Nel 2001 o giù di lì sentivo continuamente parlare di questo matematico premio Nobel che ci spiegava come rimorchiare. Il suo nome era John Nash, ma alle scuole medie tutti lo conoscevano come “il protagonista di A Beautiful Mind”. La sua teoria sembrava parlare di noi: alla scuola Dante Alighieri di Avellino esistevano due o tre, ehm, “reginette” (non saprei come altro definire il loro status ai nostri occhi) e quasi tutti i compagni di scuola ne erano innamorati. Credo che la psicologia sia in grado di spiegare su basi scientifiche il fenomeno dell’innamoramento collettivo, per me le reginette erano X-Men il cui potere consisteva nel comandare all’ippotalamo di rilasciare dopamina a fiumi.
Rispetto a una situazione del genere, Nash ci diceva che stavamo andando a sbattere contro un palo. Nella scena del pub di A Beautiful Mind, il matematico interpretato da Russell Crowe vede entrare una donna bellissima e consiglia agli amici di non ostacolarsi a vicenda corteggiandola tutti insieme. Invece suggerisce ai compagni di puntare alle amiche meno appariscenti, con le quali ci sarebbe stata una maggiore probabilità di successo. Se avessimo ragionato come John Nash nel film, io e i miei ex compagni di classe saremmo diventati incel. Per fortuna abbiamo imparato che le dinamiche sentimentali non si prestano a interpretazioni matematiche, nonostante il fallimento totale e definitivo di ogni tentativo di corteggiamento portato avanti in quei tre anni di medie-Medioevo incubo e inferno. Ma lasciate che la scena del pub sia, come per Ron Howard e la teoria dei giochi, un esempio anche per me.
Parlando in termini generali, possiamo dire che durante il corteggiamento la nostra funzione diventa quella di essere attraenti. Tuttavia, nell’interpretazione di Nash, la ragazza più bella del locale è l’unica che resta da sola. Magari a lei gli uomini neanche interessano, ma, in caso contrario, svolgerebbe così bene la propria funzione da provocare una reazione opposta, con la conseguenza di allontanare, invece che attrarre, gli interessati potenzialmente interessanti. La stessa cosa mi sembra sia successa ad Amnesia: The Dark Descent. Il primo capitolo della trilogia, sviluppato da Frictional Games, ha inventato il survival horror moderno. La funzione del survival horror è spaventare, ma Amnesia faceva così tanta paura da aver rischiato di essere conosciuto da tutti e giocato da nessuno. Amnesia: Rebirth, il terzo capitolo, veste quindi i panni di una delle amiche discrete, tentando di assicurarsi una fetta di corteggiatori. Siamo di fronte al paradosso degli inventori del survival horror moderno che si rendono conto di aver generato un mostro spaventoso e ingestibile e decidono di addomesticarlo.
Breve nota storica per inquadrare la questione. Durante gli anni Novanta il survival horror si affermò come uno dei generi di maggior successo sugli hardware dell’epoca. Ciò avvenne soprattutto con PlayStation, grazie ai franchise di Resident Evil e Silent Hill, ma i primi passi furono mossi da Alone in the Dark su PC e, secondo alcune interpretazioni, da Project Firestart, fanta-horror sulla falsariga di Alien uscito nel 1989 per Commodore 64. Nei Novanta il successo del survival horror poggiò su scelte di gameplay molto efficienti, in grado di girare intorno ai limiti dei primi esperimenti in 3D e sfruttarli a proprio vantaggio: sfondi renderizzati e legnosità dei comandi amplificavano il senso di vulnerabilità, alimentato a sua volta dalle poche munizioni a disposizione e da una trama che si sviluppava tramite diari, appunti e altre notazioni scritte, trasmettendo al giocatore l’idea di essere completamente isolato.
Durante la generazione di PS2, Xbox e GameCube, il survival horror non riuscì a sedurre i gamer come fecero altri generi, più cinetici. Nel 2008, Jim Sterling constatava amaramente che il survival horror era stato assorbito dall’action-game. Il 2010 fu l’anno di Amnesia: The Dark Descent. Frictional Games resuscitò un genere dato per finito, portando all’estremo il senso di vulnerabilità della vecchia scuola: nessun’arma e isolamento assoluto, al punto che neanche il protagonista conosce se stesso. Amnesia: The Dark Descent ha avuto successo per la portata rivoluzionaria del gameplay, ma i let’s play di PewDiePie, in cui lo youtuber over-reacta all’apparizione dei mostri, erano sia la ragione del successo del gioco, sia un avvertimento per gli sviluppatori. Frictional Games aveva creato il survival horror perfetto e, in quanto tale, Amnesia non sarebbe sopravvissuto all’hype, rischiando di essere fruito soltanto per interposta persona (cioè il povero PewDiePie, che trasformava i jumpscare in divertimento per gli spettatori).
Questo paradosso viene discusso da Thomas Grip in un’intervista con Vice. Il creative director di Amnesia: Rebirth sta parlando di un’altra opera, SOMA, fanta-horror ambientato nelle profondità marine, per molti ancora il pezzo da novanta di Frictional Games nonostante il plauso della critica a Rebirth. SOMA è una variazione sul gameplay di Amnesia, ma con il focus spostato sulla narrazione. Nonostante, giocandolo, si annusi l’odore di un capolavoro, le vendite non sono state soddisfacenti. «C’era una notevole quantità di player interessati, ma che non potevano giocare a dovere a causa delle parti horror/stealth», ricorda Grip.
Prima di pubblicare l’edizione per Xbox One, Frictional Games ha lavorato a una modalità in cui è impossibile morire, chiamata Safe Mode. Si tratta di una versione più raffinata di una celebre mod per SOMA, la cosiddetta Wuss Mode. L’idea di alleggerire lo stress dell’esperienza di gioco circolava tra gli sviluppatori già alcuni mesi prima del lancio, ma Grip decise di accantonare l’idea: «La ragione è che noi umani siamo abbastanza bravi a renderci la vita peggiore. Se esiste un modo per ottimizzare la nostra esperienza, tendiamo a farlo, invece di scegliere l’itinerario più coinvolgente e gratificante». Insomma, una Safe Mode potrebbe farci sentire meglio sul momento, quando, circondati da esseri bio-meccanici, sappiamo di non poter essere ammazzati. Ma il senso di sicurezza potrebbe andare a detrimento dell’esperienza generale e, giunti ai titoli di coda, potremmo scoprirci insoddisfatti di SOMA, non tanto per il gioco in sé, ma per il fatto che non lo abbiamo fruito nella maniera adeguata.
Grip non lo ha detto, ma quando si è messo al lavoro su un nuovo Amnesia, per come la vedo io, ha voluto risolvere il paradosso del survival horror troppo spaventoso per essere giocato. Da una parte Frictional non poteva sfornare un walking simulator in un campo di margherite, dall’altra non poteva abbracciare completamente le aspettative della fetta di pubblico più masochista. Gran parte degli sforzi produttivi sono stati indirizzati verso una storia di stampo lovecraftiano, che risuona di Alien e di un’estetica gigeriana. Per tutto il corso dell’avventura, torna in mente l’horror movie The Descent, con pennellate di Poe e il modus operandi di SOMA, l’unica citazione esplicitamente dichiarata da Grip insieme a Skeletons on the Zahara di Dean King, ricostruzione dell’epopea di alcuni naufraghi ottocenteschi attraverso il deserto africano.
C’è poi il tema della maternità. Per quanto mi sia abituato, da maschio, a vestire i panni di una protagonista femminile, andare in giro con il pancione di una donna incinta è stata un’esperienza di trasfigurazione che ancora dovevo sperimentare. Se il pavimento sotto i piedi di Tasi crollava, subito mi chiedevo come stesse il bambino. Se sentivo la creaturina scalciare, comandavo alla giovane disegnatrice di portarsi le mani sulla pancia. Tramite quel benedetto/maledetto neonato la trama mi ha agganciato. Dopo qualche ora di gioco ero legato emotivamente sia a Tasi sia al pupo: condurli entrambi alla sopravvivenza era diventata una missione sentita. Non lo sapevo, ma mi stavo addentrando nelle fauci spalancate di un gigantesco mostro che gli sviluppatori di Frictional hanno rivestito di drappi. Quando la trappola è scattata, mi ero addentrato troppo in fondo per uscire all’aria aperta prima che le mascelle immonde si chiudessero su di me. Ogni aspetto del mondo sciagurato di Amnesia è stato costruito per far entrare la paura sotto la pelle e far rabbrividire per tutte le cose brutte della vita.
L’horror è un linguaggio speciale perché si definisce attraverso le sensazioni che l’opera trasmette al fruitore. Diversamente dal western, che ha i cavalli e i duelli al tramonto, o il thriller, in cui c’è l’assassino, l’horror deve farci guardare in un pozzo buio e profondo. Non c’è una sola strada per raggiungere questo fine. Lo squalo è ambientato di giorno, in spiaggia, nel periodo più affollato della stagione estiva. Cosa ci sarebbe di più rassicurante in teoria? Anche Frictional Games ha messo da parte la solita attrezzatura, accompagnandomi all’autodistruzione con una storia che mi ha preso per mano senza mollare un attimo.
La paura di Amnesia: Rebirth è subdola, contagia l’anima lentamente e poi la lascia seccare per qualche ora. I jumpscare invece sono una successione di fiammate. Possono rappresentare un ostacolo per i deboli di cuore, ma una narrazione che avvelena goccia a goccia si è rivelata, nel mio caso, un accesso più facile a un posto non meno spaventoso. Non so dirvi se il dilemma della ragazza più bella del pub è stato aggirato e Frictional abbia trovato il modo di spaventare i giocatori senza respingerli. Se la paura di The Dark Descent è fisica, quella di Rebirth è viscerale. Per il resto, ciascuno di noi ha il suo modo di metabolizzare le emozioni, quindi esistono infiniti modi di fruire Amnesia: Rebirth.
Una cosa però si può dire. Mi viene in mente una distinzione che gli appassionati di horror cinematografico fanno rispetto ai film. Di solito, affermare che “una pellicola è piena di jumpscare” non è un commento lusinghiero. Significa che il regista ha preso la strada facile e la paura passa non appena le luci della sala si accendono. Ricordo che quando vidi The Ring restai impressionato dal nonsense surreale del filmato della videocassetta e, tornato a casa, staccai la spina della TV dalla presa a muro. Ecco, Amnesia: Rebirth mi sembra assimilabile a questa seconda categoria, più raffinata. Se vi sentite un’entità mortifera appollaiata sulle spalle nonostante abbiate spento il computer da un po’ di tempo, potete ammetterlo: gli sviluppatori di Frictional sono i maestri dell’horror nei videogiochi. E se proprio non ce la fate a reggere quei pochi jump scare che ancora rimangono nel gioco, beh, indovinate qual è la mod più scaricata anche in Rebirth?