Videogiochi e giochi da tavolo al momento sono più interconnessi che mai. Con la crescente popolarità di giochi da tavolo sempre più complessi è emersa una nuova ondata di videogiochi che da lì prendono spunto. Titoli come Dominion o Ascension hanno influenzato una nuova generazione di sviluppatori, dando vita a un originale sottogenere di videogiochi che non fa alcun mistero della propria fonte di ispirazione. Videogiochi come Dream Quest, Slay the Spire, Nowhere Prophet, Tharsis e Dicey Dungeons inseriscono le carte all’interno delle proprie interfacce, e usano lanci di dadi virtuali che sono visibili e manipolabili.
Vale la pena evidenziare il contributo che Hearthstone ha dato a questo indirizzo di design. Il gioco di carte digitali prodotto da Blizzard ha fatto proseliti grazie alla chiarezza del suo design e al modo in cui la complessità delle regole è in gran parte risolta automaticamente. Giochi come Hearthstone, e altri che lo hanno seguito, hanno anche in comune una struttura che prende liberamente in prestito alcuni elementi dai roguelike, un sottogenere dei giochi di ruolo la cui origine è strettamente legata a giochi da tavolo come Dungeons & Dragons. Per saperne di più, abbiamo chiesto a diversi sviluppatori in che modo i giochi di carte e di dadi hanno ispirato le loro scelte di design.
L’attuale rinascimento dei giochi digitali di carte e di dadi segue una traiettoria simile a quella dei primi CRPG, che traevano ispirazione da un titolo seminale come Dungeons & Dragons. Pubblicato nel 1974, quel gioco catturò l’immaginazione di molti futuri sviluppatori durante la loro infanzia. Quasi quindici anni dopo, lo studio SSI fece uscire Pool of Radiance, il primo capitolo della sua celebre serie di RPG chiamata Gold Box. Pool of Radiance, al pari di innumerevoli altri giochi, nasceva dalla volontà, da parte di quegli sviluppatori ormai divenuti adulti, di restituire in forma elettronica l’essenza dei giochi di ruolo in carta e penna. La stessa cosa è avvenuta con i giochi di carte negli anni Novanta. Quel decennio vide l’apice dei giochi di carte collezionabili, con Magic: The Gathering e Pokémon che si contendevano equamente l’attenzione e i portafogli dei giocatori. Anni dopo, stiamo vedendo i frutti di quel periodo, con gli sviluppatori odierni al lavoro su giochi come Hearthstone o come, presso Mega Crit, il roguelike Slay the Spire.
Per Anthony Giovannetti, sviluppatore e co-fondatore di Mega Crit, giocare ai giochi da tavolo è stata un’esperienza formativa, perciò è naturale che a loro volta essi abbiano un’influenza sul modo in cui crea videogiochi. «Sono cresciuto giocando ai giochi di carte», racconta. «Ho iniziato con Pokémon da bambino e poi sono passato a Magic: The Gathering e infine a Netrunner. Ho sempre amato andare al negozio che vendeva le carte e sfidare altri giocatori nei tornei locali. Avendo giocato a carte per tutta la mia vita, usare quel tipo di meccaniche nei videogiochi sembrava naturale».
Gli sviluppatori di questi titoli di certo non si limitano a riprodurre i giochi che amavano da ragazzi, perché sono pienamente consapevoli dei difetti a volte presenti nel loro design. «Ho sempre giocato a diversi giochi di carte, ma il formato non mi ha mai peso del tutto», spiega Martin Nerurkar, direttore creativo di Sharkbomb Studios, che ha creato Nowhere Prophet. «Quando poi sono arrivati i giochi di carte collezionabili digitali, ho sempre odiato quella che chiamo “la corsa alle armi”. Per giocare veramente devi poter competere con chiunque, il che significa aver bisogno di costruire un mazzo di alto livello, il che vuol dire vedere subito drasticamente ridotta la varietà di mazzi possibili. Comincia a sembrare un lavoro impegnativo, che richiede ricerca e grinding. Queste cose rendono meno divertente la costruzione del mazzo, che per me è migliore quando c’è di mezzo un po’ di creatività».
Il problema del pay-to-win continua a essere presente nei videogiochi, e ciò spiega per quale motivo alcuni sviluppatori stiano scegliendo di trascurare del tutto l’aspetto competitivo dei tradizionali giochi di carte per focalizzarsi sull’esperienza in single-player. È qui che entrano in gioco titoli come Dominion e Ascension. Nonostante siano anch’essi competitivi, il modo in cui si ottengono le carte e la maniera in cui il proprio mazzo cambia dinamicamente si adattano bene all’evoluzione di una partita in single-player. Quando tutto ciò si accompagna a una struttura derivata dai roguelike viene poi fuori una sfida sempre più impegnativa e un piacevole senso di progressione, all’interno di un contesto che evita il pay-to-win tipico di molti giochi del genere.
Dicey Dungeons è un altro gioco che, a prima vista, sembrerebbe ispirato dall’esperienza dei giochi da tavolo—ma stando a quanto dice lo sviluppatore Terry Cavanagh, non c’erano affatto né carte né dadi nei suoi pensieri quando iniziò a lavorare a questo roguelike agli inizi del 2018. «A essere onesti, le mie esperienze con i giochi da tavolo sono piuttosto limitate», racconta Cavanagh. «Ho giocato a molti giochi di società, ma non potrei affermare di aver pensato molto ai dadi prima di iniziare Dicey Dungeons. Le meccaniche nel gioco sono piuttosto una scoperta fortuita—qualcosa che pensavo avesse il potenziale per essere un buon progetto in una game jam. Dicey Dungeons ha preso spunto da una jam, la 7 Day Roguelike del 2018. La principale ispirazione è Dream Quest, che è uno dei miei giochi preferiti, e uno dei primi deck-building roguelike. Volevo fare qualcosa che esplorasse le medesime meccaniche, ma prendendo una direzione diversa—perciò, invece delle carte, ho pensato ai dadi. Si è rivelata essere un’idea molto buona. Poi il progetto si è rivelato decisamente più complesso di quanto potessi immaginare».
Come abbiamo detto all’inizio di questo articolo, gli sviluppatori hanno spesso guardato al genere roguelike—compresi giochi come NetHack e FTL—per orientarsi nel processo di mutuare le regole e le meccaniche dei giochi di carte e di dadi. «I giochi roguelike sono tra i nostri preferiti, e inoltre credo che a livello di meccaniche possano combinarsi bene con un deck-buiding game», spiega Giovannetti. «Il sistema di permadeath dà una buona spiegazione al fatto che il giocatore debba costruire un mazzo diverso ogni volta che inizia una nuova partita. I roguelike inoltre si focalizzano sul contenuto, perciò abbiamo potuto puntare a fare un gioco con un’elevata rigiocabilità, una caratteristica che mi sembra molto importante nell’attuale mercato dei videogiochi».
I roguelike inoltre forniscono un solido sostegno al world-building, aggiunge Nerurkar. «Lavorando da solo, non volevo realizzare un gioco multi-player. E un gioco di carte in single-player non una cosa che si vedesse molto in giro a quel tempo. Sapevo di voler costruire un mondo di gioco interessante, perciò avevo bisogno di un qualche sistema di viaggio. Combinare questa impostazione con la struttura di FTL è stato di grande ispirazione per me. Ho amato il modo in cui in quel gioco il sistema di combattimento si lega alle ambientazioni, e nel 2014, quando iniziai a pensare al concept di Nowhere Prophet, sembrava la soluzione perfetta».
La maggior parte dei giochi di carte e di dadi più complessi hanno dietro una storia che serve ad attrarre i giocatori: basti pensare alle leggende fantasy di Magic: The Gathering. I videogiochi hanno bisogno in ogni caso di un’ambientazione credibile e per Nerurkar la storia e il gameplay di Nowhere Prophet sono le due facce della stessa medaglia. «Questi due elementi si sono sviluppati di pari passo», dice. «Sono partito dalle fondamenta del gameplay e poi ho iniziato a costruire un mondo interessante in cui viaggiare e guidare un gruppo di persone. Amo gli scenari post-apocalittici, ma volevo qualcosa di diverso. Qualcosa di più colorato e luminoso. Perciò ho preso spunto dalle mie tradizioni e sono finito col mischiare tante idee differenti in ciò che alla fine è diventato Nowhere Prophet: la storia dell’esodo di un popolo alla ricerca di una terra promessa».
Differenziarsi da altri roguelike e giochi di carte digitali è un altro elemento importante per gli sviluppatori con cui abbiamo parlato. «Nelle prime versioni alpha, prima che ci pensassi per bene, ho praticamente usato i mostri di D&D come segnaposto: goblin e orchi e tutto quel genere di cose», dice Cavanagh a proposito dell’aspetto di Dicey Dungeons. «Ma sapevo fin dall’inizio di volere qualcosa di diverso per questo gioco. Volevo allontanarmi dall’estetica seriosa e opprimente che viene scelta per così tanti roguelike. Non ha nulla di sbagliato—mi piacciono un sacco di giochi che hanno quell’estetica—ma è quello che volevo fare. Volevo una cosa vivace, che sembrasse divertente, piena di energia e di luce».
Ormai pubblicato sei anni fa, Hearthstone continua a essere un riferimento per i giochi di carte digitali, il larga parte grazie alla qualità del suo design. È un gioco a cui gli sviluppatori guardano con interesse, come dimostra Nerurkar. «Hearthstone è stato di ispirazione per l’interfaccia», dice. «Ha fissato uno standard per il modo in cui i giochi di carte digitali dovrebbero presentarsi. Inoltre ha moltissimi giocatori, perciò usare convenzioni simili in Nowhere Prophet rende più facile per loro sentirsi a casa».
Nowhere Prophet ha usato un approccio simile con le proprie carte—secondo Nerurkar, la chiarezza è fondamentale. «Tutto sta nel rendere le carte leggibili e non troppo complesse—”leggere la carta spiega la carta” è una regola inderogabile», dice. «Questo vuol dire che effetti troppo complessi o complicati sono fuori questione. Ma trattandosi di un gioco digitale abbiamo potuto facilmente copiare le carte, modificarne i valori, e inserire delle regole che riguardano il loro posizionamento, aumentando il numero di strategie e di variabili possibili».
I giochi da tavolo tradizionali di certo non spariranno dalla circolazione, ed è chiaro che le loro meccaniche continueranno a ispirare la creatività degli sviluppatori ancora a lungo. Dai progetti ad alto budget come Hearthstone fino ai più piccoli titoli indipendenti, i migliori videogiochi di deck-building sanno catturare la complessità, la tensione e l’enorme imprevedibilità dei giochi di carte e di dadi all’interno di un pratico formato digitale.