Forse Baldur’s Gate 3 è un gioco nato vecchio, e lo intendo come il più grande complimento che io abbia mai fatto a un gioco.
C’è un sapore di antico, qualcosa che è stato chiuso in una botte di frassino negli anni Novanta e tirato fuori oggi per essere assaggiato da persone che festeggiano la sua stessa esistenza. Ci giochi e istantaneamente sei trasportato ai grandi CRPG (e RPG e basta) del passato—le scelte, la trama, le idee, le infinite possibilità e variabili che si intersecano tra di loro fanno immediatamente pensare che no, non è vero che non fanno più giochi del genere. Che siano gli intrighi di Morrowind o i deserti nucleari dei primi Fallout, le radici di Baldur’s Gate toccano acque antiche, acque che nessun pozzo aveva più raggiunto da anni.
È un gioco che rispecchia un ethos che vede i videogiochi come un linguaggio a sé stante, slegato dalla logica di cinema o televisione. In un film, quando il protagonista decide che è ora di tradire la persona per cui sta lavorando, ci sono scene e parti recitate e tagliate per mostrare il dramma della situazione; in Baldur’s Gate 3, così come in passato, non ci sarà (sempre) una cutscene che punta la telecamera sulla situazione—a volte c’è solo una visione mentale della storia, una sovraimpressione della fantasia (io mi ribello) al letterale (il sistema di gioco attiva una battaglia in cui un personaggio precedentemente alleato è un nemico) dove è il roleplaying mentale del giocatore a fare da padrone. È una partecipazione attiva, il senso più puro del verbo “ruolare”.
E il gioco è pensato per accomodare questi voli di fantasia. Se ci pensi puoi farlo, e se puoi farlo, si va avanti comunque. Il rapporto tra avatar e giocatore si fa sfumato, interpretando meno un ruolo e più un direttore in grado, se spinto dalle capacità e dalla fortuna dei dadi, di creare una storia tra l’epico e il giocare con le bambole che…
No, così non funziona. Riproviamo.
Forse Baldur’s Gate 3 è un gioco nato ricco, e lo intendo come il più grande complimento che io abbia mai fatto a un gioco.
È difficile far capire a chi non è del settore quanto questo gioco sia una cosa impossibile nello sviluppo moderno. Per dirla in maniera semplice: i giochi non lineari—in cui puoi prendere decisioni che fanno ramificare la trama e creano risultati diversi—crescono in complessità in una maniera esponenziale. Se io ho una scelta che cambia radicalmente la storia, il gioco si divide in due—e entrambe le parti vanno sviluppate con la stessa cura. Se io ho un’altra scelta, si divide in quattro; un’altra, otto; un’altra sedici, e oltre quel punto la situazione diventa impossibile da gestire per qualunque studio.
È per questo che, dietro le quinte, molte scelte presentate ai giocatori sono “false” scelte—qualcosa che cambia un fattore visivo, o un dettaglio minimo, o che si ricongiunge alla trama principale più avanti senza creare cambiamenti fondamentali. “Tizio si ricorderà di questa scelta” è spesso un modo per condizionare il giocatore a dar peso a azioni che, fondamentalmente, hanno poco peso ma impattano a livello psicologico—escluse ovviamente le poche azioni che hanno un’importanza rilevante, e che il giocatore non può riconoscere a priori. Il motivo di questo sotterfugio è semplice: se si inizia a ramificare come sopra, i costi di produzione rendono qualunque videogioco troppo esoso per essere realizzato. È un patto col diavolo che ogni studio deve fare. Senza di esso, non si possono creare videogiochi non lineari.
Pare però che nessuno l’abbia spiegato a Larian. Baldur’s Gate 3 sembra un gioco con un budget infinito: le scelte sono presenti e costanti lungo tutta la trama, scelte dalla portata e dall’impatto enorme—personaggi che muoiono o diventano tuoi nemici, o amici, intere fazioni che possono essere spazzate via o reclutate al tuo servizio in quasi qualunque momento, bastoni che possono essere messi fra le ruote dei cattivi (e dei buoni) senza nessun limite. Il cattivone di turno fa il suo discorso su quanto è potente e quanto sei debole, e chiaramente è il momento in cui lo stabiliamo come una minaccia per tornare a ucciderlo 15 ore e 7 livelli dopo? Tu comunque puoi provarci—e con un po’ di fortuna e molta preparazione, lo puoi uccidere. E la storia continua tenendone conto.
E tutto questo condito da valori di produzione altissimi. Tutti, tutti i personaggi sono doppiati—anche la gente a caso in giro per le città—il mocap è fenomenale, la grafica è eccezionale, il sistema di combattimento è profondissimo e ricorda più un immersive sim alla Deus Ex o Bioshock che un RPG. È qualcosa di assurdo, un gioco che richiede una quantità di competenze e soprattutto di fondi che lo rende impensabile e improponibile per qualunque altro studio. È un miracolo di produttività, un capolavoro di early access, un…
No, è riduttivo. Potrei parlarne per ore, ma queste sono ciliegine, non la torta. Proviamo di nuovo.
Forse Baldur’s Gate 3 è un gioco nato storto, e lo intendo come la più critica più combattuta che io abbia mai fatto a un gioco.
Non posso scrivere di Baldur’s Gate 3 senza partire dal fatto che non c’è stata una singola sessione di gioco che non si sia conclusa reprimendo un urlo di rabbia. I bug, le meccaniche spiegate male, il fatto che basta un click pochi pixel più a destra per sputtanare ogni singola strategia, un nemico che resta in piedi a spada sguainata anche se è morto, “Oops! Invece di parlare con questo compagno lo hai attaccato, e ora hai fallito la sua quest!”, la delusione di un character creator dalla profondità di una pozzanghera. Potrei fermarmi qui, ma non voglio.
I personaggi che si rifiutano di camminare dove clicchi e non capisci perché, i compagni che camminano allegramente su trappole già identificate, pulsanti totalmente visibili ma che non puoi premere perché i dadi non te lo permettono, costanti problemi di animazione e di transizione delle telecamere… È un approccio molto vicino ai grandi RPG del passato—lo stesso Morrowind aveva un lavoro di scrittura, fazioni e scelte allucinante ma un sistema di combattimento che variava dal mediocre all’osceno, e una quantità di bug che solo Bethesda riterrebbe accettabile. C’è sempre da considerare un po’ di ruggine quando si parla di RPG, ma a un certo punto bisogna anche pensare di fare un salto dallo sfasciacarrozze.
Sono stanco di ripetere sezioni per riparare disastri con cui non avevo niente, niente a che fare. Baldur’s Gate 3 è un gioco che vive di F5 e F8—non per rifare tiri di dado sfortunati ma per correggere errori che ti vengono tirati addosso con la catapulta. La quest che ho appena fallito è buggata, oppure c’è qualcosa di poco chiaro, o un personaggio che non appare, o un personaggio che ha deciso di fare un tuffo nella lava mentre non stavo guardando? Boh. Il gioco ti lascia confuso, schiacciato allo stesso tempo dal peso di scelte difficilissime e dal non sapere se le cose funzioneranno secondo i piani di chi le ha progettate.
E sappiamo che Larian ha smesso di lavorare al gioco, quindi queste cose resteranno per sempre presenti—un ricordo costante che quello a cui stai giocando non è una storia fantastica, ma un insieme di leve e ingranaggi che può rompersi in qualunque momento per fattori totalmente al di fuori del tuo controllo. È un gioco dalla bellezza struggente, un diamante la cui brillantezza ingigantisce ogni piccolo difetto ben oltre l’impatto che avrebbe in un titolo meno audace. Ma questo lo rende ancora più frustrante.
Quando concludi una battaglia difficilissima, in cui sei sopravvissuto per un soffio, contro un sacco di nemici e un boss di livello epico, e l’NPC che dovevi salvare si dirige verso il tornado di pugnali che avevi piazzato con gioia spensierata (per poi morire istantaneamente) ti viene voglia di lanciare il mouse contro il muro. È sfiancante. È costante. Ogni singola sessione qualcosa si rompe o va storto per motivi totalmente incontrollabili, e allora vai a cercare di capire quale fosse l’ultimo salvataggio prima che il gioco decidesse che ti stavi divertendo troppo…
Così però è troppo negativo. Il gioco ha difetti, ma va ben oltre la somma delle sue parti. Ricominciamo.
Forse Baldur’s Gate 3 è un gioco nato libero, e lo intendo come il più grande complimento che io abbia mai fatto a un gioco.
Nel gioco puoi rompere una botte di olio combustibile per creare una pozzanghera di olio combustibile; puoi spostare oggetti e mettere nel tuo inventario qualunque cosa sia interagibile, se hai abbastanza spazio e forza; puoi piazzare oggetti come vuoi in qualunque situazione. Il gioco ha un sistema di fuoco simulato per cui se un oggetto in fiamme tocca un oggetto infiammabile, quest’ultimo prende fuoco.
Mi aspettavo di giocare a un signor RPG, ma non mi aspettavo un immersive sim—un gioco che premia le statistiche quanto la capacità di improvvisare con una miriade di strumenti a disposizione. È un lavoro dalle possibilità infinite e non solo dal punto di vista delle scelte o della trama—è una serie costante di opportunità e interazioni, ogni battaglia una partita a scacchi con un sacco di sistemi, molti dei quali la maggior parte dei giocatori non scoprirà mai.
La cosa è spesso opprimente—con così tanta libertà, ogni singola mossa porta con sé un’enorme dose di dubbio: “è stata la scelta migliore o mi sono fregato da solo?”, e alla lunga c’è una certa pesantezza nel dover affrontare questo tipo di impegno mentale. Ma il fatto che sia possibile e quasi sempre bilanciato per bene è assurdo.
È un treno a cui non gliene frega niente se segui le rotaie o se passi il tempo a cercare di farlo deragliare—e può sembrare una critica, ma in realtà è l’esatto opposto. Hai un bonus se attacchi con un arco da una posizione sopraelevata rispetto al nemico? Puoi impilare delle casse e saltarci sopra, e via di colpi critici. Non riesci a scassinare una porta? Il tuo personaggio con l’attacco più forte può distruggerla. Oppure puoi usare un esplosivo. Oppure puoi cercare un passaggio alternativo. O qualche magia per teletrasportarsi, o per trasformarsi in nebbia e passare nei pertugi, o…
Faccio un respiro.
Devo arrendermi.
Non so come parlare di Baldur’s Gate 3. O meglio, ogni volta che mi siedo per ricominciare l’articolo da capo mi rendo conto che sto raccontando solo una parte di un insieme profondo e complesso, opprimente e fenomenale, allo stesso tempo grezzo e raffinatissimo, qualcosa di inarrivabile per il resto dell’industria e impresentabile per un team indie. Un gioco che si posiziona al di fuori di qualunque metro di giudizio da uno a dieci. Un gioco di cui non riesco a venire a capo e a cui non riesco a smettere di pensare.
Per ora meglio che mi prenda una pausa. Dopo straccio tutto e riscrivo. Intanto, mentre mi schiarisco le idee, tanto vale iniziare un altro playthrough. Ci sono ancora così tante cose da scoprire. Così tante battaglie da vincere. Così tanti personaggi da baciare.
Forse stavolta ricomincio con un barbaro.