Un duro come protagonista. La pioggia incessante che cade su strade buie e cupe. Femme fatale sensuali. Ombre lunghe e jazz dolente. Queste sono solo alcune delle caratteristiche di ogni film noir. Con personaggi che corrispondono sempre a un archetipo, e un’estetica tenebrosa, si tratta forse del genere cinematografico più riconoscibile. Erede di una tradizione che si può far risalire al movimento espressionista tedesco, per arrivare, attraverso la letteratura poliziesca hard-boiled americana, fino all’alba delle immagini in movimento, il cinema noir ha qualcosa di grandioso.
Il genere ha l’abitudine di narrare storie ciniche ma anche shakespeariane sulle linee di frattura che dividono la società. Si può tracciare un parallelo tra Amleto e il disincantato detective privato Philip Marlowe in Il grande sonno: entrambi mostrano le ambizioni senza speranza di uomini rovinati dalle corruzione del mondo che li circonda. Gli sviluppatori, dal canto loro, vengono spesso tentati dal noir. La sua estetica e i suoi tropi narrativi sono chiari e facili da riconoscere sia per gli autori che per i giocatori, e perciò vi si possono basare giochi di diverso tipo, da Under a Killing Moon fino a Max Payne o a L.A. Noire.
Anche se il linguaggio del noir è sempre rimasto lo stesso, è il resto del mondo a essere cambiato radicalmente rispetto agli anni Venti in cui il genere è nato. Questo è particolarmente vero per il medium videoludico, che evolvendosi è diventato più vario e progressista, rendendo il noir, con donne calcolatrici—spesso costrette a usare il proprio corpo per avere protezione—e protagonisti maschi bianchi e scontrosi, un genere problematico. Come adattare, allora, le caratteristiche del noir alla sensibilità delle narrazioni moderne? Lo abbiamo chiesto ad alcuni sviluppatori.
Per Aleksandra Korabelnikova, cofondatrice dello studio EggNut, con base a Vancouver, approcciarsi al noir ha significato cercare, tra i tropi e le convenzioni del genere, qualcosa in cui identificarsi. In qualità di narrative designer dell’avventura Backbone, ha trovato alcuni punti di riferimento per stabilire una connessione con il genere. «L’arte dovrebbe sempre essere personale», sostiene. «Dovrebbe essere vera e venire da dentro. Volevo raccontare cosa volesse dire crescere in una Russia distopica. Quel tipo di esperienze, l’oppressione sistemica, l’interazione stessa tra quei sistemi, il modo in cui ti spingono a comportarti in una certa maniera, e la difficoltà che ogni individuo incontra nello spezzare tale circolo vizioso».
Il tema si inserisce bene nella cupa visione del mondo del cinema noir, che nasce con i romanzi criminali hard-boiled dell’America della grande depressione. Per Korabelnikova l’estetica del noir, con il suo stile basato sul contrasto tra luci e ombre, era perfetta per rappresentare le difficoltà che intendeva comunicare: «L’estetica noir viene da qui. Rappresenta il contrasto sociale in Russia, tra ricchi e poveri—un discorso che abbiamo sviluppato ulteriormente accostando la pixel art a un’illuminazione moderna».
Le radici letterarie del cinema noir affondano nell’America del proibizionismo, dove un cittadino comune poteva finire nei guai per il consumo di alcolici oppure per il gioco d’azzardo. È su questo tipo di sistematica soppressione delle libertà individuali che Korabelnikova ha basato la scrittura della sua storia noir: «È difficile conoscere sé stessi mentre ci si trova coinvolti in quelle situazioni», spiega. «L’espressione di sé è fondamentale, ma non è possibile in un mondo che ti opprime con tutto il suo peso».
Il protagonista di Backbone, Howard Lotor, è un classico personaggio noir: un solitario detective privato. Questo tipo di scelta però non è stata lineare come si potrebbe pensare. Deriva invece dalla necessità di supportare la storia e le meccaniche di gioco. «Il detective non si basa sugli investigatori dei vecchi film noir; proviene dai dialoghi con gli altri personaggi», spiega Korabelnikova. «Il dialogo è la principale meccanica di gioco in Backbone. Avere un investigatore come protagonista era utile perché un buon detective è empatico e vuole capire la gente e andare oltre le apparenze. Il personaggio evolve parlando con le persone e imparando a conoscere meglio le loro vite».
Inspector Waffles è un’altra imminente avventura noir con personaggi antropomorfi, creata da un unico sviluppatore, Yann. Anche per lui l’archetipo del detective è irrinunciabile in qualsiasi videogioco noir. «Il detective è l’elemento più importante in un gioco punta-e-clicca», dice, «perché occorre interrogare la gente per capire cosa stia succedendo. Mi hanno ispirato giochi come L.A. Noire». Sia Backbone che Inspector Waffles sono giochi sontuosi, con una pixel art impreziosita da una luminosità malinconica e ad alto contrasto.
Questo tipo di illuminazione è un marchio di fabbrica del cinema noir, anche se è dovuto a ragioni pratiche più che stilistiche. Gli studi cinematografici tedeschi negli anni della recessione, dopo la prima guerra mondiale, non potevano permettersi un gran numero di riflettori, e così una scarsa illuminazione divenne una caratteristica estetica del noir.
Con lo stesso spirito pratico, il team indonesiano che sta sviluppando Action Time, uno shooter con visuale dall’alto in stile Hotline Miami, ha adottato un’estetica noir non tanto per le atmosfere evocate dal genere, quanto per le meccaniche di gioco consentite da un’illuminazione a elevato contrasto. «Abbiamo pensato innanzitutto al gameplay, poi all’ambientazione», spiega Kristian Uomo, CEO di Freemergency Studio. «Stavamo sviluppando una meccanica di riavvolgimento, e ci siamo chiesti “a quale tema potremmo associarla?”. Il giocatore in sostanza è una macchina assassina che può riavvolgere il tempo quando muore, perciò sarebbe stato scorretto fargli conoscere anche la posizione dei nemici. Così li abbiamo nascosti in una nebbia di guerra».
Alla fine, il team ha scelto di usare zone d’ombra scure come l’inchiostro per celare i nemici. Quando il giocatore entra in ogni stanza i nemici emergono dall’ombra, e il tempo si riavvolge se muore prima di averli eliminati tutti. «L’ambientazione noir è un prodotto della meccanica della nebbia di guerra», aggiunge Alvin Ardianto Gozali, game designer e programmatore, «ma siamo passati dal riempire le stanze con una nebbia di guerra in scala di grigi a ombre in bianco e nero più contrastate, e siamo finiti con l’estenderne l’utilizzo perché si legava bene al tema».
Provenendo da un’epoca di povertà e desolazione, il noir ha sempre avuto uno spirito frugale. Dai noir classici che usavano poche luci e rinunciavano al colore perché le pellicole in bianco e nero costavano meno, fino al moderno “neo-noir” di opere futuristiche come Blade Runner, in cui venivano riproposti stili di quarant’anni prima, i film appartenenti al genere raramente sono sfarzosi. Anche la violenza rimane spesso implicita, in modo da evitare la censura e la necessità di ulteriori spese per l’editing. Ma questo discorso come si applica ai videogiochi? Ciò che risulta economico in un medium non lo è necessariamente in un altro, dopotutto.
Secondo Bálint Bánk Varga di The Wild Gentlemen, lo studio ungherese che ha creato Chicken Police: Paint It Red!, da ogni scelta creativa deriva uno stile, ma questo a volte vuol dire sostenere altri costi di sviluppo. Dice Varga: «La grandezza dei noir sta nel fatto che devono essere realizzati in maniera economica, efficiente, e perciò fortemente creativa. Nel caso dei videogiochi le cose vanno un po’ diversamente. Nei classici del noir a causa della censura non veniva mostrato alcun tipo di violenza. Il problema veniva aggirato con ombre, silhouette e altre soluzioni semplici e simboliche. C’è un parallelo nel senso che, essendo un piccolo studio indipendente, non avevamo i soldi per produrre cutscene in CGI, e siamo dovuti ricorrere a espedienti simili per ottenere l’esperienza che volevamo».
Chicken Police è un gioco dallo stile notevole, e la sua combinazione tra animali fotorealistici e forti contrasti in bianco e nero lo fanno somigliare a Sin City; un mondo in cui gli elementi estetici del cinema noir sono stati elevati all’ennesima potenza. Ironicamente, ottenere questo effetto ha richiesto un dispendio di risorse maggiore rispetto a quello che sarebbe stato necessario per un semplice gioco a colori, racconta Varga. «Per i fondali abbiamo dovuto prima creare la scena a colori in 3D, poi farla diventare monocromatica, infine regolare luci e ombre per darle l’impatto e lo stile noir desiderato. Se parliamo del tempo che ci è voluto, sì, forse è stato un po’ più lungo e costoso farlo così e non a colori o senza questo importante utilizzo del contrasto tra luci e ombre».
A differenza dei registi cinematografici, i game designer devono tenere in considerazione l’agency del giocatore—una caratteristica del medium che a volte si scontra con il desiderio degli sviluppatori di raccontare una storia. Abbiamo tutti presente quale sia il dualismo qui: il tentativo di GTA IV di ricostruire la parabola discendente di film noir come Scarface viene minato dalla tendenza del giocatore ad apparire nei dintorni di un ospedale, rubare un’ambulanza e partire per una tangente inaspettata. Quando si prova a conservare il tono del gioco esercitando un maggiore controllo sul giocatore, si corre il rischio di arrivare a esiti altrettanto insoddisfacenti seguendo un’altra strada.
Quando Team Bondi ha sviluppato L.A. Noire, un altro titolo open-world pubblicato da Rockstar nel 2011, la determinazione nell’impedire di allontanarsi dal tono noir del gioco ha lasciato ai giocatori ben poco da fare in una Los Angeles del 1947 splendidamente ricreata, ma il cui paesaggio era tanto bello quanto sterile. Forse questa è la ragione per cui la rigida struttura delle avventure punta-e-clicca è l’ideale per le interpretazioni videoludiche dei film noir, con una fitta trama e le stesse meccaniche di gioco ad assicurare la conformità delle azioni del giocatore e a preservare quel ritmo e quel tono così importanti per il genere.
Anche secondo Varga in un gioco autenticamente noir l’atmosfera deve prevalere sull’agency del giocatore, ma, come Korabelnikova, crede che un compromesso possa essere raggiunto. «Volevamo avere una consistenza nel tono così come nell’estetica noir, ma anche realizzare un gioco focalizzato sul dipanarsi della storia. Chicken Police ha una struttura piuttosto lineare, cruciale perché il gioco somigli il più possibile a un film. Il giocatore può andare dove vuole, ma in generale la storia segue una certa direzione. In un gioco del genere le dinamiche tra narrazione e gameplay sono molto fragili, ma trovando il giusto equilibrio la storia guadagna un’ottima fluidità».
Su questo argomento si trova d’accordo anche Yann di Goloso Games, quando sostiene che la libertà concessa al giocatore—nella forma di missioni e altre attività secondarie—può spesso finire per attenuare l’atmosfera, portandolo ad allontanarsi dalla tensione della storia per dedicarsi a compiti irrilevanti. «Tutto ciò che fa Waffles, qualsiasi enigma debba risolvere in Inspector Waffles, ha un’evidente importanza a livello narrativo, come in un film», afferma. «Non mi piace che nei punta-e-clicca, ma anche nei giochi tripla A, ci siano delle cose ben poco importanti da fare, quel genere di missioni secondarie. Dovrebbe essere come guardare un film… dovresti sempre voler sapere cosa succede dopo».
Alla fine, il noir oggi resta interessante per gli sviluppatori esattamente come lo era per i registi quasi un secolo fa. Si può discutere sul fatto che la sua specificità culturale, strettamente legata a luoghi e tempi precisi, lo renda un genere superato. Per Varda e gli sviluppatori di Chicken Police, tuttavia, i temi del noir sono ancora presenti nella società odierna. Come dice Varda: «Non penso che siano cambiate molte cose rispetto ai tempo del cinema noir classico. La brutalità e gli eccessi della polizia? La corruzione e la decadenza della politica? L’oppressione e gli abusi razziali? La megalomania, l’odio, la gelosia, l’avidità, la lista potrebbe continuare a lungo… pensiamo che questi temi siano universali. Inoltre, abbiamo costruito un nostro mondo, e così abbiamo avuto la possibilità di realizzare uno strano ibrido che mescola i problemi di epoche e culture diverse, conservando i temi, l’atmosfera e lo spirito dei migliori noir».
È senz’altro un punto di vista condivisibile. Se sviluppatori di tutto il mondo possono usare l’estetica del noir per rappresentare esperienze tanto diverse come l’oppressione sistemica in Russia di Backbone e la satira sulla società ungherese di Chicken Police, allora le opportunità creative di questo genere sono molto più ampie di quanto potesse sembrare all’inizio.