Quando i videogiochi diventarono maturi, io avevo dieci anni. A quell’età i miei genitori non mi lasciavano giocare più di due o tre ore alla settimana e io riversavo la mia passione sulle riviste specializzate. Ne compravo una ogni domenica e la leggevo lentamente ma per intero, ritornando più volte sulle recensioni dei titoli che avrei voluto comprare. Venni a conoscenza di Metal Gear Solid grazie a un’anteprima di PlayStation Magazine. Quell’articolo descriveva un gameplay molto avanzato: si diceva che i nemici sapessero seguire le impronte lasciate dal protagonista nella neve e che, per sconfiggere uno dei boss, bisognasse inserire il joypad nell’ingresso del giocatore due.
Raccontai tutto a un mio compagno di classe e qualche giorno dopo eravamo davanti a una PlayStation accesa e alla scritta Konami. Ricordo che la schermata del menù iniziale non mi piacque per nulla: i tratti del volto di Snake mi sembravano troppo deformi, disegnati male. Per un attimo considerai la possibilità di una delusione, poi cominciò una cutscene. Era davvero un videogioco? A me sembrava un film: la colonna sonora, le luci verdi della banchina, il montaggio alternato tra un soldato che nuota sott’acqua e le guardie tra i container, il soldato che si toglie la maschera (poco dopo, sul montacarichi) scoprendo il volto di Solid Snake. E quelli che cosa sono? Titoli di testa? Fuori splendeva il sole. Io e il mio amico avremmo potuto giocare a basket o dedicarci alle cose che facevano i bambini prima che le console entrassero nelle case. Ma era il 1998 e noi avevamo capito, magari senza realizzarlo, che quei titoli di testa non rappresentavano soltanto l’inizio di Metal Gear: erano il segnale che i videogiochi erano diventati una cosa enorme e che, per qualche anno, sarebbero stati ciò che ci interessava di più al mondo.
Ci sono due modi di valutare il ‘98 dei videogiochi dopo vent’anni. Il primo è guardare attraverso la lente della nostalgia. Ho notato che abbandonarsi ai ricordi rappresenta una tentazione quasi irresistibile per gli appassionati. Evocare le sensazioni di quando eravamo bambini è bello e consolante ma rischia di incidere troppo sul giudizio finale. Quindi sarebbe meglio trasformare la nostalgia nell’interesse a mettere in prospettiva le esperienze personali per capire che posto occupano nella più generale storia dell’intrattenimento videoludico. Perché sotto la patina dei ricordi che fanno sembrare così entusiasmanti gli ultimi mesi dello scorso millennio, scopriamo alcuni brutti cambiamenti per l’industria del gaming, ad esempio la cancellazione di Leisure Suit Larry 8. E allora, sarà vero quel che sostengono alcuni articoli o grafichette? Il 1998 è stato davvero il miglior anno della storia dei videogiochi? Andiamo per ordine.
Successero sostanzialmente tre cose: una grossa trasformazione nel modo di raccontare le storie, la nascita di un genere e il tramonto di un altro.
Tenchu: Stealth Assassin, Thief: The Dark Project e Metal Gear Solid sono i tre titoloni che per primi hanno fatto leva sulla vulnerabilità del giocatore. Mi spiego meglio: Garrett, Snake e i ninja di Tenchu non sono molto più forti dei propri nemici e per sopravvivere devono nascondersi e sgusciare tra gli avversari, oppure seccare le guardie senza essere visti. Prima di allora alcuni giochi avevano arricchito il gameplay con momenti in stile hide and seek, ma nessuno ancora ne aveva fatto la dinamica portante dell’esperienza di gioco. Solo nel 1998, con Tenchu, nacque lo stealth game. Thief portò il genere a un grado di perfezionamento superiore grazie alla possibilità di nascondersi nel buio e spegnere le fonti di luce per creare zone d’ombra. Metal Gear invece adottò la celebre visuale a volo d’uccello e un radar che disegna il cono visivo delle guardie che pattugliano i livelli. Il capolavoro di Hideo Kojima è importante anche per un altro motivo: insieme a un’avventura grafica e a uno sparatutto, trasformò il modo di raccontare le storie con i videogiochi.
Metal Gear fu pubblicato a settembre. Il mese successivo sarebbe uscito nei negozi Grim Fandango e, a novembre, gli utenti PC sarebbero rimasti sbalorditi davanti ad Half Life. Nonostante negli anni Duemila Grim Fandango diventerà famosissimo (io lo giocai grazie a mia madre, che lo aveva ricevuto dalle sue colleghe di lavoro), la sua è una storia triste. Il titolo della LucasArts fu esaltato dalle riviste di tutto il mondo, ma nessuno andò a comprarlo. Gli sviluppatori si convinsero che il pubblico aveva perso interesse nei punta e clicca. D’altra parte, se un titolo così premiato come Grim Fandango si era rivelato un fallimento commerciale, che speranza ci sarebbe stata per prodotti dello stesso tipo ma con una trama e uno stile meno innovativi? Leisure Suit Larry 8 fu cancellato, la LucasArts orientò la sua produzione su generi differenti e nel giro di tre anni l’avventura grafica era diventata una piccola parte dell’offerta di videogame. Era tramontato un intero mondo di storie bellissime.
Poi arrivò Half Life. Lo sparatutto di Valve stabilì un nuovo canone narrativo, ancora alla base dei prodotti contemporanei. I primi venti minuti sono rimasti nella storia: nei panni del dottor Freeman partecipiamo a un esperimento andato storto che porta feroci creature interdimensionali sulla terra e ci mette i militari alle calcagna. L’intuizione di Valve fu eliminare i filmati di intermezzo e lasciare che la storia si sviluppasse durante il gameplay: il giocatore partecipa agli accadimenti mantenendo il controllo del protagonista e la visuale in prima persona. Lo stesso anno, Metal Gear fece una scelta di storytelling opposta. Konami interruppe le sessioni di gioco con lunghissime cutscene dirette bene e scritte meglio. L’epopea di Snake è appassionante come una serie televisiva. Qual è la ragione dell’esistenza di Metal Gear? La trama è al servizio del gioco o viceversa? A voi la risposta.
Il ‘98 consegna altri due grandi cambiamenti al mondo dei videogiochi. Il primo coincide con la pubblicazione di The Legend of Zelda: Ocarina of Time. Prima che Breath of the Wild mettesse in discussione le gerarchie, Ocarina era considerata la migliore avventura di Link mai concepita. Nintendo traduce il classico gameplay di Zelda in un ambiente 3D molto avanzato, creando un nuovo standard di riferimento per i prodotti della serie. Nello stesso anno, Starcraft cambia le regole del gioco online. Con questo strategico, Blizzard mandò fuori di testa i Sudcoreani e in poco tempo nacque una community di appassionati incredibilmente numerosa, ancora oggi vitale e popolata da giocatori imbattibili. Con Starcraft nacque il concetto moderno di esport: stadi pieni, sponsor da Super Bowl, dirette televisive e il governo della penisola disposto a finanziare il fenomeno.
Non ho preso in considerazione i titoli che in Occidente sono arrivati nel 1998 (ad esempio Gran Turismo e Pokemon Red&Blue), ma sono stati rilasciati prima in Giappone. La ragione è che sto cercando di portare avanti un discorso di tipo storico, provando a mettere da parte le esperienze personali di noi videogiocatori italiani. Inoltre non parlerò per esteso di Xenogears, Turok 2, Resident Evil 2, Fallout 2, Tekken 3, Unreal, Banjo-Kazooie, Spyro the Dragon, Suikoden II, Oddworld: Abe’s Exoddus. So che tra questi potrebbe esserci il gioco della vostra infanzia, e mi scuso se l’ho soltanto nominato (o forse neanche quello), ma per ragioni di lunghezza è arrivato il momento di tornare alla domanda di partenza. C’è stato un anno migliore per i videogiochi dopo il 1998? Ho pensato che un modo oggettivo di rispondere sarebbe stato affidarsi agli aggregatori di giudizi. Ho scoperto che il 2000 e il 2001 sono i più rappresentati nella classifica dei cento migliori giochi di sempre di Metacritic, ma per loro natura le recensioni hanno la vista corta: è impossibile capire la portata storica di un’idea dopo un mese di prova. Inoltre gli anni precedenti al 1995 non rientrano nel calcolo del sito web. Come lasciare fuori Super Mario Bros., Ghost ‘n Goblins e Duck Hunt, tutti del 1985, o Pac Man e Defender, entrambi del 1980?
Alla fine mi sono convinto che una valutazione non può che essere personale, pur tenendo conto di alcuni parametri oggettivi, come la carica innovativa e la longevità che alcuni titoli conservano ancora oggi. Dal punto di vista della giocabilità, i classici del ‘98 non hanno perso colpi nel corso del tempo. Lo dimostra il fatto che molti dei giochi nominati in questo articolo hanno avuto una o più riedizioni: aggiornamenti grafici, soprattutto, che lasciano quasi intatta la formula di un gameplay perfetto. Della carica innovativa abbiamo parlato, dimostrando che il ‘98, nel bene e nel male, ha fatto la storia. L’anno migliore di sempre? Personalmente credo di sì. Insieme al 1996. Recentemente ho ripreso tra le mani Tomb Raider e Resident Evil e sono rimasto impressionato da quanto mi ci sia divertito. Le avventure di Lara restano un’esperienza incredibile per varietà (il T-Rex!) e possibilità esplorative, mentre il gioiellino di Capcom, il primo tentativo riuscito di gioco horror, è un perfetto equilibrio tra enigmi e strategia. Nello stesso anno arrivarono sugli scaffali Metal Slug, Quake, Mario Kart 64 e Super Mario 64, Civilization II, Crash Bandicoot, Diablo, Pokemon Red&Blue e tanti altri. Purtroppo il mio giudizio oscilla continuamente tra due stagioni d’oro e non vorrei pentirmi di aver scritto queste righe semmai riuscirò a prendere una decisione.
Per finire vorrei attirare la vostra attenzione su qualcosa che stava avvenendo proprio allo scadere del vecchio millennio. I dati delle vendite dimostrano che con il lancio sul mercato della PlayStation i videogiochi si trasformarono in un fenomeno di massa in grado di dare vita a un immaginario condiviso e a esperienze comuni. Nel 1997 Lara Croft divenne il simbolo delle rivendicazioni femministe e un sex symbol, mentre a scuola centinaia di migliaia di ragazzini si riunivano in cerchio a confabulare delle scorciatoie per i go kart di Crash Team Racing e i genitori si scandalizzavano per le stragi di pedoni in Carmageddon. La scoperta della grafica 3D aprì una quantità enorme di nuove possibilità di gioco, che vennero messe a punto con successo da una generazione di sviluppatori le cui idee sono ancora alla base del gameplay moderno. Magari preferite il ‘95 di Rayman e Warcraft II, il ‘97 di Final Fantasy VII e 007 Goldeneye o il ‘99 di Age of Empires II e Planescape: Torment. Ma se da bambini avete messo le mani su una Playstation, una Nintendo 64 o un vecchio Pentium, siatene orgogliosi. Gli anni Novanta sono stati un’epoca di pionieri e, si sa, in ogni arte quella dei pionieri è una stagione memorabile.