Uccidere mostri sembra essere ordinaria amministrazione nei videogiochi—è persino diventato sinonimo di cosa siano i videogiochi in quanto tali. Ma ciò che sembra così naturale nei giochi di oggi è, in realtà, una tendenza relativamente recente. Prima dell’avvento dei videogiochi e dei giochi di ruolo da tavolo, i mostri nei giochi erano pochi o addirittura inesistenti. Mentre tavoli da flipper e giochi elettromeccanici a tema sono apparsi già negli anni Sessanta, l’invasione dei mostri negli spazi ludici è iniziata solo negli anni Settanta. In quel decennio, il gioco di ruolo da tavolo Dungeons & Dragons (1974) e il gioco arcade Space Invaders (1978) resero popolare una nuova modalità di gameplay che è stata poi etichettata come giocatore vs. ambiente.
In un gioco giocatore vs. ambiente, un giocatore o un gruppo di giocatori controllano in un ambiente simulato dei personaggi che devono affrontare ostacoli e nemici controllati da una parte terza, un umano imparziale o un software. Il termine tende a essere usato in contrapposizione al gameplay giocatore vs. giocatore, in cui i giocatori competono principalmente l’uno contro l’altro. Considerati nel lungo periodo, i giochi giocatore vs. ambiente sono un’invenzione relativamente recente: la maggior parte dei giochi da tavolo, dei giochi di carte e degli sport sono, in sostanza, competizioni giocatore vs. giocatore.
La rapidità degli attacchi degli alieni di Space Invaders sembra molto lontana dalla staticità dei nemici in D&D, ma entrambi presentano i mostri come avversari pericolosi e ostili. Space Invaders non è stato, ovviamente, né il primo gioco sparatutto né il primo gioco arcade a tema mostri. Il gameplay mira-e-tira risale alle freccette, ai parchi per il tiro a segno e ai giochi di tiro meccanici ed elettromeccanici automatizzati. Nel XIX e all’inizio del XX secolo, tuttavia, non si sparava ai mostri, almeno non nel senso stretto di creature fantastiche. Questi giochi utilizzavano un’estetica astratta carnevalesca o presentavano temi reali come la caccia o la guerra. Osservando le collezioni d’epoca di bersagli da tiro americani, possiamo vedere una serie di “altri” a cui si riteneva accettabile sparare, come semi di carte, teste di clown disincarnate, animali o nativi americani, che ci ricordano lo specismo e il razzismo nelle rappresentazioni dei nemici.
Negli anni Sessanta i mostri divennero popolari tra i giovani grazie anche alle repliche di vecchi film di genere durante la programmazione televisiva diurna statunitense. Non ci volle molto perché i produttori di macchine arcade si mettessero all’opera. Negli Stati Uniti, il gioco elettromeccanico Monster Gun di Midway del 1967 presentava “20 spaventosi bersagli mobili” che ruotavano lungo due dischi concentrici. I bersagli erano cartoonesche teste disincarnate del mostro di Frankenstein, oltre a folletti e diavoletti assortiti.
Tre anni dopo l’azienda lanciò Invaders from Outer Space (noto anche come The Invaders), con figure aliene a cartoni animati dai colori pastello come bersagli, che si muovevano su e giù e da un lato all’altro. In Giappone, Sega seguì presto l’esempio, producendo giochi con titoli identici, temi simili, ma mostri diversi. Monster Gun (1972) presentava bestie ispirate ai dinosauri anziché ai folletti della versione americana, mentre Invaders (sempre del 1972) permetteva ai giocatori di sparare a “invasori dallo spazio profondo che viaggiano in veicoli simili a dischi”. Esistevano anche tavoli da flipper a tema mostri, come il Flying Saucer di Genco del 1950 o il Mystery Score di Midway del 1965.
Space Invaders, lanciato dall’azienda giapponese Taito nel 1978, potrebbe sembrare simile, ma offriva molto di più rispetto a un adattamento digitale dei suoi predecessori elettromeccanici. I giochi precedenti funzionavano per lo più come prove di abilità, misurando il numero di colpi che un giocatore riusciva a mettere a segno entro un limite di tempo o un certo numero di tentativi. Nel tiro al segno, negli sparatutto elettromeccanici e persino nei giochi arcade digitali precedenti a Space Invaders, come Anti-Aircraft di Atari del 1975, i giocatori potevano competere tra loro per ottenere il punteggio più elevato o cercare di migliorare il proprio, ma non dovevano temere i nemici. Il peggior danno che un bersaglio poteva fare era non essere colpito.
Space Invaders alzò la posta in gioco. I suoi mostri, controllati dall’allora innovativa tecnologia dei microprocessori, combattevano, lanciando bombe sul cannone che fungeva da avatar del giocatore e scendendo inesorabilmente sulla sua posizione. Rappresentavano una minaccia immediata e in tempo reale che risuonava con le paure legate alla Guerra Fredda, come attacchi aerei e conflitti nucleari. Come ha sottolineato lo studioso di cinema Bob Rehak: “L’introduzione di altri non umani in Space Invaders ristrutturava l’identità dello schermo, disarticolando le forme avatariali dai corpi materiali, e spostando la modalità di consumo dalle diadi a due giocatori allo spazio solitario”1Bob Rehak, “Playing at Being: Psychoanalysis and the Avatar,” in The Video Game Theory Reader, ed. Mark J. P. Wolf and Bernard Perron (New York: Routledge, 2003), 114.. Space Invaders offriva un conflitto asimmetrico con una moltitudine di altri ostili e offriva una chiara formulazione del gameplay giocatore vs. ambiente.
Il gratificante annientamento degli invasori era stato ispirato dal gioco arcade Breakout del 1976, una variante a giocatore singolo di Pong, la rivoluzionaria macchina di Atari. Il progettista di Space Invaders, Tomohiro Nishikado, cercò di replicare il “senso di realizzazione nel distruggere i bersagli2“Retro Gamer, “Nishikado-San Speaks,” Retro Gamer 1, no. 3 (2004): 35. che provava nel fare a pezzi i mattoni di Breakout. La tecnologia digitale consentiva questo piacevole annientamento su una scala precedentemente impossibile. Nel gioco elettromeccanico Invaders from Outer Space del 1970, ad esempio, i bersagli si ribaltavano quando venivano colpiti, ma rimanevano sempre attaccati al macchinario. Distruggere un bersaglio virtuale in Breakout o in Space Invaders, invece, non comportava la riorganizzazione di metallo, plastica o carta, ma semplicemente un cambio di corrente nei circuiti della macchina. In quella che oggi è considerata parte integrante del gameplay, il gioco accelera quando gli alieni vengono eliminati dallo schermo e si liberano risorse di calcolo. Non era un elemento di design intenzionale, ma Nishikado decise di conservarlo per aumentare il livello di sfida.
Nonostante l’apparente collegamento con i precedenti giochi arcade a tema alieno, Nishikado aveva provato a progettare altri nemici prima di scegliere gli extraterrestri:
Per prima cosa, ho pensato di creare carri armati o aeroplani come bersagli da colpire, ma era tecnicamente difficile far sembrare che gli aeroplani volassero davvero. Il movimento umano sarebbe stato più semplice, ma ritenevo immorale sparare a esseri umani, anche qualora fossero tipi cattivi. Poi ho sentito parlare di un film, Star Wars, che era uscito negli Stati Uniti e sarebbe arrivato in Giappone l’anno seguente, così ho pensato a un gioco basato sullo spazio, con gli alieni come bersagli3Edge, “Q&A: Tomohiro Nishikado,” Edge 13, no. 154 (October 2005): 108..
La spiegazione di Nishikado indica alcuni dei motivi per cui i mostri continuano a essere i nemici preferiti dei videogiochi. In primo luogo, le loro caratteristiche esagerate enfatizzano il movimento e l’azione. Gli arti e i tentacoli animati degli invasori svolgono l’importante compito di segnalare una vivacità che supera la semplice locomozione lineare. In secondo luogo, i mostri rendono la violenza moralmente accettabile. In Giappone, in particolare, le case produttrici di videogiochi sono state storicamente riluttanti a includere una violenza realistica, a causa dei terribili ricordi della Seconda Guerra Mondiale, e ciò ha dato un ulteriore impulso all’uso di avversari mostruosi piuttosto che umani. In terzo luogo, questi giochi attingono a una cultura dei mostri già esistente. Quando Nishikado stava progettando il suo gioco non aveva ancora visto Guerre stellari, ma aveva trovato ispirazione nei mostri simili a piovre del romanzo La guerra dei mondi di H. G. Wells, e aveva usato varie creature marine come riferimento per le oramai iconiche bitmap di Space Invaders.
I giocatori dell’epoca rimasero stupefatti dallo spettacolo audiovisivo e dalla novità concettuale del gioco. Nel suo libro-reportage del 1982 sul fenomeno dei videogiochi arcade, Martin Amis scrive:
Avevo guidato macchine giocattolo, aeroplani giocattolo, sottomarini giocattolo; avevo sparato a cowboy giocattolo, carri armati giocattolo, squali giocattolo. Ma capii subito che si trattava di qualcosa di diverso, di speciale. Il melodramma cinematografico che sfavillava sullo schermo, la capacità di fuoco infinita, la splendida reattività della torretta di difesa, il pungolo e la potenza dei missili, la pulsazione in sottofondo del battito cardiaco accelerato, l’inesorabile discesa dei mostri che sganciavano le bombe: il mio compito grandioso, salvare la Terra dalla distruzione!4Martin Amis, Invasion of the Space Invaders: An Addict’s Guide to Battle Tactics, Big Scores and the Best Machines (London: Jonathan Cape, 2018), 16.
Per Amis, era il dramma la principale innovazione di Space Invaders. Commentando l’eredità del gioco e i suoi numerosi imitatori, conclude che “dopo Space Invaders, stavamo difendendo la Terra, contro i mostri, nei cieli sublunari”5Amis, 47. Corsivi nell’originale..
La mania per Space Invaders alla fine degli anni Settanta ha innescato un grande sconvolgimento nelle tendenze dell’industria dei videogiochi. In Atari, la più grande azienda americana di videogiochi degli anni Settanta, gli sparatutto sostituirono i giochi di guida e di sport come genere più redditizio. Negli anni successivi uscirono molti altri titoli sparatutto fondamentali, come Asteroids e Centipede di Atari, Defender di Williams Electronics o Galaga di Namco. Il confronto tra giocatore e ambiente era destinato a proseguire.
I discendenti di Space Invaders e D&D si sono spesso incrociati. Uno dei primi giochi a sposare le meccaniche di D&D e degli sparatutto è stato Gauntlet, titolo arcade di Atari del 1985, il cui titolo provvisorio era “Dungeons” e che vedeva una squadra di quattro giocatori esplorare un castello e combattere i suoi mostruosi abitanti. La documentazione relativa al suo design mostra come gli sviluppatori abbiano concepito il ruolo dei mostri in funzione di un gameplay giocatore vs. ambiente. Lo schema stabilisce che “lo scopo principale nel gioco sarà quello di ‘colpire la gelatina’ delle forze avversarie (qualsiasi cosa si muova)” e aggiunge: “i mostri di questo gioco hanno un solo motivo di esistere: devono attaccare e tentare di distruggere chiunque entri nel Castello Morda-Nima”.
I bersagli mobili ostili hanno imparato nuovi trucchi dai tempi di Space Invaders, ma le basi sono rimaste praticamente invariate. Come nota la studiosa di videogiochi Tanya Krzywinska, “non c’è un grande salto dalle file di invasori spaziali che marciano sullo schermo verso il giocatore… ai mostri più complessi dal punto di vista visivo e comportamentale degli ultimi giochi horror a grande budget per PlayStation 4”6Krzywinska, “Gothic American Gaming,” 233.. Persino una delle più recenti innovazioni nelle meccaniche nei videogiochi sparatutto, il sistema di copertura reso popolare nel 2006 da Gears of War, è stata anticipata dai bunker distruttibili di Space Invaders.
Space Invaders e D&D hanno reso popolare il gameplay giocatore vs. ambiente e hanno fornito una base per le meccaniche di combattimento dei videogiochi. La proliferazione del modello giocatore vs. ambiente è stata rapida e di vasta portata. Secondo lo studioso di videogiochi ed ecologia Alenda Y. Chang, “il PvE era la modalità de facto della maggior parte dei giochi per computer e console prima che il gioco online in rete diventasse comune”7Chang, Playing Nature, 200.. In generale, il successo del modello giocatore vs. ambiente ha spalancato le porte ai mostri, portando a un’esplosione di creatività e a un’abbondanza di creature con cui giocare. Allo stesso tempo, ha relegato i mostri nel ruolo di nemici ostili e ha ristretto la portata del design delle loro possibili meccaniche.
Questo articolo è un estratto dal libro “Player vs. Monster: The Making and Breaking of Video Game Monstrosity” di Jaroslav Švelch, pubblicato da MIT Press.