Il medium videoludico è, insieme al cinema, l’unico che può essere pensato come un contenitore di tutte le arti che lo hanno preceduto—la scrittura, il disegno, la musica, il teatro, la fotografia—con in più una caratteristica sua propria. Il cinema guadagnava la regia e il montaggio, che i videogiochi hanno a loro volta ereditato aggiungendo come novità l’interazione. Pensare che perciò in un buon film l’importante sia la messa in scena e in un buon videogioco conti soprattutto il gameplay è senza dubbio sensato, ma anche un po’ limitante. Un film può colpire lo spettatore principalmente perché ben scritto o ben recitato; oppure può essere pensato sin dall’inizio come un’opera il cui punto di forza stia in una sceneggiatura a prova di bomba o in grandi prove attoriali.
Sono convinto che la critica cinematografica cada in errore quando intende premiare solamente la “bella regia”, le eleganti inquadrature e gli studiati movimenti di macchina; e allo stesso modo la critica videoludica dovrebbe evitare di porre un’enfasi eccessiva sul “gameplay innovativo”. A questo genere di considerazioni si ribatte spesso con le diverse possibili varianti di una stessa argomentazione, che suona più o meno come “se avessi cercato una bella storia mi sarei letto un libro”. Mi sembra poco convincente: il film e il videogioco trovano comunque nella complessità del loro linguaggio un buon motivo per voler fruire un’opera proprio in quella forma.
Un buon esempio potrebbe essere Ni No Kuni: è un classico JRPG in cui il giocatore mette insieme un party e affronta una ripetitiva serie di combattimenti contro nemici casuali che serve a far guadagnare esperienza ai personaggi—o come si dice nel gergo videoludico, a farli “livellare”. A rendere unico questo gioco non è quindi il gameplay, bensì la grafica, realizzata in collaborazione con lo Studio Ghibli. Sarebbe sbagliato però pensare che l’elemento di stupore e di meraviglia per il giocatore sia principalmente la somiglianza con i film di Hayao Miyazaki; al contrario, a catturare è innanzitutto la differenza, vale a dire la possibilità di interagire e di muoversi liberamente all’interno di un mondo che ricorda le opere del grande maestro dell’animazione giapponese, e poco importa se le modalità con cui lo si fa sono le solite della collaudata formula dei JRPG.
Lo stesso discorso si potrebbe fare per Spinch, un platform che a livello di gameplay non offre nulla di particolarmente originale—si salta e si evitano i nemici e si prova a non cadere nel vuoto, ecco tutto—ma la cui grafica è caratterizzata dallo stile psichedelico e dal tratto inconfondibile del fumettista canadese Jesse Jacobs, autore di volumi letti e amati in tutto il mondo. In Italia la maggior parte dei suoi lavori—Safari Honeymoon, E così conoscerai l’universo e gli dei, Crawl Space—è stata pubblicata da Eris Edizioni, mentre per Hollow Press è uscito Baby in the Boneyard. Spinch è il primo videogioco che ha realizzato, e per saperne di più su questa sua nuova avventura l’ho raggiunto via email per fargli qualche domanda.
Ciao Jesse. Sei un appassionato di videogiochi? Quali sono i tuoi preferiti?
Gioco con moderazione. Passo un sacco di tempo davanti a un computer (creando un videogioco, colorando un fumetto, eccetera), perciò ultimamente preferisco trascorrere il mio tempo libero nel mondo reale. Quando gioco adesso mi piace l’elemento di socialità di alcuni titoli. Con la mia fidanzata mi diverte giocare sul divano a giochi cooperativi come Overcooked 2 e Moving Out. Mi piace anche usare il gioco per ring fit su Switch per fare esercizi in questi mesi invernali. I miei giochi preferiti sono quelli della mia infanzia, titoli per NES e Super NES. Abbiamo appena finito Donkey Kong Country che è il mio platform preferito per due giocatori. Da bambino ero fissato con Super Mario Bros. 2 e Bart Simpson vs The Space Mutants.
Dall’unione tra fumetto e videogioco stanno venendo fuori opere parecchio interessanti. Quando e come è nata l’idea di Spinch? È più un fumetto diventato videogioco o un videogioco che avrebbe potuto essere un fumetto?
È tutto nato da una collaborazione sperimentale. Abbiamo provato a fare un videogioco allo scopo di presentare i miei lavori, e ho creato un breve fumetto per accompagnare il gioco, che di recente è stato pubblicato (in Italia da Strane Dizioni) nella forma di un leporello serigrafato in edizione limitata. Con Spinch l’intenzione non era creare una narrazione complessa, perché preferisco che siano i fumetti a farlo. Volevo realizzare un gioco che mi sarebbe piaciuto da bambino, qualcosa che suggerisca una storia più ampia ma senza impantanarsi nel suo svolgimento. Personalmente tendo a saltare le parti narrative dei videogiochi, divento impaziente di giocare.
Della programmazione si è occupato lo studio Queen Bee Games. Come siete entrati in contatto?
Conosco i fondatori da molti anni. Siamo cresciuti nella stessa piccola città sulla costa est del Canada. Loro hanno seguito il mio percorso artistico e mi hanno contattato. Credo che inconsciamente desideravo che accadesse. Da qualche parte nella mia testa ho sempre avuto l’idea di voler creare un videogioco, e con Spinch è venuta fuori.
Ho l’impressione che uno stile visivo originale possa dare nuova vita a vecchie idee di gameplay. Ni No Kuni è stato un ottimo esempio, con Spinch ne è arrivato un altro. In Italia abbiamo anche visto il fumettista Sio alle prese con Super Cane Magic Zero. Pensi che sia una strada da seguire? Artisti che provengono da altri media possono portare qualcosa di diverso nei videogiochi?
Mi sorprende che non lo vediamo accadere più spesso. Conosco molti disegnatori di vignette che sarebbero perfetti per occuparsi della grafica di un videogioco. Penso che per molti ciò possa sembrare trovarsi al di fuori del campo delle possibilità. Io sono stato fortunato perché mi è stata data questa opportunità, ma credo che sarebbe una mossa intelligente, da parte degli studi di sviluppo, fare scouting nella scena indipendente dei fumetti per trovare dei talenti. Realizzare la grafica di un videogioco e disegnare un fumetto hanno molte cose in comune. Sono convinto che portare aria fresca dal di fuori della propria bolla sia salutare per chiunque si trovi in una scena o in un settore dell’industria culturale.
Cosa cambia tra il disegnare i livelli di un videogioco e le pagine di un libro a fumetti?
Volevo che Spinch avesse l’aspetto di un videogioco, non di un adattamento videoludico di un fumetto. Questo è il motivo per cui ho scelto di creare una grafica dallo stile pixelato—è ancora chiaramente riconoscibile come una mia opera, ma non sembra un fumetto. Non importa cosa stia creando (un gioco, un fumetto, uno skateboard), il mio approccio al lavoro è sempre orientato all’oggetto finale. Come ti dicevo prima, ci sono dei paralleli tra la realizzazione di un videogioco e quella di un fumetto. Entrambi richiedono un equilibrio tra funzionalità ed estetica. Devi sempre tenere in considerazione i punti nevralgici, la leggibilità del personaggio principale, e nel frattempo creare uno sfondo che sia il più interessante possibile senza confondere completamente l’utente. La maggiore sfida nella realizzazione dei mondi di Spinch è stata non avere la libertà di piazzare una piattaforma o un oggetto in qualsiasi posizione avrei voluto. Nei fumetti il processo è molto più aperto e individualistico.
Oltre ai tuoi disegni, Spinch ha anche una bella colonna sonora alla quale hai lavorato insieme al compositore Thesis Sahib. Come si è svolta questa collaborazione?
Lavorare insieme a Thesis Sahib (James Kirkpatrick) è stata la mia parte preferita del processo di sviluppo. James e io siamo molto amici, da diversi anni sono un fan della sua musica e delle sue opere come visual artist. Avevamo intenzione di collaborare e Spinch è stata l’occasione giusta. Ho dovuto imparare come lavorare insieme a dei programmatori. È un linguaggio diverso, e talvolta è stato complicato trovarci sulla stessa linea d’onda. Quando James si è unito al progetto è stato fantastico avere un’altra personalità creativa coinvolta. Ci capivamo al volo. Ho visitato il suo studio, che è pieno di strumenti costruiti a mano e di altri macchinari interessanti, come Game Boy modificati. James è anche un visual artist, e una delle cose che fa è smontare vecchi giocattoli e modificarli per creare nuovi oggetti. Molti degli effetti sonori in Spinch sono generati da questi strumenti. Sul suo sito si possono trovare i suoi lavori, e la colonna sonora del gioco è disponibile su tutte le piattaforme di streaming musicale. Inoltre abbiamo un importante annuncio in arrivo a proposito della colonna sonora.
Come nasce il tuo interesse per la psichedelia? È una cosa legata alle arti visive o ti interessa la cultura pischedelica nel suo complesso? Pensi che possano esistere dei videogiochi psichedelici, così come esiste una musica psichedelica?
La psichedelia ha avuto un grande impatto sulla mia visione del mondo. Adoro l’arte e la musica che ti fanno viaggiare. Per me è un argomento difficile da affrontare, parlare di queste cose è complicato. Io provo, con i miei lavori, ad approssimare una sensazione. Un esempio è il motivo dell’arcobaleno che uso in Crawl Space e in Spinch: non è che quando prendi l’LSD tu veda letteralmente gli arcobaleni, ma è un punto di riferimento, un po’ come un segno universale. I temi che esploro nelle mie opere sono legati alla psichedelia nella natura. Sto provando a unire armonicamente immagini e parole per giungere a un punto che sia l’approssimazione di una sensazione psichedelica. Se possano esistere dei videogiochi psichedelici è una domanda difficile. Penso che qualsiasi cosa abbia il potenziale per essere psichedelica se viene vista e pensata da una certa angolazione.
Negli ultimi anni ho notato un rinnovato interesse nei confronti della psichedelia. La serie The Midnight Gospel su Netflix o il libro Come cambiare la tua mente di Michael Pollan sono dei chiari segnali. In Italia lo scorso anno è stato pubblicato anche La scommessa psichedelica. Secondo te perché accade proprio ora?
Penso che ci siano parecchie cose in ballo qui—nuovi paradigmi culturali, cambiamenti di leggi e normative, oltre a un genuino desiderio di qualcosa in più rispetto alla piatta visione del mondo offerta dal materialismo. Mi sembra che nella nostra corsa ad adottare la scienza come un dogma omnicomprensivo abbiamo perso molto, e ci sta sfuggendo una parte enorme di ciò che vuol dire essere umani. La scienza è grandiosa per molte cose, ma non è né è mai stata pensata per essere la risposta a tutto. C’è stata questa tendenza a riportare le domande metafisiche nell’ambito di ciò a cui il metodo scientifico può trovare una risposta, e penso che molte persone sentano che non è un modo soddisfacente di affrontare l’esistenza in questo strano universo. Molta gente potrebbe vedere la psichedelia come un’alternativa.
Tornando al gioco, un aspetto che mi ha sorpreso è la sua difficoltà. Non è una scelta un po’ controproducente, dato che un buon motivo per giocare Spinch è vedere quanto più possibile del tuo lavoro su di esso?
Il bilanciamento della difficoltà è uno degli aspetti più complessi del game design. Penso di essermi convinto che dovessimo fare un gioco difficile per alcune buone ragioni. Se si fosse trattato solamente di mostrare la mia opera, avrei fatto un lavoro d’animazione invece che un videogioco. Soprattutto adesso che si può guardare un sacco di gente trasmettere le partite su Twitch o YouTube. Data poi la natura collaborativa dello sviluppo di un videogioco, dovevamo trovare un compromesso tra i nostri diversi punti di vista. Magari il prossimo gioco che farò sarà meno difficile?
Farai altri giochi?
Lo spero, ma per adesso sto lavorando a un fumetto. Avevo senza dubbio bisogno di una pausa.