Bowser, Psycho Mantis, Ornstein e Smough: la storia dei videogiochi è piena di boss fight divertenti, terribilmente difficili e memorabili. Come elemento di game design, le battaglie contro i boss sono concepite proprio per essere memorabili. Sono momenti culminanti che offrono sfida e catarsi in ugual misura, mettendo alla prova le nostre abilità e distillando ore di gameplay in un singolo epico evento. Creare momenti del genere è una forma d’arte e, in quanto tale, il design delle boss fight si è evoluto lentamente ma con decisione nel corso degli anni.
Che si tratti di spostare il focus dalla sfida ai personaggi, o di omaggiare il design di boss classici unendo influenze retrò con un approccio più moderno, i game designer odierni stanno sperimentando con le boss fight in modi che ne espandono ed evolvono la forma. Abbiamo parlato con i game designer di tre studi—Ubisoft San Francisco, Ninja Theory e Studio MDHR—per scoprire in che modo stanno portando gli scontri con i boss nel presente, e quale valore ha ancora oggi una delle tradizioni videoludiche più longeve.
Battute piene d’azione
Chiedi a un videogiocatore di cosa è fatta una buona boss fight, e probabilmente ti risponderà “una difficoltà elevata” o “pattern di attacco complicati”. Buona parte del design di un boss include entrambe le cose. Se i livelli che portano al nemico principale sono gli esercizi da fare a casa, il boss è il compito in classe. Un buon compito in classe è difficile perché ti chiede di avere spirito critico e di affrontare sotto un altro punto di vista una materia che hai già imparato. Molti classici boss di ogni era della storia dei videogiochi sono complicati test di abilità.
Mentre era al lavoro su South Park: The Fractured But Whole [in italiano: South Park: Scontri Di-Retti], la squadra di Ubisoft San Francisco sapeva che questo non era il giusto approccio. Un titolo simile sarebbe stato giocato più dai fan di South Park che dai videogiocatori esperti, e ciò vuol dire che battute con il giusto tempismo e dialoghi ben scritti avrebbero avuto più importanza rispetto alla difficoltà del gameplay. “Il gioco principalmente deve farti ridere, non è necessario che metta alla prova tutte le tue abilità una dopo l’altra”, dice Kenneth Strickland, lead game designer di The Fractured But Whole.
Quasi tutti i boss sono progettati intorno a determinate meccaniche, o a certi pattern di attacco. Con The Fractured But Whole, Strickland e il game director Jason Schroeder hanno lavorato per spostare il focus dalla sfida ai personaggi. Per un team di game designer abituati a chiedersi “quale sarebbe una buona sfida?”, c’è voluto un po’ per iniziare a domandarsi invece “cosa è più adatto a questo personaggio?”. “Abbiamo dovuto lavorare molto sul modo di pensare, in termini di ‘no, non darmi qualcosa che ho già giocato ma il 50% più difficile con numeri leggermente più grandi’“ afferma Strickland. “‘Dimmi cosa fa sì che Butters sia Butters. E in che modo possiamo usare i nostri strumenti per esprimerlo’”.
Scrivere e progettare uno scontro con un boss intorno alla comicità è un compito molto particolare. Pensare al ritmo del gameplay di un boss è già abbastanza difficile, ma gli sviluppatori hanno dovuto anche occuparsi delle battute e del personaggio, e del suo costante profluvio di insulti. Il segreto della comicità è il tempismo. Una buona battuta nel momento giusto scioglie la tensione; una cattiva può sgonfiare completamente la situazione. “La sfida è il tempismo, perché quello che non vuoi è tagliare le gambe a una situazione drammatica prima di darle la possibilità di svilupparsi, o cancellare qualsiasi cosa stia avvenendo con cinque battute facendo in modo che il giocatore si dimentichi persino per quale motivo si trovi innanzitutto a quel punto”, dice Strickland.
Per fortuna Strickland e Schroeder hanno lavorato con Trey Parker e Matt Stone, autori di South Park, che hanno anche scritto la sceneggiatura di The Fractured But Whole, per capire gli obiettivi narrativi e quelli comici di ogni dungeon e dei vari boss. I game designer di Ubisoft hanno così potuto iniziare a progettare i livelli e i boss intorno ai personaggi e alla comicità. Strickland è stato veloce a indicare come la boss fight con Butters, uno dei personaggi più amati dai fan, sia un esempio di questo approccio.
“Butters ha questo piano che è chiaramente terribile, ma è talmente innocente da non rendersene conto”, dice Strickland. “Un piano progettato da Butters fallisce sempre. Nella serie televisiva prova a fare qualcosa e viene sminuito e poi sminuito e ancora sminuito finché non resta nulla, il che è letteralmente il modo in cui funziona una boss fight. Diventa sempre più patetico man mano che la cosa va avanti”. Partendo da una profonda comprensione del personaggio e dell’umorismo provocatorio e assurdo di South Park, il team di sviluppo ha realizzato uno scontro esilarante che usa il combattimento a turni del gioco in una maniera che è coerente con Butters, incorporando le filosofie di design dei boss classici.
Il sistema di combattimento di The Fractured But Whole ruota intorno a una griglia e allo spostamento dei personaggi da una casella all’altra per infliggere danni. Lo scontro con Butters, con la sua meccanica ‘il pavimento è lava’, conta sul fatto che il giocatore si sia impadronito di questi schemi. “Abbiamo individuato un paio di buone opportunità per trovate che avrebbero combaciato bene con le meccaniche”, dice Strickland. ”Il secondo stage in cui ci sono questi minion che corrono portando tacos per guarirlo: è iniziata come una gag, ma ci siamo accorti abbastanza presto, avendo la possibilità di iterare, che si trattava di un ottimo gameplay, provare ad allontanare questi minion da Butters per impedirgli di aiutarlo”.
Durante tutta la fase di sviluppo, il mantra della squadra è stato iniziare dal personaggio. I game designer non hanno abbandonato ciò che ha funzionato per decenni nella progettazione dei boss—hanno solamente fatto qualche aggiunta interessante. “Credo ancora che la difficoltà sia una scorciatoia per arrivare a quei momenti memorabili”, afferma Strickland. ”Abbiamo provato a ottenere lo stesso risultato tramite i personaggi, l’umorismo, mettendo queste cose nelle meccaniche di gioco. Un boss la cui difficoltà sia ben calibrata è solo un mezzo per quel tipo di narrazione in cui ti sei salvato per un pelo facendo quella determinata cosa”.
Scontri psicologici
Gli scontri con i boss si possono definire come un combattimento contro un nemico che sembra insormontabile. Hellblade: Senua’s Sacrifice di Ninja Theory ha reso questo nemico cerebrale. Filtrato dal punto di vista di una guerriera celtica che soffre di psicosi, le boss fight di Hellblade sono schermaglie psichiche da incubo. Se i personaggi erano al centro delle boss fight progettate da Ubisoft San Francisco, in Hellblade il campo di battaglia è il cuore e la mente di Senua.
Qui i miti si trasformano in battaglie spaventosamente reali mentre Senua attraversa il regno di Hel. Ninja Theory ha progettato il terzetto principale di boss—il fiero Surt, il corvesco Valravn e il mostruoso Fenrir—come una via di mezzo tra la mitologia e le esperienze traumatiche di Senua. “Surt è il dio del fuoco, e la casa di Senua è stata distrutta da un incendio. La mitologia scandinava ha il tema ricorrente di personaggi che saltano nelle fiamme per raggiungere il mondo sotterraneo”, dice il creative director Tameem Antoniades.
“Allo stesso modo si trova spesso l’idea che i corvi siano spie di Odino. Quando Senua ritorna a casa, i corvi stanno banchettando sui cadaveri, e questa immagine le resta in mente. Da questo tipo di idee inizi a dare corpo alle meccaniche di uno scontro con un boss”. Surt e Valravn sono entrambi guerrieri dalle sembianze umane creati pensando alla mitologia e al trauma, ma costituiscono comunque una sfida tutta fisica per Senua e per il giocatore.
Fenrir è qualcosa di completamente diverso, ed è qui che brilla il design cerebrale dei boss di Ninja Theory. Fenrir, un gigantesco lupo in decomposizione che emerge dal buio, gioca con le paure di Senua—e del giocatore—sia dal punto di vista psicologico che delle meccaniche di gioco.
“È molto difficile creare un combattimento avvincente contro un quadrupede gigante in un gioco corpo a corpo”, dice Antoniades. “Perciò ci siamo concentrati sui concetti di paura, claustrofobia, incertezza”. Una luce brilla su Senua. Qualsiasi cosa al di fuori della luce è avvolta nell’oscurità. È lì che si nasconde Fenrir. È spaventoso non solo perché temiamo il buio per natura, ma anche perché il gioco ci ha insegnato ad averne paura.
“L’intero livello che porta al boss ti insegna ad aver paura ogni volta che ti trovi nell’oscurità”, spiega Antoniades. “Il combattimento si svolge intenzionalmente in una piccola zona di luce all’interno di una caverna buia. Il boss o si nasconde nell’oscurità o riempie l’arena con una nebbia nera che ti getta nel panico. Questo rispecchia anche la storia di come il padre di Senua fosse solito intrappolarla in un buco buio quando lei aveva attacchi di panico. Così la sua salute mentale ha iniziato a deteriorarsi”.
Le boss fight di Hellblade non si distinguono per la complessità delle meccaniche ma per il loro potere empatico, e il combattimento con Fenrir crea legami psicologici tra il personaggio e il giocatore. Nel momento in cui Hellblade giunge alla sua conclusione—un altro scontro con Hela e letteralmente un’orda di nemici senza fine—l’approccio psicologico di Ninja Theory dà veramente i suoi frutti. Invece di un tradizionale scontro con un boss, Hellblade offre un’alternativa: non combattere.
“Ci viene sempre detto di non rinunciare mai, di non arrenderci mai”, dice Antoniades, “ma cosa succede se stiamo combattendo la battaglia sbagliata? Come puoi lasciar perdere quando ogni fibra del tuo essere ti dice di continuare a lottare”?
Il divertimento di una volta con un design moderno
Con la crescente nostalgia per l’era degli 8 e dei 16 bit, alcuni sviluppatori hanno iniziato a offrire versioni moderne di principi di design classici. C’è sempre una lezione da imparare dal passato, e mentre giochi come The Fractured But Whole e Hellblade rinunciano alla sfida in favore di personaggi e profondità, resta qualcosa da dire sul design degli scontri coi boss più classici, quelli difficili e basati sui puzzle.
I membri dello studio di sviluppo MDHR, la squadra che ha realizzato Cuphead, ammettono senza problemi di essersi ispirati ai giochi della loro infanzia. “Molti dei nostri boss sono omaggi diretti ai nostri boss preferiti dell’era a 16 bit”, dice Chad Moldenhauer, art director di Studio MDHR. “Prendiamo Hilda Berg, per esempio. Una delle mie boss fight preferite in Contra: Hard Corps sul Genesis ti fa combattere con un boss che cambia pattern in base al segno zodiacale menzionato. Abbiamo preso in prestito questa idea per Hilda Berg che si trasforma nelle sue versioni di quei segni zodiacali”.
In Cuphead gli omaggi al passato vengono rappresentati con un meraviglioso stile visivo ispirato a Max Fleischer, con idee moderne riguardo all’apprendimento integrato e alla progettazione dei pattern. Il risultato è qualcosa di completamente nuovo, con boss che rappresentano il meglio del passato e del presente in termini di design. Il gioco è ben conosciuto per la sua difficoltà; ma in questo Jared Moldenhauer, lead designer di Cuphead, ha fatto tesoro degli errori dei giochi di una volta.
“È facile lanciare un milione di cose contro il giocatore e dirgli solamente di riuscire a cavarsela, ma probabilmente non si divertirà molto”, afferma Jared Moldenhauer. “Puoi rendere quasi impossibile qualsiasi cosa semplicemente riducendo i tempi di reazione e facendo sì che i comandi debbano essere impartiti con una precisione pari a un singolo frame per riuscire. Il difficile è facile, il difficile divertente è tosto”.
Come in tutte le migliori boss fight, i principali nemici di Cuphead hanno una serie di pattern complessi di fronte a cui i giocatori falliscono, si adattano e imparano. È un ciclo vecchio quanto il tempo: vivi, muori, ripeti. Gli sviluppatori hanno usato un approccio classico al design di molti boss: iniziare con l’idea di un pattern specifico e creare un personaggio a tema a partire da quella. Altre volte la squadra aveva un personaggio in mente e con un approccio più moderno, partendo dal personaggio, ha pensato ai pattern più adatti da attribuirgli.
“Per Djimmi c’era una serie di pattern che sapevamo di voler usare, ma non avevamo mai avuto un boss appropriato, così lo abbiamo progettato per essere adatto a quei pattern”, dice says Jared Moldenhauer. “Djimmi, essendo un genio che poteva in sostanza prendere le sembianze di qualsiasi cosa avessimo in mente, era un personaggio estremamente malleabile su cui lavorare”.
I combattimenti con i boss, così come molti altri elementi di game design, si evolvono costantemente. La tecnologia è alla base dell’industria videoludica, e non si ferma mai. Dopo cinquant’anni però, i videogiochi hanno una storia che merita di essere considerata. Ogni sviluppatore che reinventa o ricrea le boss fight raccoglie questa eredità. Tutti i giocatori che digrignano i denti per la rabbia, o si allontanano dallo schermo, o urlano di gioia durante questi momenti sono in conversazione con una lunga storia.