I government simulator hanno sempre attratto una nicchia di giocatori, e sono sempre riusciti a ritagliarsi il loro piccolo spazio nel panorama videoludico. Negli ultimi anni però questo genere così particolare sembra aver perso un po’ il suo smalto: a parte i nuovi capitoli di alcune saghe storiche come Democracy, non si è arricchito di tanti nuovi titoli. In totale controtendenza, Fellow Traveller ha recentemente pubblicato Suzerain, un government simulator che si rifà ai cult del genere, Hidden Agenda su tutti.
Proprio come nel gioco uscito alla fine degli anni ‘80, in Suzerain il protagonista è il neoeletto presidente di un paese fittizio appena rinato dopo un regime autoritario, dilaniato dalla guerra civile e in una profonda crisi economica. In Suzerain si chiama Sordland, invece che Chimerica, ma la sua situazione politica è quasi la stessa che in Hidden Agenda. Oltre agli affari interni il presidente Rayne è chiamato ad affrontare le questioni di politica estera: il gioco, sviluppato da Torpor Games, si svolge infatti negli anni ’50, in un mondo spaccato a metà tra oriente e occidente, tra capitalismo ed economia pianificata, ma anche tra tradizioni radicate e incredibili innovazioni. Le decisioni da prendere non sono semplici e “vincere” in Suzerain è complesso, soprattutto per chi non vorrebbe mai scendere a compromessi quando si tratta di ideali. Come se non bastasse, proprio come in Hidden Agenda, si ha l’impressione di avere a che fare con un lavoro più che con un gioco: riunioni a cui partecipare, pranzi con i colleghi, comunicati stampa da rilasciare. Ma allora perché giocarci?
Per quanto il titolo si inserisca bene nel filone della simulazione politica, Suzerain ha due caratteristiche che lo rendono fondamentalmente diverso dagli altri giochi del genere. La prima è quella di non avere un sistema formale che quantifichi le conseguenze delle azioni del giocatore: non è ben chiaro se tradire le aspettative degli elettori sia meglio o peggio del non seguire i consigli del proprio stratega politico, o quali siano le conseguenze dirette di una riforma dell’economia. È impossibile insomma imparare a prevedere il risultato delle nostre scelte e raccogliere le informazioni necessarie a cambiare strategia. Questo non è un elemento trascurabile, visto che la maggior parte dei simulatori danno questo vantaggio al giocatore, che lo utilizza come una sorta di paracadute: il piano A ha avuto un effetto negativo diretto sull’economia, quindi passo al piano B. La mancanza di questo meccanismo modifica profondamente l’esperienza di gioco, e in particolare lo stato d’animo del giocatore, che è tutt’altro che rassicurato dal gameplay. L’imprecisione di Suzerain è però l’elemento che lo rende più credibile: non sempre nella realtà ad ogni azione corrisponde una reazione immediata e identificabile, molto più spesso le conseguenze delle nostre scelte sono vaghe e diluite nel tempo.
La seconda caratteristica che distingue Suzerain dai classici government simulator è la conoscenza della dimensione personale del Presidente Rayne, oltre che di quella pubblica. Il gioco, infatti, non comprende soltanto elementi di strategia politica, anzi fa immergere il giocatore nella vita del presidente a tutto tondo. A chi gioca toccherà quindi definire una linea politica al momento delle elezioni, occuparsi di relazioni internazionali e politica economica, ma anche cenare con la propria moglie, interagire con i propri figli, e gestire un migliore amico alcolizzato, che tra l’altro è anche il vicepresidente.
Mentre Hidden Agenda inizia con la conferenza stampa post-elezioni in cui il protagonista riempie i cittadini di promesse, Suzerain si apre con un excursus sulla vita del presidente Rayne. Sta al giocatore decidere se le sue origini siano umili o nobili, di che partito abbia fatto parte in gioventù, che tipo di studi abbia affrontato all’università, o se abbia preso parte alla guerra civile. Questa grande quantità di informazioni che in quanto giocatori impostiamo all’avvio di Suzerain fa iniziare subito il processo di immedesimazione nel personaggio e di immersione nel paese di cui siamo alla guida; di entrambi iniziamo a conoscere pregi e difetti, paure e contraddizioni, e ciò fa sì che una volta lanciati nel gioco siamo molto più propensi ad interessarci veramente alle loro vicende personali e politiche.
Una volta iniziato il gioco, dopo una conferenza stampa che ricalca quella di Hidden Agenda, si viene subito catapultati tra i doveri di un presidente. Il fatto che il Sordland venga da un’esperienza di regime e che sia in crisi economica non aiuta: c’è una costituzione da cambiare e un paese da far crescere. Il che significa, per i giocatori, leggere una quantità enorme di dialoghi, che spaziano dagli intrighi di palazzo ai dibattiti ideologici. Anche prendendo a cuore l’interesse dei cittadini del Sordland, scopriremo in fretta che seguire le complesse vicende raccontate in Suzerain è estremamente difficile. Insieme a Rayne ci stancheremo di leggere testi e ascoltare consiglieri con decine di pareri e ideali diversi. Come chiunque si approcci alla politica inizialmente saremo infervorati dai nostri ideali, e curiosi all’idea di poter mettere in pratica le nostre idee. Bloccare l’immigrazione o aprire le frontiere? Favorire il libero mercato o l’economia pianificata? E non dimentichiamoci che Suzerain si svolge nel bel mezzo della guerra fredda, quindi allearsi con l’occidente o l’oriente? Cambiare Sordland per il meglio e plasmarlo secondo i nostri ideali sembra un’impresa ardua, ma fattibile.
Ben presto però, ci renderemo conto di cosa significhi lavorare con un budget in politica, e che riservare dei fondi all’istruzione pubblica voglia dire privare l’esercito di strumenti all’avanguardia, o dover chiudere degli ospedali in provincia. È quasi certo che a nemmeno metà percorso saremo talmente immersi nella definizione del budget, distratti da eventi mondani a cui è doveroso che un presidente partecipi o da qualche problema familiare, che faremo fatica a ricordare quali fossero le poche promesse fatte ai cittadini durante la prima famosa conferenza stampa. Pur di far riprendere l’economia, saremo disposti ad allearci con quel paese che esporta armi e rifiuta rifugiati che all’inizio avevamo allontanato. Non sapremo più di chi fidarci, su quali priorità concentrarci, e di colpo ci tornerà in mente l’offerta del magnate dei media che avevamo rifiutato all’inizio del mandato, che ci avrebbe tirato fuori dallo scandalo di corruzione che stiamo affrontando ora.
Quello che rimane più impresso di Suzerain è proprio la velocità con cui il giocatore si evolve. Cambia il suo punto di vista, l’atteggiamento e il modo di pensare: da neopresidente idealista a politico pronto a tutto per salvare la sua presidenza. Il fatto che questo processo avvenga così rapidamente testimonia quanto il mezzo videoludico sia efficace nel coinvolgere il giocatore ed immergerlo completamente in un contesto sconosciuto. Non è necessario un open world o una grafica 3D curata nei minimi dettagli, basta l’elemento alla base dei videogiochi per raggiungere questo risultato: la possibilità di effettuare delle scelte, influenzando il mondo in cui si svolge la storia o il destino del nostro personaggio.
Sembra che sempre più sviluppatori si stiano rendendo conto del potere del mezzo che utilizzano: Torpor Games è il perfetto rappresentante di questa tendenza. Lo studio indipendente ha come obbiettivo quello di mettere in dubbio le certezze e la realtà dei giocatori grazie ai videogiochi che crea, in questo caso raggiungendo il suo scopo pienamente. Infatti Suzerain, per rispondere alla domanda dell’inizio, va giocato proprio perché fa crescere intellettualmente: mettendoci nei panni di un presidente il gioco ci costringe a confrontarci con l’idea che anche i politici, delle figure che spesso reputiamo incapaci e disoneste, siano più simili a noi di quanto non vorremmo. E soprattutto che forse anche noi nella loro situazione, distratti da un litigio in famiglia o da un tradimento politico, vittime dei nostri vizi e delle nostre tentazioni, falliremmo.