Final Fantasy: cristalli di sogni e realtà

Proponiamo in versione ridotta l'introduzione alla raccolta di saggi pubblicata da Edizioni Unicopli.

La tentazione primaria, nel presentare questo lavoro, sa­rebbe quella di parlare di una “impresa”, magari “epica”, rea­lizzata da una squadra che richiama in qualche modo i party dei vari Final Fantasy. Sarebbe però un’analogia fallace. In Final Fantasy gli eroi sono chiamati a salvare il mondo, il glo­bale, la totalità. Un corrispettivo saggistico sarebbe un libro capace di render conto di una simile visione globale, con una panoramica completa sulla serie. E non è questo il caso. Ver­rebbe anche da chiedersi se uno sguardo d’insieme sia fattibi­le, o sensato. Ormai Final Fantasy è divenuto così ampio, nel­le sue molteplici declinazioni, che un simile lavoro dovrebbe per forza di cose limitarsi a sorvolarne la superficie, con una visione—sì—d’insieme, ma anche poco approfondita. L’inten­to del presente libro è invece differente. Nessuna panoramica globale, che avrebbe probabilmente aggiunto poco o nulla alle conoscenze degli appassionati, ma una selezione di specifici carotaggi, scavi in profondità intorno a specifici temi, fra loro molto differenti ma uniti dal cappello delle humanities, dei sa­peri umanistici che—in varia forma—vengono impiegati come strumento di analisi.

L’immagine ideale, allora, non sarà quella dell’impresa epi­ca compiuta dagli eroi. Un parallelismo possibile invece—per quanto possa suonar a prima vista curioso—è quello con le fotografie che Prompto Argentum scatta in Final Fantasy XV (2016). La fotografia videoludica conferisce realtà, in qualche modo, all’esperienza ludica1, andando a tener traccia di una singola, effimera, storia ludonarrativa. Ma queste foto non sono che frammenti, tasselli, tessere, lacerti, che anche riuni­te non vanno a comporre una totalità compiuta. Quando, alla fine di Final Fantasy XV, Noctis Lucis passa in rassegna le foto di Prompto, ciò che lui e il giocatore vedono non è una regi­strazione compiuta della loro avventura. Non è un walkthrou­gh, quello che Prompto ha realizzato, e nemmeno uno di quei video con telecamera ballonzolante e sempre accesa sullo stile found footage. Ciò che è stato raccolto è una selezione di momenti, di singoli ricordi che in qualche modo ci risultano cari.

Tutto ciò si basa su due passaggi distinti: il discrimine della scelta e la nostalgia del ricordo. Ed è su questi due punti che i presenti saggi, in qualche modo, somigliano alle foto di Prompto. In ciascuno di essi viene delimitato il campo di inda­gine, si seleziona un tema specifico, e talvolta anche un preciso corpus di titoli all’interno della serie Final Fantasy. E, inutile nasconderlo, simili scelte presentano anche una componen­te in qualche misura nostalgica. Anche quando ci si rivolge a Final Fantasy XV, l’ultimo capitolo della serie, quello che è temporalmente più vicino di tutti al tempo presente. La no­stalgia, del resto, è un sentimento sempre più forte e che viene a legarsi ad esperienze e consumi sempre più temporalmente vicini al presente. La stessa operazione di Final Fantasy VII remake (2020) sottende un vintage mood2 in cui si propone una nuova esperienza presente legata a un passato rivisitato, ripensato e riproposto.

Final Fantasy XV (Fonte: Square Enix)

A proposito di questi due punti—nostalgia e tasselli—è possibile ricollegarsi ad alcune celebri parole di Italo Calvino sui classici. Ora, identificare cosa sia un “classico videoludi­co” è un argomento forse complesso, e nemmeno è detto che tale nozione possa adeguatamente esser applicata al medium. Prendendola per buona, però, la serie di Final Fantasy rien­trerebbe per certo nel novero di questi “classici”, almeno per i suoi capitoli più noti, e pertanto si può tentare questo pa­rallelismo. Calvino scriveva che «si dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li ha letti e amati; ma costituiscono una ricchezza non minore per chi si riserba la fortuna di leggerli per la prima volta nelle condizioni miglio­ri per gustarli»3.

Una certa somiglianza è individuabile. Molte persone han­no giocato un certo capitolo di Final Fantasy da piccole, maga­ri senza riuscire a coglierne appieno la ricchezza o anche solo determinate meccaniche. Per queste persone, allora, rigiocare quell’episodio in età adulta sarà una riscoperta, in cui biso­gnerà negoziare coi propri ricordi nostalgici la costruzione di un nuovo senso da attribuire a quell’esperienza. E poi ci sono coloro che i ‘vecchi’ Final Fantasy non li hanno proprio gio­cati. Nel loro caso, recuperandoli in seguito, potrebbero forse avere quella «fortuna» di giocarli «nelle condizioni migliori», per tornare alle sopra citate parole di Calvino. Da questo punto di vista è certamente positivo il proliferare di remake, rema­stered e altre forme di ritorno, riuso e rigenerazione dei vide­ogiochi del passato4.

In secondo luogo, Calvino diceva che «un classico è un li­bro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire»5. So­stituendo “libro” con “videogioco” (e, più precisamente, con “Final Fantasy”) si può dir che ciascuno, nella propria scoper­ta o riscoperta di questa saga, possa trovar al suo interno dei differenti elementi attrattivi, sia come attivatori di interesse sia, andando più a fondo, come argomenti e temi da approfon­dire, su cui riflettere.

Un estratto dal libro
Cristalli di sogni e realtà. La cultura di Final Fantasy
Curatore
Francesco Toniolo
Editore
Edizioni Unicopli
Anno
2020
La ragione dei saggi raccolti in questo libro deriva da qui. Gli sguardi di otto persone sulla stessa serie hanno osservato, di volta in volta, differenti sfaccettature di Final Fantasy, a se­conda delle proprie competenze specifiche ma anche del proprio rapporto individuale con la saga. Da tutto ciò sono emersi otto contributi preziosi, perché ciascuno di loro mostra che Final Fantasy «non ha mai finito di dire quel che ha da dire».

Si può immaginare questa saga come un ecosistema com­plesso, in continua crescita e trasformazione, con strutture evidenti, di superficie, e una serie di dinamiche nascoste, sot­terranee, non immediatamente percepibili. Per muoversi in un simile ecosistema occorrono strumenti specifici e differen­ziati, ciascuno dei quali porterà alla luce qualcosa di nuovo, di volta in volta differente a seconda della modalità di indagine effettuata. Gli strumenti, in questo caso, sono tutti legati al vasto mondo delle humanities, della cultura umanistica, nel­le sue declinazioni più tradizionali (per esempio le discipline storiche) e recenti (come gli studi sui fandom).

Guardare ai videogiochi con l’occhio (o meglio, coi molteplici occhi) del­le humanities significa considerarne il loro inserimento in un flusso di prodotti culturali e di tradizioni più o meno consoli­date, osservando ciò che li ha preceduti, ciò che racchiudono e ciò che sta loro attorno. Che—a titolo d’esempio—i Four Fiends (Scarmiglione, Barbariccia, Rubicante e Cagnazzo) abbiano i nomi di quattro diavoli danteschi è probabilmente ininfluente nell’economia della saga, sono alcuni fra quei tanti nomi recuperati da varie tradizioni (Odino, Gilgamesh, Exca­libur…), ma indicano comunque un riuso che, pur ‘leggero’ e ‘giocoso’, comporta un riconoscimento. Non solo: il percorso di quei personaggi non si ferma alla citazione dantesca, per­ché il loro battle theme (Battle with the Four Fiends) è stato remixato da Hyadain, il quale ha prodotto una canzone in cui i quattro signori degli elementi (con l’aggiunta, nel finale, di Golbez) si alternano nel canto, raccontando le proprie de­bolezze, passioni e idiosincrasie6. Nomi, concetti e personaggi si evolvono, si trasformano, si rigenerano.

È utile allora aver a disposizione una pluralità di sguardi, che sia non solo multidisciplinare, ma anche legata a mondi e vissuti non solo strettamente accademici, per poter osservare—si potrebbe dire—ciò che sta prima, dopo, al centro e intorno a Final Fantasy.

[…]

Gli otto cristalli di questo libro

Come detto in precedenza, si vuol guardare “dentro” e “in­torno” a Final Fantasy, il che presuppone l’idea di un “prima” e di un “dopo”, innanzi tutto, perché la diacronia è un fattore di grande centralità. Tocca allora a Carlo Bonifacio aprire ide­almente i lavori, dopo questa introduzione, con un saggio sul profetismo e le visioni apocalittiche in Final Fantasy, perché la profezia guarda al futuro attingendo al passato o, quando si compie, è un passato che diviene presente. In questo elemento temporale si annida anche una riflessione sul tema della liber­tà e del libero arbitrio: se si è predestinati a raggiungere un traguardo dove sta la propria adesione volontaria a un compi­to? Una domanda che traghetta il lettore al secondo saggio, di Marco Seregni, incentrato sulla libertà del videogiocatore, in una riflessione che—partendo dalle vicende di Final Fantasy X-2 (2003)—intreccia filosofia e alcuni classici degli studi sul gioco.

Final Fantasy X-2 (Fonte: Final Fantasy Wiki)

Sempre in ottica temporale, declinata stavolta in chiave storica, si muovono i successivi saggi di Gabriele Campagnano e Lorena Rao. Il primo si sofferma sulla famosissima Buster Sword e spiega, grazie agli strumenti dell’oplologia, quanto si­ano spesso assurde le armi fantasy. Il secondo saggio, invece, compara gli imperi della saga videoludica con l’impero giappo­nese di Hirohito, andando anche a toccare la questione del soft power, dell’impatto dei prodotti culturali nella costruzione ed esportazione di una identità nazionale. E, ancora, il seguente saggio di Luca Mandara si lega alla storia, non più collettiva ma personale: l’esperienza del lutto vissuta da Hironobu Sa­kaguchi. Partendo da questo vissuto viene introdotta una ri­flessione sul lutto, in termini di influenze e rappresentazioni, a proposito di quella che è stata forse la morte più significativa della saga: l’uccisione di Aerith in Final Fantasy VII (1997).

Dall’elaborazione del lutto alla sua narrativizzazione, dun­que, con una base di storytelling che apre la strada al saggio successivo, in cui lo scrittore Livio Gambarini riflette sulla struttura narrativa di Final Fantasy VIII (1999). L’autore non si sofferma soltanto sull’effettiva storia del videogioco, ma mo­stra anche come le più famose teorie dei fan siano nate da un bisogno di compensare alcuni vuoti nella struttura del raccon­to. Si considera dunque, come già annunciato, non solo ciò che sta all’interno dei perimetri ufficiali e canonici della saga, ma anche ciò che vi sta intorno. Come le fanfiction, di cui parla Lara Arlotta, introducendo i principali concetti su cui si basa­no queste produzioni dal basso e indicando alcune specificità legate alle fanfic sui videogiochi e su Final Fantasy in partico­lare. Infine—last but not least—il saggio di Francesca Sirtori si dedica a sua volta a ciò che sta “intorno” agli episodi della saga, spostandosi però dal fanmade a brand e product pla­cement, ricostruendo gli interscambi di prodotti e pubblicità dentro e fuori Final Fantasy.

Il libro propone, pertanto, questo percorso di lettura, ma nulla vieta al lettore di approcciarsi agli otto saggi in un ordi­ne differente. Seguite pure un approccio da open world nell’e­splorazione del testo, insomma.

Note

  1. C. Poremba, Point and Shoot. Remediating Photography in Game­space, in «Games and Culture», 2, 1, 2007, pp. 49-58. ↩︎
  2. D. Panosetti, Vintage mood. Esperienze mediali al passato, in D. Panosetti, M.P. Pozzato (a cura di), Passione vintage. Il gusto per il pas­sato nei consumi, nei film e nelle serie televisive, Carocci, Roma 2013, pp. 13-59. ↩︎
  3. I. Calvino, Perché leggere i classici, Mondadori, Milano 2002, p. 6 (originariamente Italiani, vi esorto ai classici, in «L’Espresso», 28/06/1981, pp. 58-68). Corsivo dell’autore. Si aggiunga che, a propo­sito dello studio dei classici a scuola, il linguista Luca Serianni (in L’o­ra di italiano. Scuola e materie umanistiche, Laterza, Roma-Bari 2010, pp. 95-96) ricordava che essi sono necessari non per il loro “diletto”, che subentra eventualmente solo in un secondo momento, dopo lo studio e l’approfondimento. Si può dire che, per i videogiochi “classici”, il più del­le volte si verifica il procedimento inverso: si parte dal divertimento per giunger poi, eventualmente e solo in un secondo momento, al desiderio di indagare, di approfondire i temi dell’esperienza vissuta, di ‘studiarla’. ↩︎
  4. La sovrapposizione fra queste esperienze non è comunque assoluta, soprattutto quando si parla di remake, che potrebbero esser avvicinate a quelle operazioni di “riscrittura” e “ammodernamento” linguistico che talvolta viene tentato sui classici della letteratura. Una pratica a cui, per esempio, il già citato Luca Serianni si oppone. Al tempo stesso, però, il remake non è nemmeno una riscrittura, per cui a voler sviluppare coe­rentemente e a fondo questo tema sarebbe necessaria una riflessione ad ampio raggio. ↩︎
  5. I. Calvino, Perché leggere i classici, cit., p. 7. Corsivo dell’autore. ↩︎
  6. FRUITY BUM BUM, FF4, Appearance of Golbez’s Four Lords of the Elements, «YouTube», 28/05/2008, è la versione video di questa canzone con il maggior numero di visualizzazioni (oltre due milioni). Al suo fianco esistono però numerose altre versioni, in cui—molto spesso—i four fiends sono sosti­tuiti da altri personaggi, ad esempio alcuni villains Disney, nell’ottica di un continuo remixing. Su simili pratiche si veda P. Peverini, YouTube e la creatività giovanile. Nuove forme dell’audiovisivo, Cittadella Editrice, Assisi 2012 e H. Jenkins, S. Ford, J. Green, Spreadable media. I media tra condivisione, circolazione, partecipazione, Apogeo, Milano 2013 (ed. orig. Spreadable media. Creating value and meaning in a networked culture, New York University Press, New York 2013). ↩︎