La caduta di Nidosacro è un’infezione della membrana della memoria. Gusci vuoti e occhi sbarrati, gli insetti zombieficati inseguono lo Splendore di Nidosacro, il ricordo della sua spettrale bellezza.
Di questo splendore, tuttavia, in Hollow Knight scopriremo poco, anzi pochissimo. Non vedremo le architetture volute dal Re Pallido nella loro originaria bellezza, i rigogliosi viali di Verdevia ribollire di vita autentica e neppure il Nido dei Coleotteri ancora popolato della sua stirpe più fiera.
Per la verità, il sadismo degli sviluppatori di Team Cherry concede ben poco dell’intera lore di Hollow Knight al giocatore che non sia pronto ad avventurarsi, armato di pazienza e autodisciplina, oltre il primo e comunque ostico finale del gioco. Gioco che fa del martirio del giocatore—e dell’estasi ipnotica del retry che ne deriva—il suo fulcro da circa metà cammino in poi. In questo sadismo troviamo però una vitale corrispondenza, una vera e propria rima, con la ferocia e la spietatezza del mondo incantato e sotterraneo di Nidosacro.
Quando abbandonò la forma dell’enorme Uroverme, il Re Pallido si fece piccolo, a misura d’altro insetto, persino apparentemente benevolo: dotò i suoi nuovi sudditi di soggettività e ne accrebbe le capacità intellettive. Nidosacro divenne una società in cui era possibile vivere come individui, purché sottomessi al nuovo sovrano. Gli antichi dèi furono ridotti a vecchie superstizioni, smaterializzazioni sostituite da nuovi edifici e architetture fantastiche.
Ma il Re Pallido agiva per conto proprio, per il proprio godimento: perciò si allarmò quando si accorse che qualcosa sopravviveva ancora, della vecchia comunità tribale. Come una vecchia religione, le supposte virtù dello Splendore continuavano ad abitare—infestare?—i ricordi degli abitanti di Nidosacro. Non si può estirpare la natura dalla natura degli insetti. A noi umani, in fondo, non tocca forse la stessa sorte?
E cos’era poi questo Splendore? Qui c’è un cortocircuito interessante. Alfieri dell’ombra che si opporrà allo Splendore, ci chiediamo: la luce è vita? No, è semplice natura, proprio come la tenebra. Se il Re, come abbiamo visto, aveva dato individualità e potere a ogni singolo insetto a patto che restasse suddito, lo Splendore era pura natura entomologica: l’unità degli insetti, capaci di essere una mente sola e agire di conseguenza, ma evidentemente dimentichi di sé, di possedere una soggettività propria. Piccoli animali decervellati, ridotti a personaggi non giocabili incatenati a meccanici quanto diabolici pattern da seguire e ripetere all’infinito. La luce è cosa buona? No, ancora, come l’ombra è solo una manifestazione della natura—anche solo videoludica.
Il ricordo si fece allora infezione, e l’infezione bagliore, corruzione che corregge altra corruzione. Il Re Pallido dovette correre ai ripari. Con la Dama Bianca mise al mondo degli eredi, pargoli che dovevano sacrificarsi per contenere il potenziale ritorno dello Splendore. I sovrani scesero nell’Abisso e attinsero al Vuoto, sostanza liquida e nera di cui siamo tutti composti. Il sigillo era pronto, grazie ai Sognatori e all’eletto tra i pargoli: il Cavaliere Vuoto, sacrificio supremo, avrebbe contenuto l’Infezione facendosi ricettacolo, in catene all’interno dell’Uovo.
Inevitabile, l’Uovo è sempre covato e insieme cova qualcosa di nuovo. Il Cavaliere Vuoto originale era un vizio di forma: aveva conosciuto l’affetto del padre, perciò era anch’esso infezione, malattia, deviazione dal piano ordito dal Re. Il vuoto non era vuoto abbastanza, così l’Infezione dilagò comunque. Sarebbe arrivata un giorno una versione migliorata di quel sacrificio—cioè noi, il giocatore, il Cavaliere.
In Hollow Knight il giocatore-Cavaliere attraversa e scopre il Vuoto: cammina per ore, pellegrino e condottiero per le lande desolatissime di Nidosacro, immerso nell’incredibile scenografia e nell’intelligente progressione di poteri e incantesimi messe a punto da Team Cherry. Al culmine del suo cammino, quando dovrebbe essere pieno come in ogni endgame che si rispetti, il giocatore si scopre invece del tutto annullato, servo di piani e volontà altrui, a prescindere dal finale cui riuscirà ad accedere.
Comunque la si voglia mettere, Nidosacro è decadente e perduta nello scontro tra luce e tenebra; malickaniamente (The tree of life), la via della grazia del Re Pallido si scontra con la via della natura dello Splendore. Ma nessun equilibrio è possibile nell’eterno conflitto tra la società di individui-sudditi perseguita dal Re Pallido e la comunità unita ma schiava di un desiderio, quello dello Splendore, posto religiosamente al di fuori dalla comunità stessa; nessuna delle due ipotesi ha mai davvero contemplato l’emancipazione degli insetti come specie e individui insieme… Azzarderei: l’emancipazione del giocatore come artefice del destino suo come di quello del mondo di gioco, il quale—più che salvare o modificare radicalmente—si può giusto perturbare per qualche ora. Ma non è sempre così, per tutti o quasi i videogiochi?, non siamo sempre finti eroi, finti agenti del caos in un ordine prestabilito e immutabile?
C’è allora un vocabolo che traduce meglio in italiano l’Hollow del titolo di Team Cherry: non “vuoto” ma “vacuo”, come il ruolo del giocatore nelle vicende di Nidosacro, e ancora “cavo”, come di profondità in cui gettare un sasso e non sentire mai il tonfo che ne certifica l’arrivo sul fondo.
Stando così le cose, la natura e l’esistenza stesse non sono che infezione, il gioco un modo come tanti per rimandare il momento della presa di coscienza—devono finire l’estasi e il martirio, perché ci sia consapevolezza, ma quella fine è il dolore, e coincide completamente con esso. A quel punto sì, la cavità è pienezza, ma è un risvolto vacuo e fugace tra le pagine di un libro che si fanno polvere un attimo dopo che sono state lette. Se questa è la filosofia di Team Cherry, ed è una filosofia del contemporaneo, ancora una volta un videogioco racconta molto di più di ciò che, sornionamente, sembra negare con la sua stessa, apparente natura di puro intrattenimento.