Il game design ingannevole

Quando il giocatore è la vittima, più o meno consapevole, dell'autore.

Possiamo pensare al gioco come a un sistema artificiale di vincoli mirati a sollecitare determinati comportamenti e a limitarne altri. Alcuni di questi vincoli restringono il modo in cui, come giocatori, possiamo interagire col sistema di gioco, per esempio permettendo al nostro personaggio di saltare solo fino a una certa altezza, oppure dandoci la possibilità di muovere le nostre pedine in un gioco da tavolo solamente un certo numero di caselle per turno. Le limitazioni nel mondo di gioco possono anche avere implicazioni più strettamente ideologiche, parliamo—ad esempio—di indicazioni rispetto a quali comportamenti e quali obiettivi il gioco ritenga virtuosi o desiderabili. In genere, e questo vale soprattutto per questi ultimi, si tratta di regole e vincoli che chi gioca non può modificare.

Ciò non significa però che non possiamo decidere di comportarci in modo critico rispetto ai ruoli e comportamenti che supponiamo il gioco ci imponga. In questi casi, nel discorso accademico dei game studies si parla di “giocare trasgressivamente”, ovvero di interagire con il sistema-gioco in modi che vanno deliberatamente contro alcuni dei suoi diktat funzionali o ideologici. Questi atti di ribellione ludica hanno spesso come effetto anche quello di svelare l’intrinseco posizionamento ideologico degli sviluppatori del gioco in questione (si vedano Flanagan 2009 e Bogost 2011).

Del giocare in modo trasgressivo si è parlato e scritto molto, e in modi spesso anche molto diversi tra loro. Ben poco si è però detto di come anche il design di un gioco possa essere esso stesso trasgressivo. In genere ci si limita a definire “videogiochi trasgressivi” quelli in cui si sfidano norme sociali, tabù, o in cui atteggiamenti immorali vengono suggeriti o incentivati da meccaniche di gioco. In questo articolo però non vogliamo concentrarci su giochi che permettono o incitano comportamenti riprovevoli o di cattivo gusto (ovvero che trasgrediscono leggi o costumi). Piuttosto, vogliamo esplorare scelte di design che sono trasgressive nel senso che si oppongono deliberatamente a comuni convenzioni del game design.

Dall'articolo originale
Ludic Unreliability and Deceptive Game Design
Pubblicato da
Journal of the Philosophy of Games
Traduzione e adattamento di
Stefano Caselli
Per primi, hanno parlato di qualcosa di simile Douglas Wilson e Miguel Sicart, nel paper “Abusive Game Design” del 2010, e José Zagal,. e altri, in “Dark Patterns in the Design of Games” del 2013. In entrambi gli articoli viene messo in discussione il paradigma dominante di design “player-centrico”, ovvero volto a soddisfare desideri, necessità e aspirazioni di chi gioca (e, di conseguenza, a enfatizzare aspetti come la chiarezza, coerenza e correttezza nello sviluppo e presentazione dei contenuti in-game). L’idea di “game design abusivo” di Wilson e Sicart si basa su come il gioco, mediando un rapporto personale tra chi gioca e il designer, possa dar vita anche a relazioni ambigue o addirittura abusive, mentre quella di “design oscuro” di Zagal e altri si concentra su caratteristiche di gioco che vanno intenzionalmente contro gli interessi dell’utenza, spesso senza farsi notare o chiedere il consenso.

A interessarci in questo articolo è sempre un tipo di design trasgressivo incentrato sulla ingannevolezza degli sviluppatori, ma diverso da entrambi i casi citati qui sopra. Vogliamo infatti parlare del “game design ingannevole”: ovvero di scelte di design prese con l’intento di fuorviare chi gioca, ma con lo scopo di ottenere precise risposte emotive o esperienziali dai giocatori. L’inganno in questione può riguardare il significato o la funzione di un elemento del gioco, può avere a che fare con cosa il giocatore possa effettivamente fare o meno, sulla liceità o virtuosità di certe azioni, sulla via giusta da seguire, e così via, e tradisce senza dubbio deliberatamente il tacito accordo tra giocatori e designer (che vede nel mondo di gioco qualcosa di affidabile e piacevole) ma lo fa con finalità espressive, volendo cioè aggiungere valore all’esperienza di gioco—per esempio provocando reazioni di sorpresa, confusione, eccitazione, o loro varie combinazioni.

Bene, il nostro approccio al design ingannevole si basa sulla nozione di “designer implicito”, ovvero sulla concettualizzazione di un designer costruita da chi gioca sulla base della propria interpretazione del mondo di gioco (Van de Mosselaer e Gualeni 2020). Ne abbiamo già parlato su queste pagine. In sintesi, come altri artefatti i giochi vengono creati con certe intenzioni creative, e chi gioca le interpreta costruendosi un’idea di queste intenzioni che si evolve con l’esperienza di gioco. L’idea appena riassunta del “designer implicito” viene costruita dai giocatori a partire da elementi del mondo di gioco come dialoghi, interfacce e menu, ma anche dal materiale para-ludico come il trailer del gioco, sue pubblicità, immagini e testi presenti su confezioni, manuali e così via. Le qualità del designer implicito che i giocatori deducono dipendono, ovviamente, anche dal retroterra socio-culturale di ogni giocatore, dalla sua alfabetizzazione ludica e dalla sua sensibilità.

Possiamo dire, intrecciando questa idea con quella dominante di design “player-centrico”, che l’efficacia di un certo game design può essere giudicata da quanto le intenzioni del designer e le interpretazioni dei consumatori corrispondano, e che in generale il successo di un artefatto dipende da quanto bene comunichi la propria funzione a chi ne fa uso. Parlando a livello ideale, quindi, un videogioco dovrebbe essere pensato in modo da facilitare in chi gioca la costruzione di un designer implicito affidabile, che comunichi con chiarezza il suo funzionamento, giusto?

Beh, in questo articolo andremo a indagare i casi in cui il designer decide di non sottostare (o non riesce a sottostare) a questo principio fondante. Ci concentreremo su varie possibilità espressive del design ingannevole, dedicando particolare attenzione al suo valore estetico e critico. In particolare, distingueremo tra:

  • design ingannevole occulto (covert deceptions): ovvero scelte di design ingannevole che producono effetti emotivi o esperienziali grazie al fatto che il giocatore non sa di essere vittima di un inganno;
  • design ingannevole palesato (overt deceptions): ovvero design ingannevole in cui è lo svelamento della disonestà ad aggiungere valore all’esperienza di gioco, in cui cioè è l’ammissione stessa dell’inganno che sortisce l’effetto sperato, e non il contenuto dell’inganno in sé.

Il resto dell’articolo sarà dedicato all’analisi e descrizione di vari esempi di queste due categorie.

Esempi di design ingannevole occulto

Nel game design ingannevole occulto le intenzioni creative proiettate dal designer divergono dal reale funzionamento del gioco. Lo chiamiamo “occulto” perché ha un effetto sull’esperienza di gioco solo fintanto che chi gioca non se ne accorge. Fino a quel momento, queste trovate possono essere usate per rendere il gameplay più appassionante, più denso di significato, e anche potenzialmente meno frustrante.

Hellblade: Senua’s Sacrifice (Ninja Theory 2017)

Un elemento di design ingannevole di questo tipo viene introdotto nel videogioco Hellblade: Senua’s Sacrifice (Ninja Theory 2017), subito dopo la prima morte (scriptata) della protagonista Senua. Durante il gioco, Senua soffre di allucinazioni ed episodi dissociativi e, nel corso della sua prima morte, una delle voci che sente la informa (e con lei, anche chi gioca) che l’Oscurità ha cominciato a divorarla da dentro. La malattia continuerà a espandersi dalle sue braccia fino alla testa, fino a che di Senua non resterà nulla.

Il fatto che venga detto proprio dopo la prima morte della protagonista non può che suggerire l’esistenza di una meccanica di permadeath, ovvero il rischio di perdere qualsiasi progresso di gioco insieme alla sanità mentale di Senua qualora la si faccia morire troppe volte. A ben vedere, però, Hellblade né ha una meccanica simile né sanziona chi gioca con penalità a lungo termine a seguito di ripetute morti del personaggio giocante. L’informazione ingannevole è stata inserita dai designer per dare un senso di gravità alle azioni di chi gioca, aumentando così il coinvolgimento emotivo con il personaggio e con uno dei temi centrali di tutto il gioco—la malattia mentale.

Lo scopo di questo inganno è creare incertezza. L’inganno non viene mai rivelato durante la partita, ma lo si può sia intuire durante la partita sia scoprire leggendo interviste online, articoli o discussioni sul gioco. «Una parte rilevante della malattia mentale—e della psicosi in particolare—è la paura», spiega il direttore creativo del gioco Tameem Antoniades:

Abbiamo pensato al permadeath volendo far provare paura a chi gioca. Quando viene paventata la minaccia dell’Oscurità è uno dei momenti più espliciti di tutto il gioco, ma a ben vedere l’idea che esista una meccanica di permadeath viene inferita da chi gioca, che interpreta autonomamente il senso di quello che viene detto. Chi gioca tocca quindi con mano un processo tipico della malattia mentale, ovvero il provare angoscia a partire da una propria interpretazione soggettiva del mondo (Purslow 2017).

Un secondo esempio di design ingannevole che ottiene il suo effetto rimanendo nascosto lo troviamo nel videogioco indipendente Waldo.io (Big Breakfast Collective 2019). Appena avviato, il gioco chiede quale username si voglia usare. Una volta inserito l’username, il gioco si connette automaticamente a internet e cerca un match multiplayer disponibile. Il nome scelto dal giocatore appare quindi tra quelli degli avversari in una lobby.

Waldo.io (Big Breakfast Collective 2019)

Waldo.io, però, un gioco single-player. Tutta questa introduzione (scegliere username, entrare in una lobby) altro non è che design ingannevole. Stando alla pagina web dedicata al gioco, Waldo.io è stato realizzato per dare all’utenza l’appassionante effetto di una competizione con altri giocatori. Gli sviluppatori spiegano, infatti, che:

C’è una finta lobby e il gioco genera username per tutti i finti giocatori. Ci siamo addirittura assicurati che non si potesse giocare senza connessione a internet. E sai una cosa? Il multiplayer sembra esserci davvero. Si ha la sensazione che ‘altri giocatori’ possano vincere, e a volte lo fanno davvero (Traverso 2019).

Un altro modo per i designer di proiettare nascostamente intenzioni ingannevoli è mentire sul genere del gioco che i giocatori incontreranno. Si può iniziare a mentire fin dall’uso ingannevole del materiale promozionale. Il trailer ufficiale di Gone Home (The Fullbright Company 2013) è un esempio paradigmatico di un inganno di questo tipo. Il trailer si rifà ad inequivocabili tropi del genere horror (una notte tempestosa, una casa abbandonata nell’oscurità, i telefoni fuori uso, apparizioni misteriose e una musica di tensione che continua a crescere d’intensità), ma le situazioni terrificanti che promette sono del tutto assenti nel gameplay vero e proprio.

Gone Home si ambienta effettivamente in una villa isolata, sì, ma non è affatto un gioco horror, né minaccia in alcun modo il personaggio giocante. È piuttosto un’intima esplorazione delle storie, dei sentimenti e delle relazioni all’interno della famiglia al centro del racconto. Questo inganno diventa evidente per chiunque finisca il gioco senza effettivamente mai imbattersi in un jump-scare o in altre situazioni terrificanti come quelle ventilate dal materiale promozionale. Prima della fine, però, il trucco ha già ottenuto lo scopo sperato, rendendo il gameplay teso e appassionante sulla base delle aspettative di chi gioca.

Non tutti i tipi di design ingannevole mirano ad aggiungere gravità e tensione alle azioni di chi gioca, o a farlo sentire più insicuro di quanto non sarebbe normalmente. A volte all’opposto si punta a far sentire l’utenza più abile di quanto non sia in realtà: alcuni giochi, per esempio, rimuovendo alcuni ostacoli dopo ripetuti fallimenti del giocatore, diminuendo l’output di danno dei nemici, o regolando di nascosto la difficoltà di un certo boss.

Esempi di design ingannevole palesato

Diversi da quelli visti finora sono tutti quegli esempi di design ingannevole che vengono esplicitamente rivelati al giocatore durante la partita. Questo ‘svelamento’ ha lo scopo strategico di suscitare effetti emotivi o esperienziali e mira a favorire in chi gioca una rielaborazione e re-interpretazione del gioco e delle proprie azioni all’interno dello stesso.

Undertale (Fox 2015) presenta vari esempi di design trasgressivo in questo senso. Il gioco, per esempio, all’inizio non spiega il vero significato di statistiche come ‘LV’ ed ‘EXP’, che invece mostra da subito durante le battaglie. In linea con le convenzioni di giochi di ruolo, i parametri LV ed EXP vengono con tutta probabilità interpretati da chi gioca come l’abilità del protagonista (level) e quantità di esperienza accumulata (experience). Nei giochi di ruolo, la presenza di queste variabili di solito invita a sconfiggere numerosi nemici e accumulare risorse senza sosta—attività che di norma accrescono suddetti valori, facendo diventare il personaggio più forte e quindi aumentando le sue possibilità di successo.

A rafforzare l’idea che si tratti proprio di classici indicatori di livello ed esperienza, anche in Undertale questi crescono quando si uccidono personaggi di gioco. È soltanto in un secondo momento che nel gioco viene spiegato il vero significato di queste variabili: LV sta per ‘Level of Violence – livello di violenza’, ed EXP per ‘EXecution Points – punti uccisione’. Chi gioca viene quindi informato del fatto che, seguendo acriticamente le convenzioni dei giochi di ruolo, non ha fatto altro che perseguire atti di egoismo e violenza moralmente inaccettabili.

Undertale (Fox 2015)

Un altro esempio di trasgressione di design svelata è stata la campagna di marketing ingannevole cucita sul personaggio protagonista di Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty (Kojima 2001). Nella prima parte del gioco, rilasciata come livello demo e fonte della maggior parte del suo materiale promozionale, chi gioca controlla il protagonista principale della serie Solid Snake, ex berretto verde e veterano di guerra.

La convinzione che Metal Gear Solid 2 avrebbe avuto Snake come personaggio principale era inoltre rafforzata da elementi para-ludici come la copertina del gioco e i poster ufficiali, tutti con il personaggio bene in vista. A sorpresa, però, soltanto nella parte iniziale del gioco si ha modo di controllare Solid Snake; per tutto il resto di Metal Gear Solid 2 si controlla invece Raiden, un novellino privo di esperienza, per giunta costantemente trattato come un imbecille dai propri superiori.

Quando gli è stato chiesto se fosse preoccupato per le reazioni dei fan a questa scelta, Hideo Kojima (director e lead designer della serie) ha risposto «non direi. In un sequel, uno deve andare incontro alle aspettative del pubblico, ma credo anche che uno possa prendere la decisione opposta, e ingannarli» (Keighley 2012).

Altro inganno di design mirato ad avere un effetto specifico su chi gioca quando viene rivelato è presente in NECESSARY EVIL (Gualeni 2013). In questo videogioco sperimentale si vede un’interfaccia molto tradizionale con barra della vita e slot di inventario, che suggerisce una canonica relazione strumentale col mondo di gioco. L’interfaccia però non tiene traccia della salute o dei possedimenti del personaggio controllato da chi gioca (una piccola creatura con le corna) ma piuttosto di quelli di un eroico personaggio non giocabile, un cavaliere vestito di azzurro.

Quest’ultimo entra nella stanza solo dopo qualche minuto di gioco, dando al piccolo mostro controllato dal giocatore giusto il tempo di svegliarsi e scoprire di essere chiuso lì senza alcuna possibilità di interazione col mondo circostante: le sue zampe non possono aprire la porta, il baule che ha davanti è vuoto, e gli oggetti in giro sembrano parte di una scenografia teatrale e non hanno alcuna utilità. Il fatto che l’interfaccia registri, ingannevolmente, i progressi dell’eroe non giocabile e non del personaggio giocabile, rispecchia la scelta del designer di creare un’esperienza in cui chi gioca non è al centro del mondo, ma ne è un elemento secondario:

[NECESSARY EVIL] non è fatto per essere gradito o esplorato dal mostro con le corna. Il piccolo mostro altro non è che una sfida simile a molte altre: è qualcosa che l’eroe deve superare per andare avanti con il suo eroico viaggio. Queste decisioni di design vogliono suscitare un senso di marginalità in chi gioca, e svelargli come sarebbe un mondo virtuale costruito su esigenze, prospettive, e progresso di qualcun altro (Gualeni 2016).

NECESSARY EVIL (Gualeni 2013)

In conclusione, in questo articolo abbiamo proposto un modo diverso di pensare al design trasgressivo. Facendo leva sulla nozione di “game designer implicito”, abbiamo proposto degli interessanti esempi di design ingannevole finalizzato però ad arricchire l’esperienza di gioco nel suo complesso. In casi ancora più interessanti, che abbiamo menzionato nell’ultima parte della nostra riflessione, il design ingannevole può essere anche finalizzato a sollecitare i giocatori a mantenere alto il livello di diffidenza e di pensiero critico nei riguardi dei contenuti giocabili a cui vengono esposti.

Il concetto, che abbiamo esplorato nel dettaglio nella versione completa di questo articolo, è che i giochi ingannevoli invitano più di altri a sviluppare una relazione consapevole e critica con le convenzioni e i tropi del game design, nonché con le intenzioni del game designer implicito create prima, durante e dopo la partita.

Fonti e ludografia

  • Big Breakfast Collective (2019). Waldo.io. Videogioco sviluppato da Big Breakfast Collective, disponibile online a questo link: https://big-breakfast-collective.itch.io/waldoio.
  • Bogost, I. (2011). How to do things with videogames. Minneapolis, MI: University of Minnesota Press.
  • Flanagan, M. (2009). Critical play: Radical game design. Cambridge, MA: The MIT Press.
  • Fox, T. (2015). Undertale. Videogioco sviluppato e pubblicato da Fox, T.
  • Gualeni, S. (2013). NECESSARY EVIL. Videogioco sviluppato con Dino Dini, Jimena Sánchez Sarquiz, Marcello Gómez Maureira, e Allister Brimble, disponibile online a questo link: evil.gua-le-ni.com.
  • Gualeni, S. (2016). “Self-reflexive Videogames: Observations and Corollaries on Virtual Worlds as Philosophical Artifacts”. G|A|M|E – The Italian Journal of Game Studies, 5 (1).
  • Keighley, G. (2012) [2001]. “The Final Hours of Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty”.
  • Kojima, I. (2001). Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty [PlayStation 2]. Videogioco sviluppato e pubblicato da Konami.
  • Ninja Theory (2017). Hellblade: Senua’s Sacrifice [PlayStation 4]. Videogioco diretto da Antoniades, T. e pubblicato da Ninja Theory.
  • Purslow, M. (2017). “Hellblade’s permadeath bluff is “not as simple as people think””.
  • The Fulbright Company (2013). Gone Home. Videogioco diretto da Gaynor, S. e sviluppato da The Fulbright Company.
  • Van de Mosselaer, N. & Gualeni, S. (2020). “The Implied Designer and the Experience of Gameworlds”. Proceedings of the 2020 DiGRA international Conference, Tampere (Finland), June 2-6, 2020.
  • Wilson, D., & Sicart, M. (2010). “Now it’s personal: on abusive game design”. Proceedings of the 2010 FDG International Conference in Monterrey, California, USA.
  • Zagal, J. P., Björk, S., & Lewis, C. (2013). “Dark patterns in the design of games”. Proceedings of the 2013 FDG International Conference, May 14-17, Chania, Crete, Greece.