Occorre in effetti forzare un po’ la definizione, ma Cyberpunk 2077 può essere considerato il più grande videogioco indipendente del 2020, se non di sempre. CD Projekt Red è quotato in borsa, quindi non può essere in alcun modo un vero studio indipendente, ma comunque sviluppa e pubblica i propri giochi in maniera autonoma, senza fare affidamento su alcun supporto esterno.
Il Cyberpunk originale, ambientato nel lontano e futuristico 2013 (il sequel si sposta in avanti di sette anni e diventa Cyberpunk 2020), era un GDR di quelli da giocare con carta e penna. Presentava un mondo neo-noir fatto di multinazionali in lotta tra loro e di innesti cybernetici; l’etica sottostante per i giocatori era più o meno questa: lo stile più della sostanza, l’attitudine è tutto, vivi al limite.
Per qualche strana ragione abbiamo dovuto aspettare fino al 2020—nel mondo reale, non nel gioco—per veder arrivare un vero adattamento di questo gioco da tavolo così influente. Quando divenne noto che CD Projekt Red, lo studio responsabile della serie The Witcher, era al lavoro su Cyberpunk 2077, l’entusiasmo era più che comprensibile: sarebbe stato un vero gioco di ruolo, e di sicuro lo stile non avrebbe avuto la meglio sulla sostanza.
Finora le cose promettono bene. La sostanza è supportata da una considerevole libertà d’azione per i giocatori, che possono affrontare le missioni in prima persona nell’open world di Night City nel modo che preferiscono. Vuoi assaltare chiunque con un arsenale futuristico? Lo puoi fare. Preferisci un più silenzioso approccio da hacker? Puoi essere inarrestabile con maggiore discrezione.
Abbiamo raggiunto Richard Borzymowski, producer di Cyberpunk 2077, per saperne di più su questo attesissimo gioco—ci sono poche persone migliori di lui a cui potersi rivolgere per chiedere come sarà un progetto così vasto e ambizioso.
Ci è voluto un sacco di tempo, ma ormai ci siamo quasi. Com’è l’atmosfera nello studio mentre si avvicina la data del lancio?
Non vediamo l’ora. Davvero non vediamo l’ora. Abbiamo lavorato a lungo su questo gioco. Quando Mike Pondsmith ha creato il gioco da tavolo negli anni Ottanta, uno dei motti era lo stile prima della sostanza; ai giocatori si richiedeva di usare l’abbigliamento per esprimere ciò che rappresentavano, e l’abbigliamento doveva essere sempre esagerato. Sappiamo che se vogliamo rendere giustizia al GDR originale dobbiamo non solo fare un buon gioco, ma anche dargli uno stile unico, e un mondo unico. Tutti i nostri sforzi e le nostre energie sono andate in questa direzione.
È difficile immaginare quanto lavoro abbia richiesto. Come puoi descrivere il processo che porta alla progettazione di una zona del mondo, il suo aspetto, e così via?
Se inizi a pensare a qualcosa di molto specifico come un edificio, se parti dai più piccoli dettagli, non riesci a fartene un’idea. Se ti guardi intorno a inizi a costruire a partire da una visione, la visione di un mondo che esiste 57 anni dopo quello immaginato da Mike Pondsmith, allora più o meno sai in che direzione andare. La sceneggiatura è venuta per prima, e da quella sono derivate le missioni. A questo punto, dovresti avere una buona idea di quali principi di design adottare. Nel nostro caso, si è trattato di dare quanta più libertà possibile al giocatore, opportunità da cogliere nel mondo di gioco aperto, modi per personalizzare il personaggio, e così via. Quando stai progettando una missione, devi accertarti che sia in linea con questi principi di design, e possa quindi essere completata utilizzando diversi stili di gioco, e lo stesso vale per le sue ramificazioni—quanto a noi, è uno standard per il quale siamo conosciuti. È complesso—le scelte contano davvero. Cominci a introdurre personaggi che non possono essere estromessi dal gioco principale. Puoi finire col produrre missioni secondarie che hanno a loro volta missioni secondarie.
In tutto questo, ci sono scenari e ambientazioni da costruire.
Decidere in quali scenari è ambientato il tuo gioco è la prima cosa da fare. Nel nostro caso non c’era da starci troppo a pensare, perché il gioco di ruolo di Mike Pondsmith, certo, poteva essere giocato ovunque, ma la zona principale era Night City. Ci siamo attenuti a questo. Lo scenario principale in Cyberpunk 2077 è sempre Night City. Mentre le missioni vengono progettate sai anche quali spazi richiedono, quale genere di ambientazione, che tipo di posti—e così prende forma la città. In realtà, la prima cosa che credo abbiamo dovuto fare era progettare la mappa. Mike affermò nel gioco originale che Night City si trova sulla West Coast, così abbiamo iniziato a prendere come riferimenti Los Angeles e San Francisco—ma anche altre grandi metropoli, i più grandi agglomerati urbani nel mondo. Ci sono molti riferimenti al Giappone in Night City. Abbiamo studiato Tokyo e preso ispirazione da lì. Abbiamo collezionato davvero tanto materiale. Poi abbiamo iniziato a selezionare quegli spunti che avrebbero reso unica Night City. Mike una volta durante un incontro con noi ha detto che quando pensava a Night City, la immaginava un po’ come Disneyland. Se vai in giro per Disneyland trovi tante zone diverse. Ovunque vai quello che vedi è completamente diverso—ma è comunque Disneyland. Perciò abbiamo fatto in modo che ogni distretto fosse ben distinguibile.
C’è il rischio di risultare ripetitivi nel progettare missioni che hanno in comune la stessa estetica?
Da un punto di vista produttivo, probabilmente sarebbe stato più facile avere uno sviluppo più lineare e unificato. Il punto è che abbiamo 13 designer al lavoro sulle missioni. Parlano tra loro delle missioni—so solo questo, non conosco esattamente quali enigmi o sfide stiano preparando; per ognuna di queste missioni, stiamo creando delle apposite ambientazioni. I primi prototipi di queste ambientazioni vengono realizzati da un’altra squadra di designer, che comprende ancora una volta più persone. Ognuno sta sviluppando la sua parte in maniera differente. Ogni singola missione, con la sua area, è il frutto del lavoro di più teste. In questo modo l’esperienza e l’atmosfera saranno sempre diverse nel gioco.
Hai citato più volte Mike Pondsmith. È stato con voi fin dall’inizio, o ha avuto un approccio più distaccato?
La mia impressione sul coinvolgimento di Mike è che si fidi di noi. Noi sviluppiamo il gioco. Gli mostriamo delle cose e ci consultiamo con lui, gli chiediamo un parere. Lui non è il tipo di persona che risponde semplicemente sì o no. È il tipo di persona che risponde “sì, è davvero buono”, e spiega perché. Mi piace questo modo di fare. Altre volte ci consiglia di cambiare qualcosa, e inizia una discussione, e questa discussione spesso finisce con una delle due parti che si rende conto di come una certa soluzione si adatti al gioco meglio di un’altra.
Cyberpunk è un gioco di ruolo famoso, ma non è che lo conosca proprio chiunque. Ci saranno molti giocatori inesperti. Come li guiderete in questo mondo?
Prendi il caso dei libri; leggo un mucchio di libri. Alcuni tendono ad avere degli spiegoni all’inizio, ad esempio un re e un suddito parlano della situazione del regno, e il re si dilunga sull’argomento per due pagine e passa. Queste due persone conoscono benissimo la situazione del regno: non ne parlerebbero ad alta voce. Questo è esattamente ciò che non faremo in Cyberpunk 2077. Non inseriremo spiegoni. In questo modo l’approccio iniziale sarà più facile per i nuovi arrivati. D’altra parte, tutti gli appassionati di Cyberpunk che giocano il gioco di ruolo con carta e penna troveranno molti elementi con cui hanno già familiarità. Sentiamo la responsabilità di lavorare sul materiale creato da Mike Pondsmith. Non vogliamo solo sfruttarne il nome. Abbiamo costruito la mappa insieme, e abbiamo cooperato con lui costantemente. Ha creato Cyberpunk Red, che è un ponte di collegamento tra il gioco da tavolo e il videogioco. In questo modo sia gli appassionati che i nuovi arrivati dovrebbero sentirsi i benvenuti.