A dare retta agli analisti di mercato, la prossima generazione di console potrebbe arrivare nel corso del 2020. Alcuni contano sul fatto che già nel 2019 ci saranno importanti novità. John Kodera, il CEO di Sony Interactive Entertainment, meno di un anno fa ha detto invece al Wall Street Journal che per la PlayStation 5 ci sarebbe stato da attendere almeno fino al 2021. Qualsiasi sia la verità, è certo che Sony e Microsoft sono già al lavoro da tempo sulle caratteristiche, le funzionalità e le specifiche tecniche delle prossime versioni di PlayStation e Xbox; e probabilmente, tenendo sotto stretta osservazione il proprio competitor, nei prossimi mesi saranno pronte in qualsiasi momento a fare un annuncio in risposta a un’eventuale prima mossa della concorrente.
Il lancio di una nuova generazione di console è sempre stato, in effetti, un affare piuttosto delicato; ma questa volta a complicare le cose c’è il fatto che la prossima generazione, la nona, potrebbe anche essere l’ultima. Si profila infatti un nuovo scenario all’orizzonte, pronto a rivoluzionare il settore: la possibilità di giocare in streaming. Ci sono diversi problemi tecnici e tecnologici da risolvere, ma anche una posta altissima in palio per chi riuscirà a trovare le soluzioni giuste per il gaming in cloud: cambiare per sempre un mercato che solo in Italia vale 1,5 miliardi di euro e guadagnare al suo interno uno spazio e un ruolo paragonabili a Netflix nel settore dell’intrattenimento audiovisivo o a Spotify in quello musicale.
Per i videogiocatori l’avvento del gaming in cloud significherà poter prescindere completamente dall’hardware posseduto. Si tratterà di un cambiamento epocale: basterà avere a disposizione una buona connessione a internet per poter giocare qualsiasi titolo al massimo dei dettagli su qualsiasi piattaforma, dato che di tutta la potenza di calcolo necessaria si occuperà il fornitore del servizio; ciò comporta che, quando i videogiochi in streaming saranno la norma, ci saranno almeno due drastici cambiamenti.
Il primo riguarda sempre gli appassionati, che assisteranno a un’ulteriore smaterializzazione del loro passatempo preferito. Del resto è la direzione che già da tempo ha preso tutta l’economia digitale: i beni di consumo si trasformano in servizi, e i consumatori usufruiscono di prodotti su cui non possono esercitare tutti i tradizionali diritti di proprietà. Gli stessi videogiochi che negli anni ’90 erano cartucce di impressionante solidità, come quelle del Super Nintendo o del Game Boy, ora sono sempre più spesso disponibili solamente in digital delivery; intangibili dunque, ma ancora capaci se non altro di andare a occupare fisicamente dello spazio su disco. Con lo streaming, anche quest’ultimo baluardo di concretezza verrà abbattuto.
Il secondo grande cambiamento riguarda invece l’industria videoludica e ha a che vedere con i problemi tecnici e tecnologici cui accennavamo prima. Per offrire una buona esperienza ai propri abbonati, a Netflix basta in fondo un velocissimo caricamento della prima parte del video richiesta: il resto potrebbe in teoria essere pure trasmesso a velocità piuttosto basse per gli standard attuali; un minuto di contenuto al minuto basterebbe comunque a garantire la fluidità della visione. La trasmissione in streaming di un videogioco, al contrario, richiede una risposta in pochi millisecondi ai continui input dell’utente, per l’intera durata della sessione di gioco.
Non a caso a sperimentare lo streaming videoludico sono soprattutto aziende già molto avanzate tecnologicamente, e con esperienza nel settore cloud. Più avanti di tutti c’è sicuramente Sony, che offre giochi in streaming sin dal 2014 agli abbonati a PlayStation Now (disponibile anche in Italia dallo scorso 12 marzo); ma ora stanno lavorando a servizi del genere anche Google e Microsoft, rispettivamente con Project Stream e Project xCloud. Finora un ristretto numero di fortunati ha avuto modo di provarli: Google ha permesso di giocare ad Assassin’s Creed Odyssey, l’ultimo capitolo del famoso franchise di Ubisoft, usando solamente il browser Chrome, con risultati estremamente incoraggianti; Microsoft ha invece mostrato in che modo alcune delle sue esclusive, come Halo e Forza, potrebbero essere tranquillamente giocate anche su uno smartphone o un tablet, dimostrando così di essere già pronta a mantenere un ruolo da protagonista in uno scenario completamente rivoluzionato.
È meno chiaro invece quali siano i piani di Nintendo, e non è detto che i principali player del settore saranno in futuro gli stessi che hanno segnato gli ultimi due decenni di storia videoludica. Il destino di Nokia, azienda leader di mercato negli anni dei primi telefoni cellulari che ha poi giocato malissimo le sue carte nel periodo di transizione verso gli smartphone, rappresenta sicuramente un monito. La storia stessa dell’industria videoludica porta l’esempio di Sega, costretta a prendere la clamorosa decisione di abbandonare la produzione di console dopo il fallimento della Dreamcast, uscita con pessimo tempismo nel 1998 e presto messa in difficoltà dall’arrivo della PlayStation 2 e della prima Xbox. A rischiare adesso è invece NVIDIA che, giustamente preoccupata dalla prospettiva di non vendere più molte schede grafiche, propone un servizio come GeForce Now, in cui non sono compresi i giochi ma solamente l’elaborazione grafica in cloud. Nintendo, se non altro, potrà sempre contare sulla forza di franchise storici ed esclusivi come Mario e Zelda, e su un catalogo di classici senza tempo da aggiornare e riproporre un remake dopo l’altro.
Le incognite maggiori riguardano tutti gli altri, che andranno a contendersi un campo che promette di essere piuttosto affollato. Abbiamo già citato Sony, Google e Microsoft, di cui si è già avuto modo di tastare i progressi, ma al gaming in cloud stanno pensando anche Apple, Electronic Arts e Amazon. Soprattutto quest’ultima ha molte carte vincenti da giocare: può già contare su AWS (Amazon Web Services), uno dei più avanzati servizi di cloud computing, e su una piattaforma come Twitch, che garantisce un filo diretto con una vastissima platea di videogiocatori. Potrebbe essere sufficiente a ritagliarsi un ruolo importante nel settore videoludico e dimenticare quanto Prime Video fatichi invece di fronte a un competitor come Netflix già capace di portare una delle proprie produzioni originali fino alla notte degli Oscar. Non bisogna però sottovalutare i popolarissimi franchise che Electronic Arts potrebbe decidere di offrire in esclusiva, come FIFA, o l’intero ecosistema di device già nelle mani di affezionati clienti Apple.
I primissimi esperimenti con lo streaming dei videogiochi furono dei fallimenti principalmente perché anticipavano i tempi: OnLive e Gaikai, questi i nomi dei pionieri, già nel 2009 proponevano un servizio di cui però, con le connessioni dell’epoca, ben pochi utenti potevano ritenersi soddisfatti. Inoltre i servizi in abbonamento non avevano ancora fatto breccia presso il grande pubblico: all’epoca Netflix non aveva ancora smesso di spedire DVD per posta, e Spotify era appena stata fondata. Gaikai ebbe se non altro la fortuna di essere acquisita da Sony proprio allo scopo di usarne la tecnologia per PlayStation Now.
Ora che i tempi appaiono maturi, il rischio maggiore è invece l’eccessiva concorrenza. Dato che i cataloghi tenderanno inevitabilmente a somigliarsi tutti, probabilmente riuscirà a spuntarla chi riuscirà a garantire la migliore esperienza di gioco e i prezzi più vantaggiosi. Non solo: potranno fare la differenza il marketing e la capacità di tenere i conti in ordine. Quanto successo con l’avvento dello streaming musicale insegna che la stragrande maggioranza dei consumatori non sarà disposta a sottoscrivere molteplici abbonamenti, e tenderà nel medio periodo a convergere su un ristretto numero di servizi, costringendo gli altri a uscire dal mercato. Per ogni Spotify dominante c’è un Rdio sparito dalla circolazione.
Appare allora evidente quanto la situazione sia al momento delicata. Il lancio di una console tradizionale, vale a dire di un costoso e performante sistema dedicato al gaming molto più avanzato rispetto alle ultime versioni della generazione attuale (PlayStation 4 Pro e Xbox One X), potrebbe rivelarsi un clamoroso insuccesso qualora lo streaming diventasse la norma, e difficilmente venderebbe secondo le attese. D’altra parte, proporre sul mercato un prodotto come una console molto economica che serva solo da base per i controller e da punto di accesso al catalogo dei giochi disponibili in streaming sarebbe altrettanto rischioso: ne starebbero sicuramente alla larga i giocatori per i quali è ancora importante possedere i giochi, mentre il concetto stesso di console potrebbe risultare superato agli occhi di coloro che, interessati al gaming in cloud, troverebbero tante soluzioni alternative. Che sia l’ultima o meno, forse nessuna generazione di console è mai stata difficile da progettare quanto quella in arrivo.