Reperibile nel catalogo Arcade di Apple, su Steam, Epic Store e Nintendo Switch, What The Golf? è un gioco con un chiaro obiettivo: quello di spiazzare e far divertire il videogiocatore con il suo humour assurdo. “Un gioco di golf per chi odia il golf” è la dichiarazione d’intenti dell’opera prima di Triband, team indipendente danese con un avvenire sicuramente roseo.
L’esergo umoristico va però preso sul serio, come si capisce ben presto, perché questo titolo fa dei giochi con le parole e con i codici linguistici il motivo portante delle sue meccaniche e la ragione della sua stessa esistenza. Chi ha giocato What The Golf? si è lasciato conquistare dai toni buffi e scanzonati e dallo stile grafico irresistibile; ma sono soprattutto le sue folli meccaniche di gioco, basate sull’elemento sorpresa, a regalare al giocatore tanto divertimento.
Le leggi che reggono il gioco coinvolgono infatti il giocatore in un’operazione intellettuale nient’affatto banale, che si basa su un’idea di gioco precisa. Per cercare di capire quale partiamo da un’analisi del gameplay.
Nel gioco tutto parte da un semplicissimo gesto: quello di colpire una pallina da golf con una mazza. Il tiro viene calibrato, nella versione mobile per cui il titolo è nato, con il movimento di un polpastrello verso il basso. Lo scopo è chiaramente quello di mandare la pallina in buca, e fin qui tutto normale.
Se non fosse che, già a partire dal secondo livello, lo stesso gesto ha un esito completamente differente: con meraviglia e spasso del giocatore, ma sempre rispondendo allo stesso input di tiro, cominciano a prendere il volo per andare in buca tutti gli elementi di contorno, dalla mazza da golf alla zolla di terra, fino allo stesso golfista. Non è che l’inizio: livello dopo livello gli oggetti e i contesti del “campo da golf” cambiano e si assiste a una trasformazione continua della scena, dove l’unica costante rimane l’azione di lancio del giocatore.
Gli oggetti lanciati si allontanano presto dal mondo del golf—si passa dalle macchine ai cavalli e dalle mucche ai pianeti del sistema solare, senza dimenticare gli immancabili gatti—e ognuno di essi ha consistenza e dimensioni diverse, tali da influenzare il movimento prodotto in virtù di una fisica adattata alla nuova situazione di gioco. Ne consegue che, cambiando gli oggetti e la scena, ogni livello risulta diverso dal precedente e in un certo senso un gioco a sé.
L’azione del lanciare diventa l’occasione per reinventare di continuo il gameplay e il gioco stesso, in funzione di contesti e temi sempre nuovi. Il “gioco di golf” si trasforma così ora in una corsa di macchinine, ora in una gara a tempo di mucche e cavalli, ora in un percorso del treno o di una barca. Ma oltre a questi temi generici, spesso e volentieri sono anche citati, tramite opportuna trasformazione del gesto del lancio, giochi specifici come Super Mario Bros. o Snake, riprodotti attraverso il loro gameplay iconico.
Inoltre, i livelli non si susseguono semplicemente: ognuno di essi è accessibile mediante una cornice esterna—come avviene spesso nei giochi arcade—e si trova all’interno di una sezione tematica (il “Vecchio West” o lo “Spazio” ad esempio). Inutile dire che la cornice diventa anch’essa un gioco, in cui è necessario guidare una pallina per poter sbloccare i livelli successivi.
Ora, questa peculiare struttura, con una cornice esterna extradiegetica che include diversi livelli, ognuno dei quali si gioca in maniera diversa citando elementi di altri contesti e di altri titoli, può essere letta come una creazione di tipo postmoderno: l’insieme dei livelli è una sorta di raccolta che giustappone mondi e stili diversi – una specie di Disneyland videoludica; e il gioco stesso, nella misura in cui recupera e mette insieme con consapevolezza e ironia codici diversi, lo potremmo definire una specie di summa postmoderna, che ha come caratteristiche la riflessività e l’ironia.
Il golf appare quindi un pretesto per mettere in campo un’operazione di destrutturazione del gioco stesso, che riflette su di sé e fa riflettere—oltre che divertire—il giocatore, in un susseguirsi di situazioni che sconfessano ciò che si è imparato un momento prima, in barba a tutti gli insegnamenti della tradizione videoludica. Tradizione videoludica che però innerva il gioco in ogni suo livello, attraverso un’operazione di citazionismo sistematico che richiama elementi del gameplay o del level design di altri giochi, dai classici fino a giochi più complessi e recenti come Spider-Man o Mirror’s Edge. Una specie di enciclopedia ironica del videogioco da rivivere e rigiocare attraverso le dinamiche peculiari di ciascun titolo.
In questo contesto, l’humour non è accessorio ma è parte integrante di un’operazione di decostruzione e ricostruzione degli stilemi di giochi classici: la parodia e i giochi di parole—i titoli dei livelli e le freddure che accompagnano il loro superamento—guidano il giocatore contestualizzando ogni livello, e dando allo stesso tempo corpo a nuove situazioni attraverso le varie forme di gameplay.
Ci si rende conto di quanto sia spinta questa riflessività quando, più avanti nel gioco, gli elementi dell’interfaccia stessa diventano in maniera complice e paradossale oggetti fisici di gioco, in un passaggio dalla forma al contenuto, dalla meta-cognizione dell’interfaccia all’elemento ludico puro e semplice—pensiamo all’indicatore di potenza del tiro che in un livello, proprio tenendolo caricato, diventa una barriera da agitare contro i nemici. What The Golf? fa leva su una sorta di metalinguaggio videoludico, che usa il golf allo stesso tempo come pretesto e come metafora del videogioco, proponendo nel mentre un rompicapo divertente, godibile e artisticamente ispirato.