Figuratevi una piccola e tranquilla località di montagna, immersa nelle alpi austriache; immaginatevi, poi, che improvvisamente appaiano nei suoi dintorni alcuni dungeon—completi di tutto, dai puzzle da risolvere usando abilità magiche ai mostri contro cui combattere. La prima cosa a cui potreste pensare è: cosa succederebbe? Potreste darvi delle risposte molto diverse completando la vostra fantasticheria con differenti periodi di riferimento. Immaginatevi uno scenario del genere 600 anni fa: zona immediatamente abbandonata da chiunque, dicerie, favole e leggende di ogni sorta in merito a quanto sia accaduto, qualche intrepido eroe solitario che tenta di guadagnarsi la gloria, finendo solo per aggiungere un nuovo scheletro a conferma del motivo per cui a un villaggio si è sostituita una landa disabitata.
Dimezzate la distanza di tempo, collocando il tutto 300 anni fa, e già potrete modellare uno scenario completamente diverso. Ci metterete spedizioni di esploratori e di ricercatori decisi a trovare una spiegazione razionale, e a riportare indietro materiale da studiare nelle università o da esporre in qualche wunderkammer, o nei primissimi musei; e aggiungerete cartografi intenzionati a mappare territori ignori, e poi imbroglioni e truffatori di ogni sorta, e persino missionari in spedizione per esorcizzare il male. Ambientate invece questa storia ai giorni nostri, e non avrete difficoltà a visualizzare la scena, come fosse sotto i vostri occhi: un gigantesco parco giochi, con guide turistiche, influencer, giornalisti, slayer principianti e professionisti arrivati per cimentarsi con i dungeon, negozi pieni di gadget e merchandising a tema, investitori pronti ad aprire nuovi hotel e ristoranti. Per la popolazione locale: un incubo; o un’opportunità. È esattamente ciò che accade in Dungeons of Hinterberg.
Sono pochi i giochi—quasi nessuno tra le produzioni medio/grandi—che possono permettersi il lusso di intervenire su argomenti di stretta attualità: che il titolo sviluppato da Microbird Games e pubblicato da Curve Games esca durante un’estate in cui si è parlato molto di overtourism è senz’altro un fatto da annotare. Gran parte della trama di Dungeons of Hinterberg ruota attorno alla trasformazione di una piccolo paese di montagna in una meta turistica unica, e permeata di magia. Già, perché c’è un altro tema da affrontare, oltre all’inevitabile stringersi della morsa del capitalismo su ogni luogo in cui cominciano a circolare parecchi soldi: la violenta evidenza che la magia esiste. La seconda domanda che potreste farvi in effetti è questa: in quei dungeon, voi ci andreste? Da una parte la possibilità di sperimentare in prima persona la magia e di vivere un’esperienza da videogioco nel mondo reale; dall’altra, rischiare una morte altrettanto reale. Su questi argomenti gli sviluppatori sono molto più cauti, e si limitano a citarli di sfuggita.
Luisa—la protagonista del gioco, che lavora in uno studio legale di Zurigo, professione scelta evidentemente perché il luogo comune la vuole noiosa, in contrapposizione con l’avventura da vivere a Hinterberg—ad ogni modo non ha dubbi: il gioco vale la candela. Superati con estrema facilità l’impatto e lo spavento iniziali, prova sempre più gusto a battere i dungeon; e noi con lei. In effetti, il gameplay di Dungeons of Hinterberg è così tondo e senza sbavature che potrebbe essere analizzato in qualsiasi corso o manuale di game design: nei dintorni del paese ci sono quattro ambientazioni diverse, e in ciascuno di questi luoghi Luisa entra in possesso di abilità magiche differenti, fondamentali sia per raggiungere i dungeon che per superarli. I nemici si affrontano all’arma bianca, e ci sono spade da trovare nei forzieri o da acquistare, che poi è possibile potenziare; lo stesso vale per l’armatura, e per altre attrezzature; nei combattimenti si possono usare anche attacchi magici (“attack conduits”), ma ci sono solo quattro slot per equipaggiarli, e vanno quindi scelti in base alle preferenze e alle possibili interazioni con le abilità; vari “charms” vanno poi a modificare le statistiche di tutto quanto visto finora.
In giro si raccolgono: parti di mostri, che si possono vendere a strani collezionisti; materiali magici, da usare per equipaggiare più “charms”, riducendone le dimensioni; rifiuti lasciati da turisti incivili, e naturalmente il comune è lieto di ricompensare chi aiuta a tenere pulita la cittadina e i suoi preziosi dungeon. Ci sono tantissimi dettagli in questo titolo, e non ce n’è uno che non sia legato agli altri in qualche maniera, e coerente con il tema, e perfettamente inserito nel contesto del gioco. Se non siamo dalle parti del GOTY, è solo perché alla fine nulla risulta davvero eccezionale: i combattimenti sono divertenti ma si vede che non sono il centro del gameplay; i nemici sono abbastanza vari e modellati sul folklore austriaco, ma arrivano a rappresentare una vera sfida solo aumentando di numero; i boss sono sempre interessanti, ma mai memorabili; anche la varietà dei dungeon è notevole, e aiuta molto il fatto di avere sempre abilità magiche diverse da usare, ma il level design soffre di alti e bassi; lo stile grafico in cel-shading regala scorci stupendi, ma sa di già visto; e così via, c’è sempre un “ma”. Dungeons of Hinterberg è un gioco decisamente sopra la media—e allo stesso tempo non indimenticabile—sotto ogni aspetto.
Ci sarebbe, in realtà, una cosa che l’opera di Microbird Games fa in maniera semplicemente perfetta: gestire il tempo del giocatore. Il ritmo del gameplay è un problema di primaria importanza che ogni game designer si trova a dover risolvere, e l’unica soluzione infallibile, nel caso di un gioco d’azione, è la costruzione di un open world: solo così chi gioca ha la libertà di far avanzare la storia, oppure di “tenerla ferma” per dedicarsi invece ad attività secondarie, o girovagare alla ricerca di un segreto, di qualcosa di sorprendente, di un panorama perfetto per uno screenshot, e via dicendo. Se il mondo di gioco non è un open world, il level design finirà inevitabilmente con il dettare i tempi del gameplay; si tratta, ovviamente, di uno strumento formidabile in mano agli sviluppatori. Si parla qui, in fondo, delle infinite possibilità di bilanciamento tra design e agency, rispetto alle quali Dungeons of Hinterberg ha una proposta interessante: il ritmo del gameplay sarà regolato innanzitutto da una suddivisione temporale, e solo in seguito da una spaziale.
L’avventura di Luisa a Hinterberg allora sarà scandita, prima di tutto, dal passare dei giorni, perché in fondo cos’altro è una vacanza, se non tutto ciò che accade tra una data di arrivo e una di partenza? Non c’è un limite entro cui completare il gioco, che i giorni si limita a contarli, isolandone inoltre le varie fasi: di mattina ci si sveglia, si fa colazione, e si viaggia verso la destinazione che si preferisce; di pomeriggio si visita la zona e volendo si entra in un dungeon, ma non è obbligatorio; di sera si torna in paese e si sbriga qualche faccenda prima che i negozi chiudano, e poi si va al cinema, o si passa del tempo insieme a qualche altro personaggio; di notte si va a dormire, ma si può anche tirar tardi leggendo un libro o guardando la televisione (di nuovo: non c’è nulla che non abbia un’influenza, per quanto piccola, sul gameplay). Questo sistema si rivela efficace nel dare a chi gioca un senso di libertà all’interno di uno schema molto rigido, utile agli sviluppatori per far avanzare la storia in modo elegante, discreto e naturale.
Un’ultima nota sulla principale attività della sera, che è la frequentazione con i personaggi non giocanti: approfondire la relazione con ciascuno di loro, come nella serie Persona, garantisce delle ricompense e contribuisce ad accrescere alcuni tratti della vacanza di Luisa, come il divertimento, la popolarità, il relax o la familiarità con il posto, e quel che c’è da guadagnare è sempre noto in anticipo. Chi gioca quindi è naturalmente portato a confrontare i vantaggi, e a gestire i rapporti con l’obiettivo di massimizzare il tornaconto in termini di upgrade. Questo dà alle relazioni una connotazione di utilitarismo estremo che stona un po’ con la scrittura e i presumibili intenti di tutta la parte più sociale del gioco; se da un lato tutto ciò in teoria si inserirebbe bene nel tema dello sfruttamento turistico di Hinterberg, dall’altro non c’è traccia di una precisa volontà di problematizzare l’aspetto relazionale; e così si resta a metà strada, con il dubbio di dover trovare proprio qui un non detto, in un titolo che per il resto è povero di sottintesi, e l’impressione di un fallimento fin troppo vistoso, dovuto forse alla volontà di chiudere il cerchio a qualsiasi costo, e legare davvero ogni aspetto del gioco agli altri.