Il Nintendo DS resta ad oggi la console più venduta dalla compagnia giapponese e nientemeno che la seconda console più venduta di tutti i tempi. L’ultima rilevazione sulle vendite, che risale a maggio 2014, ne contava 154 milioni di pezzi. A parte i numeri impressionanti, per me e per tutti i videogiocatori nati tra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila questo piccolo scrigno creato nel 2004 continua ad avere un valore affettivo immenso, un po’ perché esteticamente ci ricorda un’infanzia piena di flip phones e touch screen sgangherati, e un po’ perché per molti di noi ha rappresentato il primissimo approccio con i videogiochi. Nel mio caso: bundle con DS azzurro e Nintendogs Labrador & Friends, ricevuto come regalo per la prima comunione insieme ad un pacchetto di adesivi di Hello Kitty, che non sono mai più riuscita a staccare dalla scocca.
Nonostante venisse etichettato come un prodotto per casual gaming, il DS ha rappresentato una piccola rivoluzione—specialmente se si pensa che il suo antenato più prossimo è il Game Boy Advanced (e quello che gli somiglia di più l’antichissimo Game & Watch Multiscreen). Per renderci meglio conto della quantità di novità che ha introdotto, ecco una lista di quelle principali: il Dual Screen, che dà il nome alla console; il microfono; il touch screen, che fino ad allora la maggior parte di noi aveva visto soltanto sul telefono del compagno di classe più viziato; lo stilo; la Pictochat; e la Nintendo Wi-Fi connection, che preannunciava un mondo in cui internet sarebbe stato alla portata di tutti sia a casa che all’aperto. Forte di questo spiccato carattere innovativo e data la sua diffusione inarrestabile, il DS è stata una console a due facce. Da una parte un colosso del mercato con i suoi prodotti di punta patinati, il casual gaming fattosi oggetto. Dall’altra, un incredibile concentrato di sperimentazione videoludica, a livello di gameplay, interazione con il giocatore e design.
Una console concepita con due schermi—di cui uno tattile—mise in mano agli sviluppatori una macchina del tutto nuova su cui lavorare, il che li costrinse ad adattarsi e innovare. Per fortuna la maggior parte degli studi dimostrò una duttilità eccezionale: la quantità di titoli che seppero sfruttare a pieno le caratteristiche del DS è davvero impressionante. Senza andare troppo lontano, basti pensare al caso eclatante di Pokémon Ranger, l’amatissima trilogia spin-off della terza e quarta generazione Pokémon. Ranger fu in grado di utilizzare al cento per cento le potenzialità del DS, facendo buon uso di entrambi gli schermi e soprattutto mettendo al centro delle meccaniche di gioco lo stilo (o Styler), che nel gioco serviva per svolgere l’attività principale, ovvero calmare o catturare i Pokémon selvatici.
La saga è un vero e proprio, irripetuto (e irripetibile, a meno che Nintendo non riporti in auge lo stilo) atto di coraggio per The Pokémon Company, che di solito tende ad avere un approccio estremamente tradizionalista. La compagnia pubblicò anche un altro spin-off molto amato, Pokémon Conquest, oltre a continuare la serie di Mystery Dungeon. E se giganti come la serie Pokémon hanno vissuto una sorta di età d’oro della creatività durante l’era DS, il sostrato di studi e sviluppatori indipendenti—che ovviamente godevano di una maggiore libertà rispetto ai primi—riuscirono a produrre decine di giochi originali, caratterizzati da modelli di gioco unici. Date le tante peculiarità del mezzo sui quali sono stati concepiti molti di questi giochi saranno sempre godibili soltanto su DS, essendo quasi impossibile riproporli su altre console.
La presenza dello stilo e del touch screen da battaglia—che sopravviveva perfino ai colpi di quei bambini che per un “tap” partivano da dieci centimetri di distanza—hanno infatti fatto sì che il DS potesse accogliere con nonchalance titoli come il famoso Ghost Trick, un adventure game punta e clicca che trasla benissimo le sue caratteristiche sulla console portatile, o il meno conosciuto Soul Bubbles, un puzzle game rilassante interamente fruibile con lo stilo, in cui l’obbiettivo è usare delle bolle in vario modo per trasportare degli spiriti. Anche l’altra feature principale del DS, il doppio schermo, ispirò numerosi sviluppatori.
Hotel Dusk si gioca interamente con la console ruotata di novanta gradi e tenuta a mo’ di libro (c’è un’altra console in cui sia stato fatto qualcosa di simile?) e racconta, in una sorta di visual novel noir, le investigazioni su un omicidio in un hotel negli anni 70. Contact invece divide il piano narrativo tra i due schermi, mettendo su quello superiore un professore in una navicella spaziale che parla direttamente al giocatore includendolo nella storia, e su quello inferiore un ragazzo che lo aiuta andando alla ricerca dei suoi cristalli nel mondo colorato di un RPG. Una particolarità del gioco è l’estetica: la navicella del professore e il mondo di Terry sembrano disegnati da due team che non si sono mai parlati.
Ovviamente questi giochi indipendenti diventarono estremamente difficili da reperire fin quasi da subito, date le poche copie rilasciate. Il DS però, in quanto console di massa, portò con sé anche la pirateria di massa, che si concretizzò in un oggetto leggendario: l’R4. La flashcard era talmente diffusa nel nostro paese che su di essa ci fu una diatriba legale tra Nintendo e un’azienda che la vendeva, conclusa soltanto nel 2016 grazie a una sentenza del Tribunale di Catania. L’R4, abbinato a una microSD da massimo 2 gigabyte, spalancava ai suoi possessori le porte del mondo delle ROM scaricabili, reperibili in modo così semplice da essere accessibili anche da chi allora era bambino. L’R4 e la trafila di flashcard che lo seguirono—per quanto fossero ovviamente colpevoli di facilitare la pirateria—hanno avuto il merito di rendere fruibili a più persone quei giochi impossibili da trovare in copia fisica, come quelli mai pubblicati in Europa o mai tradotti dal giapponese.
Si può dire che le sue caratteristiche uniche e il contesto in cui è stato commercializzato abbiano reso il DS una sorta di gateway drug videoludica di massa per la mia generazione: come sempre c’era chi si accontentava dei vari episodi di Super Mario e di The Legend of Zelda, ma chi come me era curioso di sperimentare e aveva voglia di spingersi più in là trovava l’habitat perfetto per innamorarsi dei videogiochi e diventare un appassionato.