Esistono due tipi di persone: chi scappa dalla paura e chi si immerge nei propri incubi come in una vasca da bagno piena. Voglio precisare che non c’è un tempismo intenzionale tra la pandemia di Covid-19 e questo articolo. Il codice per scaricare A Plague Tale: Innocence mi è stato girato quando ancora l’Amuchina era desiderata meno di una Tesla e solo per una tragica coincidenza mi sono avventurato in una favola nera a base di peste e disperazione proprio mentre il Coronavirus terrorizzava l’Italia e il mondo.
Ora, se appartenete alla prima categoria di cui sopra, evitate A Plague Tale: non vi aiuterà a ignorare la contingenza. Se invece state rileggendo Cecità di Saramago o La Peste di Camus, beh, sappiate che siete coperti anche sul fronte videoludico: A Plague Tale è un’ampia coperta di fobie e raccapriccio da avvolgere sulle spalle per alimentare l’ansia del virus. Non lasciatevi ingannare dai primi, distensivi minuti, quando la protagonista Amicia, una ragazzina di famiglia nobile nella Francia del XIV secolo, si addentra con il padre in un boschetto da sogno. La calma di questi istanti dura poco. L’arrivo dei soldati dell’Inquisizione, che uccidono i genitori di Amicia e distruggono il castello in cui quest’ultima vive con la famiglia, mette fine alle iniziali luminose battute del gioco e Amicia è costretta a scappare con Hugo, il fratellino, un bambino affetto da una malattia del sangue.
I due si ritrovano abbandonati a se stessi nel periodo storico che meno di tutti vorrei visitare se avessi una macchina nel tempo. Lì fuori non ci sono solo l’Inquisizione con il suo carico di disumanità e torture e la Guerra dei Cent’anni (nel nome approssimata per difetto, siccome di anni ne durò 116), ma anche la Peste Nera: una presenza subdola e invisibile che se non ti uccide ti trasforma in un essere abietto e guardingo. La malattia è davvero centrale nella storia di Amicia e Hugo e la sua rappresentazione plastica è un fiume di ratti: migliaia di esseri crepitanti che eruttano (letteralmente) dal terreno e si muovono come un’entità fluida. Sono creature pazze e affamate, che ricoprono gli uomini per spolparli in pochi secondi fino all’osso.
I topi sono l’elemento centrale dell’estetica di un gioco che potrebbe riposare su una sceneggiatura ben scritta e invece è pure una delizia per gli occhi. Le ambientazioni hanno una qualità, perdonatemi il termine, “pittorica”. Mi riferisco a gradazioni di colore perfettamente armonizzate, in cui il giallo delle torce viene bilanciato dal blu scuro della notte, mentre in una tiepida mattina d’autunno l’arancione delle foglie sfuma nel marroncino e nel rosso, contrastando con l’azzurro del cielo. Risulta molto realistico esplorare piccoli aggregati abitativi in cui case, granai e strade polverose non seguono la disposizione razionale delle cittadine nate in epoche più illuminate. A fare da contraltare a questa architettura confusa, le facciate specchiate e magniloquenti delle cattedrali, ricostruite in-game con lo stesso gusto medievale per quelle cose sacre che, sì, rappresentano la tua salvezza ma devono anche metterti addosso una fregola pazzesca.
Per farla breve, gli scenari di A Plague Tale sono studiati e caldi come un quadro di Bruegel ma allo stesso tempo credibili. Un simile grado di dissociazione esiste nella trama. Da una parte, l’accuratezza del contesto storico, dall’altra i ratti, un elemento soprannaturale sempre più importante che contamina il dramma con sfumature fantasy-horror. Si è detto da più parti che l’esperienza di A Plague Tale vale soprattutto per una solida trama, focalizzata sulla disperazione degli uomini in un secolo terribile e sul rapporto tra i due giovani protagonisti. Alla fine delle mie 10 ore di gioco, sono convinto che la chiave di interpretazione sia la parola “innocenza” del titolo. Come nelle storie migliori, anche in A Plague Tale non c’è una separazione netta tra personaggi buoni e personaggi cattivi.
In uno dei primi capitoli del gioco affrontiamo un cacciatore di streghe armato di mazza e vestito con un’armatura pesante. Nonostante le reminiscenze bibliche (Amicia è armata con una fionda e sembra Davide contro Golia), l’inaspettata vittoria della ragazzina non si accompagna a un senso di trionfo: durante il combattimento, il nostro avversario ha lanciato improperi contro la “strega” responsabile della morte della figlia. Sotto la rabbia, quello che abbiamo giustiziato con un colpo alla testa era un padre con il cuore spezzato. Per tutto il gioco il dubbio sulla natura degli uomini suona più o meno così: forse sto uccidendo persone che non avevano nessuna scelta se non diventare malvagie. Anche la parabola dei protagonisti contribuisce a sfumare la linea di separazione tra bene e male. Per tutto il corso dell’avventura staremo dalla parte di Amicia e Hugo, ma ci sarà un punto oltre il quale non ci sentiremo più a nostro agio rispetto a una simile presa di posizione.
Inizialmente Amicia reagisce con costernazione all’idea di aver tolto la vita a un essere umano. Si pone una questione morale, che la ragazzina risolve ripetendosi di non aver avuto altra opzione se non quella di infliggere un colpo letale. Man mano che i capitoli si susseguono, uccidere diventa una scelta molto più leggera, e sempre meno obbligata. In un paio di occasioni, la protagonista grida al malcapitato “ben ti sta”. Più avanti sembra quasi averci preso gusto. In queste occasioni realizziamo il significato di “Innocence”: l’innocenza è ciò che Amicia e Hugo hanno perso, o sono stati costretti a perdere, quando hanno dovuto fare i conti con la realtà. Una volta abbandonato il castello, persi ormai i genitori, i protagonisti devono giocare secondo le regole di un mondo spietato, subendo la trasformazione di tutti gli abitanti di questo secolo abietto. È a questo punto che A Plague Tale: Innocence si rivela un racconto di formazione in cui la crescita coincide con un processo di corruzione. Se lupo mangia lupo nella Francia desolata del Trecento, Amicia e Hugo devono diventare i lupi più svegli.
Non i lupi più grossi, ma quelli più svegli. In A Plague Tale, infatti, dovremo quasi sempre evitare le prove di forza. Tenendosi mano nella mano, Amicia e Hugo sgusciano alle spalle dei soldati, si nascondono nell’erba alta o si accovacciano dietro un mobile. Amicia può contare sull’utilizzo di una fionda equipaggiabile con diversi tipi di proiettili. Alcune munizioni appiccano il fuoco, altre lo estinguono, altre ancora attirano i ratti e possono essere scagliate contro i nemici. Sembrerebbe di poter contare su diversi approcci possibili alle situazioni di gioco, ma alla prova dei fatti il gameplay di A Plague Tale risulta molto direzionato, con un ventaglio ristretto di azioni eseguibili per arrivare da un punto A a un punto B.
I primi tre quarti dell’avventura sono molto semplici, al punto di sembrare un’estensione del tutorial, mentre gli elementari enigmi non riescono a elevare un livello di sfida piuttosto basso, per di più senza difficoltà scalabile. Devo ammettere però che, mentre i nemici sembravano fare di tutto per non vedermi, sono riuscito a concentrarmi sulla splendida realizzazione delle ambientazioni e sui dialoghi, riuscendo a cogliere ogni centimetro dell’evoluzione del rapporto tra Hugo e sua sorella. A Plague Tale vale soprattutto per l’aspetto visivo e narrativo, al punto che credo sia lecito parlarne come un’esperienza cinematografica.
Forse la fatica di Asobo non vi aiuterà a dimenticare quello che sta succedendo lì fuori, ma nella serrata collettiva, un gigantesco esperimento sociale che non ha precedenti a memoria di questo trentenne, A Plague Tale risulterà abbastanza profondo e interessante da sollecitare più di una riflessione sui tempi che stiamo vivendo.