Venti anni fa il web somigliava ben poco a quello che conosciamo oggi. Era terribile: migliaia e migliaia di siti pieni di clipart animate, fastidiose personalizzazioni del puntatore del mouse, musica che partiva in autoplay, nickname terribili, altre clipart animate, testi dai colori improbabili difficilissimi da leggere. No, non è vero che era terribile: era fantastico. Ci si avventurava in quelle lande digitali con lo spirito dei pionieri, scoprendo sempre qualcosa di nuovo e di inatteso. Non a caso oggi il web di quell’epoca viene rievocato con tanta nostalgia. A cosa servono però i videogiochi se non a farci vivere o rivivere esperienze impossibili o perdute? Ecco che l’internet della fine degli anni ’90 diventa l’ambientazione—per non dire: il protagonista—di Hypnospace Outlaw, gioco uscito quest’anno per Windows, Mac e Linux.
Non si tratta esattamente del web che hanno vissuto i primi internauti, ma una creazione fittizia che gli somiglia molto: all’Hypnospace ci si collega di notte, nel sonno, attraverso una fascia che si applica alla testa, collegandosi a un sistema operativo chiamato HypnOS. Se suona tutto molto brandizzato, molto corporate, è perché effettivamente lo è. L’unico metodo di pagamento accettato è l’HypnoCoin. Le attività degli utenti vengono costantemente monitorate dai proprietari della piattaforma grazie all’Hypnospace Patrol Department; qui gli Enforcer sono sempre al lavoro per evitare qualsiasi violazione delle norme abbastanza stringenti che regolano l’utilizzo di Hypnospace e, come accade in altri videogiochi a tema sorveglianza (possiamo citare Orwell, Beholder o Do Not Feed the Monkeys), il giocatore si trova proprio nei panni di uno di questi controllori.
Hypnospace Outlaw tuttavia non nasce così. Jay Tholen, l’autore del gioco, che già aveva dimostrato buone idee e discreta stoffa nel realizzarle con l’avventura grafica Dropsy, mi racconta come ha preso forma nel tempo questo progetto. «Hypnospace Outlaw è nato nel 2014 come piccolo “microgame”: si chiamava Hypnospace Enforcer ed era ambientato nel futuro. L’idea di indossare una fascia sulla testa per accedere a internet di notte venne concepita allora, anche se il sistema operativo aveva un ruolo marginale nel gioco, in cui una corsa di automobili (un gioco con l’espressione “autostrada dell’informazione”) rappresentava il cuore dell’esperienza. Nel 2015 ho iniziato a lavorare su un sequel nel quale HypnOS essenzialmente serviva a selezionare i livelli di gioco. La gente su Twitter reagì molto bene alla parte relativa al sistema operativo, così il gioco pian piano diventò sempre più un simulatore di sistema operativo e sempre meno un gioco di corse arcade».
Il focus si è progressivamente spostato verso HypnOS fino all’estremo, dato che giocare a Hypnospace Outlaw in un certo senso equivale ad aprire e utilizzare questo ipotetico sistema operativo: sotto questo profilo, ci troviamo di fronte al singolare caso di un gioco senza interfaccia. «Il nostro programmatore, Mike Lasch, si è impegnato molto per farlo sembrare un vero sistema operativo», mi spiega Tholen. «Per quanto non fosse un modo economico di realizzare il gioco, abbiamo passato un sacco di tempo all’inizio della fase di sviluppo aggiungendo elementi divertenti, inutili e superflui come gli screensaver da scaricare, gli adesivi da mettere sul desktop, il generatore di suoni. Penso che l’inclusione di piccole cose come queste fanno sembrare lo spazio delle possibilità di HypnOS molto più grande di quanto non sia realmente. Un po’ come le mie prime esperienze di fronte a un computer, quando non sapevo ancora quali fossero i confini».
Non solo il risultato riesce a colpire e contribuisce a rendere più immersiva l’esperienza di gioco, ma realizzare tecnicamente tutto questo è stato anche relativamente semplice. «Non abbiamo avuto particolari difficoltà, a parte qualche problema di ottimizzazione di performance. Il gestore della pronuncia text-to-speech si basa su quello preinstallato sul vero sistema operativo su cui gira il gioco—e sfortunatamente non funziona bene su Linux. Questo spiega anche per quale motivo la voce su Mac e su Windows è diversa. Mike e io abbiamo usato Construct 2 per realizzare il gioco (a dire il vero principalmente Mike: è un mago con quel programma)», mi racconta Tholen. «È un ottimo strumento per iniziare dato che si utilizza l’interfaccia grafica e non sono richieste competenze di programmazione. Funziona bene per creare giochi meno complessi, e abbiamo incontrato qualche ostacolo tecnico in corso d’opera. Il nostro amico Corey di ThatWhichIs Media ci ha aiutato a scrivere componenti aggiuntive personalizzate per Construct, in modo da poter fare cose che il programma normalmente non permette». Alla fine, con il gioco non più ambientato nel futuro ma nel 1999, quello che ne viene fuori è un sistema operativo che somiglia a un Windows 98 in versione vaporwave—un punto di partenza ideale per navigare in un web che ricorda da vicino quello dell’epoca.
Per quanto notevole sia la fattura di HypnOS, infatti, il vero centro dell’esperienza di gioco è una riproduzione molto verosimile di ciò che era internet alla fine del secolo scorso: per conto dell’Hypnospace Patrol Department il giocatore si trova a visitare centinaia di pagine alla ricerca di violazioni delle condizioni di utilizzo. Il primo incarico ad esempio riguarda facili e discutibili rimozioni di materiale protetto da copyright, ma andando avanti nel gioco si avrà accesso a una quantità sempre maggiore di pagine web in cui cercare le informazioni necessarie a risolvere casi più complessi. Ipotizzo che il punto di partenza qui sia stato un accurato lavoro di documentazione su siti come OoCities, nati per preservare la memoria dell’internet delle origini, e Tholen me lo conferma. «Hai indovinato! L’archivio di siti di Geocities conservati su OoCities è stata la principale fonte di ispirazione per il modo in cui i personaggi di Hypnospace disegnano le loro pagine e comunicano tra loro. Ho inoltre visto molti episodi di Computer Chronicles e Net Cafe, entrambe produzioni televisive di Stewart Chiefet. Libri sul web design (e sul design digitale in generale) di fine anni ’90 e primi 2000 sono stati utili per progettare il linguaggio visivo del gioco, così come gruppi online tipo y2k Aesthetic Institute e Global Village Coffeehouse. Anche Internet History Podcast ha avuto un’importante influenza su parti della storia di Hypnospace Outlaw. Di certo hanno giocato un ruolo rilevante pure i miei ricordi di 12enne su internet nel 1999».
In Hypnospace Outlaw succede dunque che questo internet perduto torna a essere qualcosa di vivo, seppur nella finzione, permettendo così ai giocatori più vecchi di riviverlo con un po’ di nostalgia, e ai più giovani di scoprire una fase storica del web che non hanno mai vissuto. In un primo momento mi viene naturale pensare a questo progetto come a un esperimento di gamification della cosidetta internet archaeology. Più vado avanti nel gioco, però, più capisco che Hypnospace Outlaw è soprattutto un’avventura grafica avanguardista, che utilizza un’intera e vasta rete internet per narrare la sua storia, e lascia al giocatore il compito di trovare e conoscere i suoi personaggi nei modi e nei tempi che preferisce. Sul web di Hypnospace c’è di tutto: teenager, appassionati di musica, complottisti… c’è chi disegna pianeti immaginari, chi omaggia i suoi eroi del passato, chi recensisce dischi, chi vende software, chi propone pozioni e rimedi magici, chi pubblicizza la sua attività commerciale o la propria arte; ci sono reti più nascoste dedite alla diffusione di materiale di vario genere; ci sono intere comunità che si sono spostate in cerca di maggiori spazi di libertà; c’è chi racconta la propria vita, chi polemizza con altri utenti, chi parla di fantasy o di cibo o di sport; ci sono canzoni, video e programmi da scaricare. Tutto ciò viene inserito in un contesto immaginario ma coerente, in un mondo cioè che ha le sue mode e le sue sottoculture: c’è chi ascolta il coolpunk e chi segue gli incontri di trennis. Arriva inevitabilmente un momento in cui si realizza quanta cura e quanta inventiva siano stati messi nella costruzione del mondo di Hynospace Outlaw e si resta davvero attoniti.
«Inventare un web fatto di pietre di paragone e movimenti culturali di finzione è stata la parte più stimolante e soddisfacente dello sviluppo per me. L’esplorazione del modo in cui i brand provano a fare di ogni tipo di cultura un settore di mercato da cui trarre profitti ha dato forma al modo in cui abbiamo progettato il mondo di Hypnospace, ma gran parte dei contenuti sono lì semplicemente perché un giorno ho avuto lo stimolo di realizzarli», mi dice Tholen. «I miei interessi al di là dei videogiochi si trovano principalmente nel mondo della musica, il che spiega perché Hypnospace contenga molta più musica immaginaria rispetto a film o televisione. Ci siamo anche dati la regola di non inserire riferimenti a prodotti culturali reali senza un minimo di offuscamento (ammetto che ci siamo spinti un po’ troppo in là con SquisherZ, chiaramente un equivalente di Pokemon). Mi sembra che citare la cultura pop implichi conoscenze che il giocatore potrebbe non avere. Questo genere di cose può rendere datato un gioco (o un libro o un film) con la stessa velocità con cui le modalità di intrattenimento delle vecchie generazioni svaniscono dalla memoria collettiva. Inventandone una di sana piana, eravamo costretti a partire dal presupposto che tutto è sconosciuto al giocatore. Qualsiasi cosa di cui abbia bisogno per comprendere un aspetto del gioco può essere trovata all’interno del gioco stesso».
Tale dimensione autarchica ha permesso agli sviluppatori di mischiare un po’ le carte, dando a Hypnospace alcune caratteristiche dell’internet odierno, a partire dal ruolo svolto dalle grandi aziende private. Dunque, se da una parte il gioco rievoca gli albori digitali del web degli anni ’90, l’attività di controllo e di sorveglianza che il giocatore è chiamato a svolgere rappresenta un monito per il futuro, considerato soprattutto quanto larga sia la porzione di attività—e dunque di dati—che oggi si concentra su pochissime piattaforme, come Youtube e Facebook. «La storia di Hypnospace Outlaw è in buona parte ispirata a quella delle start-up di metà e fine anni ’90, fondate da genietti che aprivano le loro dotcom in un garage e venivano ricoperti di denaro dagli investitori senza che ci fossero particolari verifiche», mi racconta Tholen. «Storie di eccessi che riguardano siti come Psuedo.com o TheGlobe.com hanno avuto una diretta influenza su alcuni dei nostri personaggi. In tutte queste aziende si può riconoscere uno stesso pattern—una priorità data sempre all’ambizione e all’ottimismo tecnologico e discapito del benessere degli utenti—che è diventato impossibile da ignorare. Questo tema, credo, è ancora più rilevante oggi che le aziende in questione hanno un enorme potere». Proprio il vantaggio—tecnologico ed economico—accumulato in questi anni rende difficile prevedere se il web tra altri vent’anni sarà cambiato così radicalmente come negli ultimi due decenni.
Questione ancora più delicata è se un cambiamento sia auspicabile—lo sarebbe tanto meno quanto maggiori sono le probabilità di trovarsi poi in uno scenario peggiore: in fondo, Hypnospace Outlaw restituisce un mondo digitale ancora ingenuo e immaturo, e la domanda “chi controlla i controllori?” non pone più particolari problemi, dopo che per secoli ci si è potuto ragionare sopra. La domanda “chi controlla gli algoritmi?”, ad esempio, suona già molto più inquietante. Quando glielo chiedo, Jay Tholen si dimostra comunque abbastanza sicuro che tra altri vent’anni internet sarà completamente diverso. «Sì, credo che l’internet di oggi sarà in gran parte dimenticato», mi dice. «Sarà interessante vedere cosa ne rimarrà. Probabilmente ciò che ha alle spalle più denaro». Non saprei proprio decidere, però, se questo sia o meno un modo ottimista di vedere il futuro.