Tradizionalmente l’hardware per il gaming portatile è sempre rimasto un po’ indietro rispetto alla sua controparte casalinga, un po’ come le prime console rispetto ai cabinati nelle sale giochi. Con l’arrivo di Nintendo Switch questo distacco è stato in larga parte colmato. La console ibrida di Nintendo, comunque, è senz’altro il sistema meno performante della sua generazione, perciò è sempre un po’ sorprendente vedere studi come Panic Button e Saber Interactive realizzare porting “impossibli” come, rispettivamente, DOOM Eternal e The Witcher 3.
Una pubblicazione multipiattaforma ormai è diventata possibile su console casalinghe e portatili soprattutto grazie agli smartphone di fascia alta, su cui giochi come Fortnite, Genshin Impact o eFootball (il vecchio PES) escono con le medesime caratteristiche, con tanto di cross-play e cross-save. Il cloud gaming, inoltre, permette di giocare su qualsiasi schermo a prescindere da quale hardware ci sia dietro.
La parità tra tutte le piattaforme è un’utopia che il settore inseguiva da sempre, perché chi vuole tornare ai tempi in cui la versione portatile di un blockbuster offriva un’esperienza inferiore rispetto al grande schermo? Oggi potremmo chiamare “demake” quelle conversioni per console portatili: versioni ridotte all’osso dei giochi originali, in alcuni casi con la visuale portata dal 3D a un 2D meno esigente dal punto di vista grafico.
Come abbiamo scoperto parlando con diversi sviluppatori che hanno dovuto fare l’impossibile nell’era dei demake, tuttavia, si trattava di una stimolante frontiera creativa, in cui si applicava la filosofia cara a Gunpei Yokoi di applicare il pensiero laterale a tecnologie ormai sorpassate.
Il Game Boy Advance era un sistema a 32 bit, e non era stato progettato per i giochi in 3D. Questo non ha impedito a molti intrepidi sviluppatori di fare un tentativo—in effetti, uno dei titoli di lancio fu Tony Hawk’s Pro Skater 2, per il quale lo studio Vicarious Visions riuscì a prendere il codice originale di Neversoft per PS1 e a trasferirlo su una console portatile, ricreando con fedeltà l’esperienza di gioco, inclusi gli skater e i livelli, in un 3D isometrico.
«Per questo motivo molta gente ancora oggi dice che sembrava di giocare su PlayStation—perché stavamo facendo girare lo stesso codice della PlayStation sul Gameboy Advance», spiega Matt Conte, lead programmer di Tony Hawk’s Pro Skater 2 e membro della divisione di Vicarious dedicata alle piattaforme portatili, chiamata scherzosamente Team Baisoku (il riferimento qui è a una funzione mai tradotta dalla documentazione Nintendo del Game Boy Color, che permetteva di raddoppiare la velocità del processore; loro si consideravano degli outsider che dovevano lavorare il doppio rispetto agli altri studi).
Il porting di Tony Hawk ha del miracoloso soprattutto perché Nintendo chiarì subito che il Game Boy Advance poteva leggere solo codice C, e non il C++ usato da Neversoft per programmare il gioco originale. «Ho fatto tutto il lavoro di hacking necessario affinché il C++ potesse funzionare sulla piattaforma e lo passai a Nintendo, che lo pubblicò sul proprio sito dedicato agli sviluppatori», racconta Conte. «Eravamo un po’ più affamati in quegli anni, e non ci spaventava l’eventualità di correre qualche rischio. Anche quando Nintendo ci diceva che non potevamo fare qualcosa, andavamo avanti e la facevamo lo stesso».
Persino gli asset si basavano su quelli originali, per quanto scalati, mentre le ambientazioni hanno dovuto essere reinterpretate per adattarsi a una prospettiva isometrica. La sfida maggiore, comunque, era animare lo skater. «Si è trattato fondamentalmente di un lavoro di ottimizzazione», spiega Conte. «Molti giochi di Vicarious Games fino a quel momento avevano usato personaggi renderizzati in 3D come sprite 2D. Ma non è possibile fare la stessa cosa con una prospettiva isometrica, perché lo skater può prendere letteralmente qualsiasi direzione, e sarebbe stato necessario uno spazio su disco quasi infinito». Invece, Conte calcola che Tony Hawk’s Pro Skater 2 ha circa 5000 frame di animazione, e il sequel 7500—tutti contenuti in pochi megabyte di memoria.
«La memoria è sempre stata un problema», dice. «In Tony Hawk’s Pro Skater 3, senza alcun lavoro di ottimizzazione, avremmo dovuto escludere dal gioco un intero livello. Questo è il tipo di decisioni difficili che bisogna prendere quando si lavora su una piattaforma con una memoria davvero limitata». Ha perciò ancora più valore il successo di questo porting su Game Boy Advance—un successo tale da spianare la strada a diverse iterazioni successive, e persino a un adattamento di Jet Set Radio realizzato seguendo metodi simili.
Anche se occuparsi di piattaforme portatili potrebbe sembrare la Serie B dello sviluppo di videogiochi, questi studi più piccoli, spesso in outsourcing, dovendosi accontentare di hardware meno potente erano spesso un’ottima strada per entrare nel settore prima che gli indie divenissero importanti, per non parlare dell’opportunità di lavorare su grandi IP senza dover disporre di enormi budget. Ne è un esempio Daniel Collier, producer e programmatore presso Exient, una società con sede a Oxford che aveva realizzato molti porting per EA nell’era di Game Boy Advance e DS, tra cui quello di The Sims 3 per DS nel 2010, un anno dopo le versioni per PC e altre console.
«Ogni volta che fai un porting per una piattaforma portatile, verrai accusato di aver sgretolato un gioco», dice, fin troppo consapevole dell’atteggiamento prevalente secondo cui molti giochi portatili sono pigri tie-in economici che potrebbero essere considerati quasi dei falsi. Certamente si sarebbe potuto dire questo per alcune versioni di The Sims su Game Boy Advance, che in realtà erano solo una serie di mini-giochi completamente slegati dalla serie principale. «Questo è stato uno dei motivi per cui con The Sims 3 abbiamo voluto creare un vero The Sims: non volevamo ricevere quelle critiche».
Electronic Arts non solo ha dato il via libera al porting, ma ha fornito a Exient molte risorse, tra cui la ROM più grande disponibile per le cartucce DS, un anno di tempo di sviluppo (che allora era “molto per un titolo portatile!”) e persino il codice sorgente, sebbene fosse da usare solo per riferimento. Ciò che il team ha preso dalla versione PC di The Sims 3 sono stati i modelli e le animazioni, riducendone poi i dettagli in modo che fossero gestibili su DS. «Penso che gli artisti abbiano effettivamente dovuto prendere i modelli e ridimensionarli, rimuovendo poligoni per farli funzionare, quindi c’è stato un processo umano», aggiunge Collier. «Ricordo di aver scritto del codice per comprimere le animazioni, che gli artisti poi sarebbero andati a sistemare».
Non tutte le funzionalità vennero mantenute, in particolare si registra l’assenza dei bambini e del famoso “woohooing” dei sims, anche se non è chiaro se ciò fosse dovuto a limitazioni tecniche o al fatto che la versione DS aveva una classificazione in base all’età inferiore; la presenza di un mondo esterno da esplorare, un elemento inedito nella serie, venne invece replicato. «Avevamo anche una mappa piatta in 2D su cui fare clic per spostarsi in luoghi diversi, ma alla fine siamo stati in grado di aggiungere un mondo 3D in cui muoversi», dice Collier. «C’erano molte decisioni da prendere su cosa avremmo conservato, ma in generale abbiamo cercato di mantenere l’essenza dell’esperienza di gioco».
Pur restando distante dall’esperienza completa su PC, il Nintendo DS ha comunque segnato la prima iterazione riconoscibile del simulatore di vita di Maxis su una piattaforma portatile. Il doppio schermo del sistema si è rivelato utile anche per la gestione degli immobili, oltre a fornire la possibilità di trascinare e rilasciare oggetti ed edifici. Successivamente è stata realizzata anche una versione migliorata per 3DS, sebbene questa non sia stata opera di Exient.
Se c’è un ottimo esempio del tentativo di realizzare un blockbuster tripla A ricco di azione per una piattaforma a cui non è mai stato destinato, è sicuramente la serie Call Of Duty. Tuttavia, l’impresa non era così impossibile come ci si potrebbe immaginare. Dopotutto, prima che lo sparatutto militare di Activision diventasse un appuntamento annuale, aveva avuto persino un gioco sullo sfortunato Nokia N-Gage, mentre lo studio n-Space con sede in Florida aveva già sviluppato in precedenza un motore per uno sparatutto in prima persona su DS, in occasione del porting di GoldenEye: Rogue Agent.
Anche se si potrebbe considerare il Modern Warfare su DS come un porting—condivideva persino la stessa copertina delle altre versioni—il produttore Michael S. Lee precisa: «In realtà non c’è niente di simile a un porting qui», dice. «Non c’era nulla da prendere dalle altre console per metterlo su un DS: semplicemente non avrebbe funzionato».
La versione portatile non segue nemmeno la stessa storia della versione principale. In effetti, Lee ricorda che all’inizio c’era stato uno strano balletto di segreti con l’editore. «In pratica, Activision ci ha detto: “Non possiamo anticiparvi nulla sulla storia principale del gioco. Possiamo dirvi che lo scenario sarà il Medio Oriente, e possiamo fornirvi indicazioni generali di questo tipo, ma voi ragazzi dovete inventare la vostra trama”», racconta Lee. La storia avrebbe anche dovuto essere approvata o portata in un’altra direzione nel caso in cui avesse avuto troppe cose in comune con ciò che lo studio principale, Infinity Ward, stava facendo in quel momento.
Ciò ha portato n-Space a scegliere di impostare i suoi giochi come titoli “di accompagnamento”, e Lee si riferisce ai personaggi della versione portatile (riconoscendo il ruolo svolto da n-Space) come a una “squadra B”. Anche se l’idea di giocare nei panni di un’unità secondaria le cui azioni supportano lo scenario principale poteva generare aspettative al ribasso sul livello che la versione DS avrebbe raggiunto, il team non voleva certo accontentarsi di un’esperienza a metà che avrebbe deluso i fan del franchise Call of Duty.
Era comunque necessario creare momenti sorprendenti, un clima drammatico e, naturalmente, le grandi esplosioni per cui la serie è nota. A causa dei limiti del DS, in grado di contenere solo un massimo di 2048 poligoni e con poco spazio di memoria a disposizione, in ogni livello lo spazio doveva essere impiegato con cura, quasi si trattasse di ripostigli, dando però ai giocatori l’impressione di vagare in un ambiente aperto e realistico.
«Dovevamo essere molto decisi nel modo in cui facevamo le cose, essere consapevoli di ogni caratteristica presente nel codice, dalla trama all’audio, dai personaggi al numero di IA sullo schermo: tutto ciò che occupava memoria», spiega Lee. «Ci siamo seduti a così tante riunioni a scrivere sulla lavagna proprio dove veniva spesa la memoria. Dovevamo sapere tutto ciò che accadeva in quel gioco e dovevamo tenere conto di ogni byte per spremere assolutamente tutto. Potendo recuperare anche solo 10 kilobyte da una funzionalità in termini di codice, avremmo potuto aggiungere in compenso una fantastica esplosione. Pagavamo Tizio con i soldi di Caio».
Le avventure portatili di questi sviluppatori risalgono a più di un decennio fa: molti di coloro che ci hanno lavorato ora si sono trasferiti in altri campi. Lee non è più impegnato nello sviluppo di giochi, mentre sia Conte che Collier ora sono specializzati in VR, una frontiera relativamente nuova con altri limiti da considerare. Tuttavia, hanno tutti un senso di orgoglio per i giochi portatili che hanno realizzato, anche se la storia tende a trascurarli.
Conte descrive Tony Hawk’s Pro Skater 2come il progetto preferito della sua carriera, e dice: «Penso che ci sarà sempre un posto nel mio cuore per le console portatili. Abbiamo avuto così tanti problemi e li abbiamo affrontati a testa alta». Collier considera Switch una piattaforma persino un po’ “noiosa”, nonostante i suoi evidenti vantaggi. «Il DS e il GBA ai loro tempi erano console nuove ed eccitanti», dice, «e poiché la gente capiva che non erano affatto vicini alla qualità delle console, avevi anche un po’ più di margine di manovra nella rivisitazione dei giochi, e potevano scaturire nuove idee». «Quello che mi piaceva del DS era l’idea di non poter risolvere un problema semplicemente aggiungendo un sacco di soldi o di poligoni», afferma Lee.