma, al contrario, prendendosi pazientemente cura della sua remota fattoria, non richiede un grande percorso di redenzione né ha bisogno di fare appello al nostro sentimentalismo per giustificare il suo ruolo di protagonista. Lo sviluppatore Coyan Cardenas spiega come la moderazione emotiva del suo gioco sia «rafforzata anche dal punto di vista del design» poiché «i meccanismi sono del tutto incentrati sulle faccende banali e sulle necessità quotidiane della vita». Daremo da mangiare agli animali e ci occuperemo del giardino e, poco prima di andare a letto, leggeremo le lettere di un lontano cugino o nipote che si è trasferito in città. La sua vita potrebbe non essere adatta alla narrativa convenzionale dei videogiochi ma, attraverso Talma, The Stillness of the Wind introduce un grado di umanità senza precedenti per i personaggi più anziani del medium videoludico: non più martiri, mostri o santi; soltanto persone.