Dal primo momento in cui un paio di occhi disincarnati hanno esplorato le stanze spettrali di Atari’s Haunted House, gli sviluppatori di videogiochi hanno cercato di spaventare, intimidire e terrorizzare i giocatori. La più primordiale delle emozioni, la paura, è stata una fonte frequentemente attinta nel corso della storia videoludica; e alle sue origini, come per tutti gli horror, ci sono le storie di fantasmi che le persone si raccontano per passare le notti più fredde. La base di tutti questi racconti è di solito un’idea, un motivo ricorrente spesso utilizzato: una casa infestata fatiscente, un autostoppista mutilato, un vampiro succhiasangue di 1000 anni. La serie Dead Space, forgiata tra le mura di EA Redwood Shores a metà degli anni Novanta, inizia in modo simile.
«Senza dubbio, è a Glen Schofield che si deve l’esistenza di Dead Space», esordisce il producer Chuck Beaver. «Se non fosse stato per Glen non sarebbe successo di sicuro». L’idea di Schofield, forgiata da una vita trascorsa tra film di paura, giochi e televisione, era quella di un intenso gioco horror ambientato, in maniera insolita per il genere, nello spazio. «La maggior parte del team era composta da grandi fan del genere horror», continua Beaver. «Le IP chiave per tutti noi erano Alien ed Event Horizon. Lui amava la natura dell’orrore di Event Horizon».
Nel film del 1997, una missione di salvataggio va terribilmente male e l’equipaggio dell’omonima navicella impazzisce a causa della sua vicinanza a una dimensione alternativa infernale. «Event Horizon aveva un buon mix tra paesaggi infernali e gore», ricorda Ben Wanat, production designer di Dead Space. «All’epoca era sicuramente l’influenza contemporanea più vicina alla nostra visione».
Non sono stati solo i film a influenzare l’ideazione di Dead Space; anche i giochi hanno avuto un ruolo importante, e uno in particolare. «Partendo dal nulla, inizialmente per aiutarci stavamo progettando un “Resident Evil 4 nello spazio”», racconta Beaver. «Poi, una volta arrivati lì, abbiamo trovato la nostra identità». Forte di questo concept, Schofield si rivolse a Electronic Arts proponendo una nuova IP. Sorprendentemente, i dirigenti si dimostrarono ricettivi, concedendogli il budget per un team di 18 persone e sei mesi di tempo per sviluppare una demo funzionante, che si rivelò fondamentale.
«È quasi completamente il motivo per cui abbiamo ottenuto l’autorizzazione», sorride Beaver. «Perché era una demo molto densa e dettagliata». La parte cruciale di Dead Space sarebbe stata la sua storia evocativa, ma nelle prime fasi di sviluppo era molto diversa rispetto al gioco finale, come ricorda Beaver. «Nella testa di Glen la trama riguardava dei criminali, imprigionati su una luna, che in qualche modo diventavano spiriti maligni. Poi, arrivava un’astronave ignara di tutto e loro uscivano allo scoperto». Il titolo accattivante di questa idea era Rancid Moon ma, mentre l’idea entusiasmava Schofield, la storia si è lentamente trasformata nel gioco che conosciamo oggi.
Dead Space inizia nell’anno 2508, con la navetta USG Kellion in rotta verso la USG Ishimura, nave mineraria e orgoglio della sua compagnia proprietaria, la CEC. A bordo della Kellion ci sono Zach Hammond, Kendra Daniels, due piloti e un ingegnere, Isaac Clarke. La professione di Isaac sarebbe diventata una parte fondamentale della storia di Dead Space. «Fin dall’inizio, era quello che avevamo definito un uomo qualunque», osserva Beaver. «Non sarebbe mai stato un super-soldato. Volevamo che Isaac fosse in basso nella catena di potere».
Poco dopo l’attracco con la Ishimura, la situazione prende una piega orribile. Con i soli Zach, Kendra e Isaac che sopravvivono all’assalto iniziale, Dead Space è un viaggio agitato, claustrofobico e terrificante in cui l’unico obiettivo è la sopravvivenza. I nemici? Gli ex membri, deformi e raccapriccianti, dell’equipaggio dell’Ishimura, trasformati dal potere di un misterioso artefatto noto come Marchio. Come per molti degli elementi degni di nota di Dead Space, gran parte del merito per gli orrendi Necromorfi va al designer, appassionato di horror, Ben Wanat. «Sono influenzati soprattutto da La Cosa di John Carpenter», dice. «Ma immagino che siano stati un’influenza anche per alcune delle deformazioni più insolite di Resident Evil 4».
Come nel classico film di Carpenter del 1982, i Necromorfi di Dead Space sono terrificanti per la loro somiglianza con la forma umana. I tentacoli si formano dagli intestini e le ossa rotte sporgono verso l’esterno con angolazioni innaturali. Eppure l’origine di queste povere anime tormentate è chiara. «Si trattava di immaginare modi diversi, modi scomodi di rompersi, e cosa sarebbe stato strano veder correre verso di te lungo un corridoio», ha scritto Wanat nell’eccellente libro di Martin Robinson, The Art of Dead Space. Wanat è stato il responsabile della concezione delle sculture 3D iniziali per la maggior parte degli orribili nemici di Dead Space. «Era necessario stabilire l’aspetto dei Necromorfi, come funzionava la loro ecologia e come realizzare queste idee in modelli 3D. Li rigeneravo, li animavo e li renderizzavo per mostrare agli altri come volevo che apparissero».
Il design di ogni creatura si basava sulla sua silhouette e sull’utilizzo di questa per spaventare ancora di più il giocatore. «Fin dall’inizio abbiamo avuto un’idea molto precisa di come sarebbe dovuto essere il gioco: uno dei più spaventosi di sempre», dice Beaver. «E una delle cose che abbiamo discusso è stata come andare oltre i jump scare. I grandi pilastri dell’horror sono la credibilità e l’immersione».
Questi due concetti si concretizzano in due modi. In primo luogo, l’ambientazione di Dead Space, pur essendo ovviamente fantascientifica e futuristica, è ridotta al minimo: la Ishimura è una nave da lavoro, simile alla Nostromo di Alien, con corridoi spigolosi, macchinari dall’aspetto pericoloso e attrezzature rumorose e sferraglianti. «L’impatto emotivo può essere neutralizzato se tutto è fantastico», osserva Beaver. «Per questo abbiamo un filo conduttore di elementi in cui è possibile identificarsi e di obiettivi emotivi da abbinare alla costruzione del mondo». Gran parte del design dell’Ishimura riflette questo aspetto. L’uso dei condotti d’aria da parte dei Necromorfi enfatizza ancora di più il legame con Alien e alimenta inoltre la paura latente di cose terrificanti che saltano fuori all’improvviso e ti afferrano. Le armi che Isaac scopre contribuiscono a rafforzare tale credibilità: la lama al plasma, il tagliatore, il raggio a contatto, sono tutte attrezzature minerarie riconvertite in armamenti letali.
Il secondo aspetto è l’immersività di Dead Space, che inizia con il display olografico che funge da inventario e interfaccia di Isaac con il mondo. «Per quanto riguarda l’interfaccia utente, il nostro art director Ian Milham ha messo insieme un mock-up della schermata dell’interfaccia utente di un tipico gioco horror», ricorda Beaver. «C’era tutta questa roba sullo schermo, lui l’ha eliminata e ha detto: “E se avesse un aspetto cinematografico?”. Glen aveva già qualche idea; stava giocando con la spina dorsale della tuta come indicatore di salute. Così abbiamo pensato che avremmo dovuto prendere in considerazione l’idea di un’interfaccia diegetica». Già alle prese con la progettazione dei Necromorfi, Ben Wanat tornò a casa un venerdì con un piano in testa. «Avevo iniziato a disseminare di ologrammi gli spazi dimostrativi e volevo che fossero interattivi», spiega. «E questo ha portato alle versioni interattive delle porte e dell’inventario».
Il display luminoso dell’inventario di Isaac si libra davanti a lui, muovendosi nell’ambiente mentre il giocatore muove l’ingegnere. In ossequio al principio dell’immersione, la navigazione tra gli oggetti non mette in pausa il gioco: Isaac è costantemente esposto agli attacchi. «Non mette in pausa il gioco perché è lì che si possono prendere decisioni sull’inventario che romperebbero la quarta parete e non sarebbero fedeli al gioco in tempo reale. Bisogna andare in un angolo buio, possibilmente con le armi già cariche», sorride Beaver. La decisione di immergere completamente il giocatore nel mondo di Dead Space ha tuttavia portato a una controversia significativa, nonché a una delle poche critiche importanti mosse al gioco.
«Gordon Freeman può farla franca come testimone muto perché vediamo gli eventi attraverso i suoi occhi», ha scritto Dan Whitehead nella sua recensione di Dead Space su Eurogamer. «Isaac, al confronto, si comporta come un automa privo di emozioni, anche di fronte agli spettacoli più orribili». All’insaputa di Whitehead e della maggior parte dei recensori, questa idea aveva causato una quantità smodata di discussioni sia alla EA che a Redwood Shores. «Alla EA si litigava spesso a questo proposito», dice Beaver. «Era un punto controverso perché diventa quasi una questione di fede: alcuni pensano che i protagonisti senza voce siano indiscutibilmente l’unica scelta possibile».
La teoria è comprensibile: come può un giocatore relazionarsi con un avatar sullo schermo se una voce gli ricorda costantemente che si tratta di un personaggio e non di lui? In qualità di scrittore, Beaver ha trovato particolarmente difficile da accettare l’idea di avere un protagonista inspiegabilmente muto. «Io ho chiesto: “C’è una storia che spiega perché è muto?”. “No. È semplicemente muto. Lo è e basta”». Nel primo Dead Space, Isaac si aggira per l’Ishimura, raccogliendo oggetti e svolgendo compiti per conto degli altri sopravvissuti, Kendra Daniels e Zach Hammond. «Non riusciva mai a dire “Dovrei andare a riparare i motori”», riflette Beaver. «Era sempre “Isaac, fai le seguenti cose”. Se avesse potuto parlare, avremmo potuto invertire queste interazioni all’istante». Il team, racconta Beaver, era diviso in parti uguali sulla scelta da fare. La decisione finale spettava al direttore creativo di Dead Space, Glen Schofield. Isaac sarebbe rimasto misteriosamente in silenzio.
Sebbene il team di Redwood Shores sapesse di avere una grande idea, il successo di Dead Space ha colto molti di sorpresa. «Abbiamo messo cuore e anima in quel gioco, ed è stato bello come speravamo», ricorda Beaver. Quando EA ha dato il via libera a un sequel poco dopo l’uscita, si è scatenato un periodo tumultuoso per lo sviluppatore, ormai chiamato Visceral. Con più o meno lo stesso team confermato, lo sviluppo del sequel procedette per quasi un anno. «Poi Glen Schofield se n’è andato per formare Sledgehammer e ha portato con sé metà del team», ricorda Beaver. «Quei ragazzi erano una famiglia e lo sono ancora».
Anche se EA e Visceral hanno risentito delle scosse di assestamento, lo sviluppo è proseguito e il risultato—Dead Space 2—è ampiamente considerato uno dei più grandi sequel della sua generazione. Ben Wanat ricorda come ha affrontato e addirittura trasformato in positivo il cambiamento. «È stata dura vedere così tante persone andarsene in una volta sola. Ma sono sempre stato così concentrato sulla realizzazione del gioco da non poter permettere che questo mi rallentasse. A volte penso che ci si abitui a lavorare con le stesse persone: ho imparato che è un’ottima idea dare una scossa, fare spazio ad altre voci, spesso si trovano nuove idee che altrimenti non sarebbero venute fuori». Il mix di vecchio e nuovo ha funzionato. «Siamo stati in grado di prendere decisioni più rapidamente e di realizzare il gioco più velocemente», ricorda Beaver. «La prima metà di Dead Space 2 è stata probabilmente la peggiore esperienza professionale della mia vita; la seconda metà, la migliore».
Beaver e Wanat si sono ritrovati ad avere il controllo sulla storia e sulla trama di Dead Space e hanno modificato il gameplay in diverse nuove direzioni. Sono stati eliminati i tagli tra i livelli in cui Isaac viaggiava verso la sua prossima destinazione sul sistema di tram, con il risultato che il gioco non ha interruzioni dall’inizio alla fine. Inoltre, le abilità di stasi e telecinesi di Isaac gli consentono di essere più agile, la sua tuta ha guadagnato gli stivali a razzo, rendendo più fluido il movimento a gravità zero, e l’ingegnere ha finalmente una voce, in grado di parlare e persino scherzare con colleghi e nemici. Dietro le quinte, i nuovi membri del team si sono mescolati con quelli vecchi, come Wanat, che si è calato pienamente nel ruolo di production designer. Oltre a lavorare con gli art designer del gioco, ora era direttamente coinvolto nella storia. «Dovevamo decidere in quale ambientazione si sarebbe svolta, che fine avesse fatto Isaac e così via. E questo dall’inizio, attraverso l’abbandono di una parte del team e il riavvio del progetto, fino alla pubblicazione e ai DLC successivi».
Che storia è venuta fuori, però: sono passati tre anni dai traumatici eventi di Dead Space. Isaac Clarke si trova su The Sprawl, una grande stazione spaziale che si trova sui resti della luna di Saturno, Titano. Nello stressante incipit del gioco, un investigatore interroga Isaac per capire cosa sa dell’epidemia su Aegis VII e del misterioso artefatto alieno del primo gioco, il Marchio. Tormentato dal suicidio della sua ragazza, Nicole, e ansioso di respingere l’insidiosa morsa mentale dell’oggetto alieno, Isaac deve innanzitutto sfuggire a una camicia di forza prima di combattere un’altra epidemia di Necromorfi scatenata dal Marchio. Lo storyboarding è stato utile, come spiega Wanat. «Abbiamo iniziato sapendo che avevamo bisogno di un certo numero di momenti importanti. Li abbiamo distribuiti in base ai capitoli, cercando di capire quali potessero essere in base al luogo e al punto in cui si trovava la storia in quel momento».
L’ossatura di ogni momento è stata assegnata a un gruppo di sviluppatori che ha presentato settimanalmente revisioni e progressi al team di produzione. Il più noto di questi momenti si verifica verso la fine del gioco, quando Isaac entra in una macchina che sblocca le parti della sua mente tormentata infettate dal Marchio. «A questo punto abbiamo torturato Isaac in mille modi», ride Beaver. «E ci siamo detti: “Cos’altro potremmo fare?”». La scena in questione si basava su un semplice assunto: la paura universale del trauma oculare. «Tutto è nato dall’idea di cavarsi un occhio. Tutti hanno paura di questo, quindi abbiamo aggiunto un ago, il battito cardiaco e l’occhio che si muove rapidamente. È stato geniale e il team lo ha adorato».
Le vendite di Dead Space 2 sono state solide ma non eccezionali, nonostante una maggiore spinta promozionale da parte di EA. «Credo che tutti noi sapessimo di avere qualcosa di cui andare fieri», ricorda Wanat. «Ma da sviluppatore vedevo molte cose che avrebbero potuto essere migliori con più tempo a disposizione. Ed era difficile capire come i fan avrebbero preso le modifiche ai controlli e la maggiore presenza di sequenze d’azione. Ma sì, è stato sicuramente il nostro seguito di Alien». Nonostante l’acclamazione della critica, la pressione era rivolta a portare le vendite dei giochi di Dead Space a un livello superiore, come spiega Beaver. «L’obiettivo era che il franchise diventasse molto più grande in termini di vendite, e questa tendenza non era evidente in Dead Space 2. Quindi, quando si è trattato di Dead Space 3, abbiamo dovuto spingere in quella direzione e vendere di più».
EA decise che il gioco avrebbe dovuto concentrarsi sull’azione piuttosto che sull’orrore. «Hanno concluso che il motivo principale per cui la gente gioca a Dead Space è perché è un gioco horror», spiega Beaver. «E che il motivo principale per cui la gente non gioca a Dead Space è perché… è un gioco horror». L’idea di raggiungere un pubblico più ampio ha portato altre novità. Sono stati inclusi il crafting delle armi, le meccaniche di copertura, la schivata e il gioco in cooperativa, quest’ultimo già in fase di sviluppo. «Ma tutte queste cose servivano a provare a migliorare le vendite senza utilizzare il patrimonio dell’IP», osserva Beaver. Inoltre, Visceral aveva già ceduto alle pressioni includendo una modalità PvP in Dead Space 2; nessuno voleva ripetere quell’esperienza per il terzo gioco. «Avevamo sperimentato la modalità cooperativa nel primo gioco», rivela Wanat, «ma l’avevamo trovata tecnologicamente incompatibile con il modo in cui i contenuti del gioco erano stati scritti». È interessante notare che una prima bozza di co-op prevedeva l’ombra di Isaac come compagno, accentuando il suo fragile stato mentale. Alla fine, il secondo personaggio è diventato un robusto soldato di nome Carver, per la gioia dei fan degli sparatutto.
Nessuno di questi nuovi elementi era una cattiva idea. Ma in combinazione con il cambiamento del tono e l’aggiunta di nemici umani, hanno creato qualcosa di troppo diverso da ciò che la gente amava della serie. «Abbiamo preso questa strada e quando abbiamo fatto il focus-test, la gente ha detto: “Molto divertente, ma dov’è il mio Dead Space?”», ricorda Beaver. Il team ha aggiunto più orrore ad alcuni degli incontri di Dead Space 3, ma il danno era stato fatto. Insieme alla controversa aggiunta delle microtransazioni, il DNA di Dead Space era stato irrimediabilmente modificato. Inoltre, quando è giunta voce che non ci sarebbe stato un Dead Space 4, è stato necessario adattare frettolosamente la trama per portare la serie a una brusca conclusione. «Significava che la nostra storia stava diventando troppo grande e complessa», ricorda Wanat. «Più spiegazioni si danno senza coinvolgere il giocatore, più si rischia di perdere il suo interesse».
Le vendite di Dead Space 3 sono state paragonabili a quelle del suo predecessore, ma le voci erano effettivamente vere: non ci sarebbe stato nessun Dead Space 4. «L’intero modello di business di un gioco narrativo per giocatore singolo stava venendo messo in discussione», osserva Beaver. «E alla fine ha raggiunto Dead Space 3». Alla fine dello sviluppo del terzo gioco, Visceral ha formalmente lavorato al suo sequel, ma Dead Space 4 non è mai stato più che un abbozzo di storia. «Ben Wanat voleva che Dead Space 4 fosse l’avventura di Ellie», ricorda Beaver. «C’era anche l’idea che Isaac sarebbe diventato un messaggero del Marchio, rianimato e rispedito sulla Terra».
Mentre aspettiamo l’arrivo del remake di Dead Space di EA ed è uscito l’erede spirituale a opera di Glen Schofield, The Callisto Protocol, è chiaro che l’amore per la serie originale rimane intatto ancora oggi. «Sono sempre un po’ sorpreso quando un fan mi chiama per dichiarare il suo amore per il franchise», dice Wanat. Grazie alla creazione di una nuova IP e a un team coeso e talentuoso, Visceral ha avuto la visione e le capacità necessarie a offrire un’esperienza fantastica ai fan dell’horror. «Non si può desiderare niente di meglio del flusso completo del processo creativo, e noi l’abbiamo avuto per questi giochi», conclude Beaver. «All’epoca non lo sapevo, ma ora so quanto fosse incredibilmente speciale».