Tra i giochi usciti lo scorso anno Slay the Spire e Frostpunk si sono rivelati—o rischiano di rivelarsi—i due più seminali e influenti, e solo apparentemente per la loro capacità di unire generi diversi. Il primo, sviluppato da Mega Crit, trasformava il gioco di carte digitale in un roguelike. Il secondo univa il gameplay di un gestionale con le meccaniche survival legate al suo tema apocalittico. L’esercizio di immaginare questi due giochi come puzzle composti da tanti pezzi da unire è invitante: in Frostpunk ad esempio il mondo interamente ghiacciato e la sopravvivenza minacciata da temperature in picchiata libera sotto lo zero ci riportano all’esperienza di The Long Dark; la componente esplorativa richiama quel piccolo gioiello che è The Curious Expedition, o se vogliamo Sheltered, tanto per restare sul tema catastrofico; il cuore del gioco invece ricorda inevitabilmente Banished, che a ben vedere introduceva già nel 2014 spiccati elementi survival in un gestionale.
Non è però da una semplice giustapposizione di idee che nasce un gameplay originale e convincente. Giocando a Slay the Spire ci si accorge di come la bravura degli sviluppatori non risieda tanto nell’aver fatto funzionare bene l’associazione tra due generi differenti, quanto nell’aver capito in che modo una meccanica avrebbe potuto trarre vantaggio dall’altra. La relazione non è biunivoca: in Slay The Spire è il gioco di carte a beneficiare delle caratteristiche del roguelike e non viceversa. Il guadagno è in rigiocabilità, perché il pericolo di incontrare nemici diversi, studiati con un gran lavoro di game design per risultare spesso pericolosi se non ci si è preparati a dovere all’eventualità di doverli affrontare, e la necessità di costruire un nuovo mazzo in ogni partita con le carte trovate lungo il percorso, e ancora il fatto che ogni personaggio abbia un set di carte unico, contribuiscono a creare situazioni di gioco sempre diverse—un risultato difficile da ottenere in un gioco di carte single player.
Seguendo questa strada anche una piccola produzione indipendente può offrire una varietà simile a quella che nei più famosi giochi di carte collezionabili digitali, come Hearthstone o Magic: The Gathering Arena, viene garantita dalla grande quantità di giocatori attivi nelle diverse modalità competitive online. Non a caso la conta dei titoli che hanno preso ispirazione da questa formula è lunghissima1Dicey Dungeons, Meteorfall: Krumit’s Tale, Fate Hunters, Deep Sky Derelicts, Nowhere Prophet, SteamWorld Quest: Hand of Gilgamech, A Long Way Down, giusto per fare un elenco, per giunta incompleto, di quelli che non danno l’impressione di essere stati programmati in tutta fretta per sfruttare il crescente desiderio di deckbuilder prima che il mercato fosse saturo di offerte; altri ancora sono in fase di sviluppo, come Inscryption, il prossimo gioco di Daniel Mullins dopo The Hex.. In Slay the Spire, inoltre, tale approccio riesce a trasformare il gioco in una sorta di piattaforma: fissata una serie di riferimenti di base, la rigiocabilità può essere accresciuta a piacimento aggiungendo nuovi personaggi con nuovi set di carte e nuove abilità con cui affrontare in modi sempre diversi gli stessi nemici—che è poi quello che hanno fatto sia i modder che la stessa Mega Crit, con la recente introduzione del quarto personaggio The Watcher.
In Frostpunk le cose funzionano grosso modo alla stessa maniera: c’è una componente, quella gestionale, che trae beneficio dall’altra, ovvero l’impostazione survival con la relativa ambientazione apocalittica. A partire dagli anni Novanta—con i blockbuster del cinema catastrofista permessi dai nuovi effetti digitali—e fino ai giorni nostri—ad esempio con il ritorno in auge degli zombie—il tema della fine del mondo ha costantemente permeato l’immaginario collettivo, arricchendosi di storie. Calandolo in un contesto apocalittico, gli sviluppatori di 11 Bit Studios hanno potuto dunque dare al loro gestionale un’impronta narrativa forte, inedita per il genere. I vari scenari di Frostpunk sono scanditi da eventi capaci di immergere appieno il giocatore nella difficile situazione che è chiamato a gestire. In una certa misura questa operazione snatura il genere: giocare un gestionale è sempre stata un’esperienza rilassante, mentre se Frostpunk fosse stato venduto come un software per generare stress avrebbe ugualmente ricevuto un’ottima accoglienza.
È facile vedere però anche i vantaggi portati dalla componente narrativa, come una maggiore attrattiva per quei giocatori che magari si sono sempre tenuti lontani dal genere proprio per la sua mancanza, o per quelli a cui comunque non sarebbe dispiaciuto vedere qualcosa di simile anche in altri titoli. Nessun gestionale, a memoria, ha avuto prima di Frostpunk una storia altrettanto forte da raccontare: di solito la narrazione in questi giochi ha un ruolo molto marginale e consiste in sostanza in un debole pretesto per far fare al giocatore alcune cose piuttosto che altre nella modalità campagna, come accade nella serie Tropico, o come abbiamo visto in Transport Fever 2, o in Two Point Hospital, soprattutto con i suoi DLC tematici. Proprio con un nuovo DLC, intitolato The Last Autumn, da 11 Bit Studios arriva invece una generosa espansione dell’universo narrativo di Frostpunk.
Mentre Frostpunk racconta—e sfida il giocatore a gestire—la difficoltà con cui un gruppo di sopravvissuti deve resistere a condizioni climatiche estreme, vivendo nel costante pericolo di morire di stenti, di fame, di malattia, di freddo, lottando contro il tempo per prepararsi a terribili tempeste, cercando di accumulare risorse a sufficienza e di sviluppare tecnologie utili a far sì che il loro insediamento costruito intorno a un generatore di calore continui a tenerli al sicuro e al riparo, The Last Autumn narrativamente si presenta come un prequel. Il mondo non lo sa—o meglio lo sa però rimane scettico, non ci crede—ma sta vivendo l’ultimo autunno della sua storia, perché l’inverno in arrivo sarà senza fine: coloro che hanno già previsto il peggio però hanno predisposto la costruzione dei generatori al centro del gameplay originale, e il giocatore si trova a gestire proprio questa fase, con tutto ciò che comportano i lavori per un’opera così complessa e imponente, in termini di quantità di manodopera impiegata come pure di sicurezza all’interno dei cantieri.
Anche Frostpunk con l’espansione The Last Autumn si trasforma in un certo senso in una piattaforma: nel DLC spariscono le lande ghiacciate, il paesaggio non è più bianco ma si colora di verde, il clima si mantiene a lungo decisamente mite, cambiano gli edifici a disposizione e le leggi che si possono far entrare in vigore. Rimane riconoscibile solamente l’ossatura principale: l’impianto circolare dell’insediamento, la centralità del generatore, la corsa contro il tempo per far fronte alla catastrofe che incombe. 11 Bit Studios propone così una nuova idea di gestionale che si struttura seguendo principalmente le linee guida del proprio racconto, andando a esplorare con nuovi scenari e con nuove meccaniche di gioco i diversi momenti di una stessa drammatica storia.
Se il trasformarsi in piattaforma di Slay the Spire consentiva un’espansione teoricamente infinita della sua rigiocabilità, perché ogni personaggio con le sue carte e le sue abilità costituisce in fondo quasi un nuovo gioco, in Frostpunk accade quindi qualcosa di simile con The Last Autumn, che alimenta invece la narrazione introducendo novità radicali ma sempre coerenti con le caratteristiche basilari del gameplay. Entrambi i giochi propongono un’evoluzione dell’ibridazione tra generi, il cui segreto non sta né nella somma né nella sintesi delle componenti di partenza, bensì nella produzione di una nuova proprietà che emerge, si fa astratta e diventa il punto fermo, il riferimento a partire dal quale è poi possibile per gli sviluppatori muoversi verso soluzioni molto diverse. Slay the Spire e Frostpunk sono due esempi di game design da studiare e da imitare.