Prima che l’esattezza di quanto riportato da una mappa geografica venisse garantita da foto aeree e immagini satellitari, la cartografia era un’arte strettamente intrecciata con l’avventura e con l’esplorazione; e dunque anche con l’errore, l’ambizione, talvolta la mitomania. Un caso clamoroso di errore fu quello di James Rennel, cartografo inglese stimatissimo, pioniere dell’oceanografia nonché fondatore della Royal Geographical Society, che nel 1798 si inventò di sana pianta delle montagne: i monti del Kong. Non si trattava di montagne qualsiasi, ma di un’imponente quanto inesistente catena montuosa africana lunga migliaia di chilometri, che si estendeva dalla Sierra Leone fino alla Nigeria. Si convinse della sua esistenza sulla base dei resoconti dell’esploratore Mungo Park, il quale in realtà affermava di aver visto solo due o tre vette; ma quella catena montuosa doveva esistere, così come l’aveva pensata ed era pronto a disegnarla, perché questo avrebbe confermato le sue intuizioni sul percorso del fiume Niger, e alla fine i monti del Kong rimasero sulle mappe per oltre un secolo. Rennel, se non altro, era in buona fede.
La cartografia ha dovuto vedersela anche con capitani che solcavano gli oceani in cerca di tesori e di avventure, nel frattempo piazzando qua e là a piacimento isole immaginarie per il puro piacere di attribuirsene la scoperta: quando nel 1875 il capitano Sir Frederick Evans della Royal Navy, esasperato, iniziò a cancellare le isole false dalle carte nautiche, arrivò a eliminarne 123—di cui, in un eccesso di zelo, tre del tutto reali che vennero presto reintegrate, come racconta Simon Garfield nel suo Sulle mappe.
Nelle ultime settimane sono stati pubblicati due puzzle game che ci restituiscono quei tempi bizzarri di esploratori e cartografi. Il primo a uscire è stato A Monster’s Expedition, il nuovo rompicapo con cui il game designer Alan Hazelden rinnova ancora una volta il suo sodalizio col programmatore Benjamin Davis, insieme al quale ha già realizzato sia A Good Snowman Is Hard To Build che Cosmic Express. Alan Hazelden negli ultimi anni anni sta scrivendo pagine importanti della storia di questo genere videoludico, e A Monster’s Expedition è forse il suo progetto più grande e ambizioso, perché riprende la componente open world da puzzle game in prima persona come The Talos Principle e The Witness, e riesce a metterla al centro di un rompicapo dall’impianto tradizionale.
Il protagonista del gioco è un simpatico mostro che esplora un mondo composto da tantissime piccole isole: sono tutte molto vicine tra loro, e su ognuna di esse crescono degli alberi che il giocatore può abbattere per poi spingere i tronchi in acqua e creare così una passerella da attraversare per raggiungere un’isola vicina. A Monster’s Expedition in questo modo unisce mirabilmente una classica divisione in livelli—ogni isola è un puzzle—con un mondo di gioco unico e interconnesso, sia a livello di gameplay, dato che il giocatore è invitato a un’attività di esplorazione libera e non lineare da una meccanica di fast travel, sia a livello narrativo, perché nel frattempo gli viene raccontata una storia.
Nel mondo di A Monster’s Expedition veniamo infatti presto a scoprire che gli esseri umani sono scomparsi, lasciando però qualche traccia: i mostri hanno raccolto e catalogato i reperti che hanno trovato e li hanno esposti su alcune isole. Ognuno di essi è accompagnato, come nei musei, da una targhetta con una descrizione: i testi sono tutti molto divertenti da leggere, perché i mostri nella maggior parte dei casi mostrano o di aver travisato completamente la funzione dell’oggetto esposto o di aver colto fin troppo bene il carattere e le abitudini degli esseri umani—e in questi casi il tenore è quello di un’intelligente ironia. Della scrittura si sono occupate in fase di pre-produzione Hannah Nicklin (già autrice di Mutazione) e in seguito Philippa War, e grazie al loro lavoro il gioco presenta quella fascinazione per le civiltà remote o scomparse tipica delle esplorazioni del 1700 e del 1800, anche se poi la principale connessione con quelle spedizioni avventurose sta nell’esperienza del giocatore, che del mondo di gioco arriverà a vedere solo la porzione a cui la sua abilità e i suoi successi gli consentiranno di accedere.
Proprio come i vecchi esploratori venivano costretti a interrompere o abbandonare le loro spedizioni di fronte a tempeste, ammutinamenti, temperature o condizioni meteorologiche estreme, anche al giocatore capiterà di trovarsi bloccato su alcune isole senza sapere come procedere. A Monster’s Expedition non è un gioco facile: con i pochi elementi sopra descritti Alan Hazelden ha saputo ricavare puzzle di crescente complessità. La forma delle isole, il numero e l’altezza degli alberi presenti, le rocce e i ceppi che rimangono a intralciare lo spostamento dei tronchi creano situazioni sempre diverse. Bisogna pianificare bene le proprie mosse, a partire dalla direzione in cui abbattere gli alberi, e anche in cui spingere i tronchi, che continuano a rotolare finché non incontrano un ostacolo o finiscono in mare. Alan Hazelden, come nei suoi giochi precedenti, a partire da quel Mirror Isles già ambientato su delle isole, sembra poi avere il dono di anticipare il pensiero del giocatore.
In genere nei puzzle game o si coglie al volo la soluzione oppure si procede per tentativi ed errori fino a trovarla; ma solo nei migliori ci si rende conto di essere stati anticipati, e ci si inizia quindi a chiedere se la propria linea di azione sia davvero propria oppure indotta dal game design, e nel caso se sia comunque corretta e solamente ostacolata di proposito, o se invece si tratti di un suggerimento sbagliato, di una trappola, di un’esca messa lì a nascondere una soluzione completamente diversa, magari persino più semplice, e allora tutto diventa estremamente mentale, e appagante. Nei rompicapo di Alan Hazelden questa cosa accade di continuo.
Carto, sviluppato dallo studio indipendente di Taiwan Sunhead Games, è un gioco completamente diverso: si tratta di un rompicapo dalla forte impronta narrativa, la cui protagonista è una bambina che deve ricongiungersi con la nonna. Le sue avventure sono adorabili, nello stile dei sempre più popolari wholesome game, e i puzzle—relativamente facili da risolvere—si basano su una meccanica geniale e molto originale, per la quale il territorio è sempre uguale alla mappa che lo rappresenta. Ciò vuol dire che il giocatore può prendere i pezzi della sua mappa, combinarli come preferisce, e veder cambiato di conseguenza il mondo di gioco. Carto ci riporta così alla mente le mascalzonate degli esploratori che ritenevano di poter disporre a piacimento delle mappe inserendovi punti d’interesse inesistenti nella realtà.
Capiterà ad esempio alla protagonista di venire a sapere che troverà un certo oggetto o incontrerà un certo personaggio in un luogo con determinate caratteristiche: una zona costiera a nord, una pianura a est, un lago con una forma particolare, un gruppo di rocce disposte in circolo, la foce di un fiume, una grande foresta, e così via. Nel mondo di gioco inizialmente non si troverà nulla di simile, ma come abbiamo visto in Carto il territorio si adatta in modo da corrispondere a qualsiasi cambiamento avvenga sulla mappa, perciò dopo aver ottenuto i pezzi di quest’ultima basterà aggiungerli o modificarne la disposizione per creare i luoghi in cui l’avventura potrà proseguire.
Come nel gioco da tavolo Carcassonne, sarà possibile accostare un pezzo di mappa a un altro solo se ci sarà contiguità negli elementi disegnati. Gli sviluppatori sono stati abili nell’alternare paesaggi diversi, passando da boschi a deserti a lande ghiacciate, e sopratutto a proporre variazioni sempre nuove della meccanica di gioco, abbastanza fresche da mantenere vivo l’interesse del giocatore, ma allo stesso tempo coerenti in modo da non farlo mai sentire spaesato. Il gioco si completa in circa sette ore, e ogni sessione lascia un senso di meraviglia e un sorriso stampato sul volto. Per gli appassionati di rompicapo, mappe e cartografia sia Carto che A Monster’s Expedition sono giochi da non perdere.