Forse Weber aveva torto e i calvinisti non diedero davvero i natali al capitale, creatura che accresce la propria opulenza quasi come nel canone body-horror, ma esso avrebbe avuto origine nella più remota galassia, come un parassita proveniente dallo spazio profondo. Forse, più semplicemente, il capitalismo è il proverbiale elefante nella stanza che diventa ogni secolo sempre più ingombrante, tanto da colonizzare lo spazio siderale. Tim Cain e Leonard Boyarsky, già autori dell’originale Fallout, con The Outer Worlds propongono una fantascienza retrò, tutto sommato familiare, nella quale l’homo oeconomicus ha definitivamente soppiantato l’homo sapiens. Nell’ultimo videogioco Obsidian, la speculazione intergalattica diventa infatti una prassi commerciale assai comune.
La mano invisibile di Smith, un poco indolenzita, deve aver indossato un guanto d’astronauta, regolamentando a detta sua il libero mercato spaziale. Dando una vigorosa stretta di mano al liberismo intergalattico, la sua provvidenziale presa ha condotto l’umanità verso le magnifiche sorti progressive, rese manifeste nella forma di, ehm, allevamenti intensivi di suini tumorali. Il sistema planetario noto come Alcione, quantomeno nelle sue premesse, doveva diventare il futuristico palcoscenico per un’aggiornata mitologia della frontiera. La circostanza perfetta, allora, per il proprio riscatto personale, entro la quale l’intraprendenza sarebbe stata ricompensata dal successo individuale come la più ovvia, quanto diretta, conseguenza. Sostanzialmente, il mito del self-made man che, dopo aver trovato rotto l’ascensore sociale terrestre, decolla per cercarne uno funzionante oltre l’atmosfera. Le cose, naturalmente, non vanno come previsto.
Il mondo di The Outer Worlds sembra il sogno acido di un feticista di LinkedIn, una vision onirica nella quale la positività assurge a direttiva aziendale e gli introversi possono morire di team building. Un’iperbole che riporta alla mente il caso, questo reale, degli ambasciatori Amazon, gli account privati che promuovevano l’azienda di Jeff Bezos, cinguettando il loro fervore professionale su Twitter. Nel mondo tratteggiato dallo studio californiano, l’entusiasmo stucchevole, il lasciarsi abitare e possedere dal demone della produttività, diviene nientemeno che un sacramento. Fondamentalmente, parliamo del tipo di apocalisse che potremmo innescare dando adito all’esercito motivazionale del web, il quale vede nel più cieco ottimismo la soluzione a qualunque problema complesso.
Nel nuovo videogioco Obsidian, gli interessi economici, la violazione dei diritti dei lavoratori, così come l’esplicita noncuranza per la vita umana, rappresentano per i coloni spaziali la dimensione del quotidiano. In questo scenario, l’etica calvinista (spaziale) del lavoro sembra essere alla base del culto religioso radicato ad Acqualunga, l’insediamento umano di Terrarium Due. Secondo questo credo, accettare la propria condizione, sociale ed esistenziale, significa allinearsi con il “grande piano” di un altrettanto “grande architetto”. Quest’ultima entità, ça va sans dire divina, ricorda molto la stessa che, stando alla cosmogonia aristotelica, pungolando la sostanza originaria accese il motore immobile dell’universo. Come ogni ozioso demiurgo, il grande architetto non si interessò della cosa, chiosando il tutto con un bel #whocares. Se il cielo d’Alcione sembra allora sprovvisto di te(le)ologica misericordia, lo stesso può dirsi di una terra che, con le sue tinte sature e un appeal da copertina Urania, propone ben più di una modalità di dannazione. Se Dio non ti porge la sua mano benevolente, non aspettarti che sia lo stato sociale della colonia a farlo.
La malattia, ad Alcione, è uno stigma che esteriorizza la contravvenzione di una giurisdizione biologica. Il colpo di tosse suona come un segnale acustico che informa la società, quasi a dire: «non posso permettermi le cure». Il controllo biopolitico sul corpo è un panopticon schiettamente darwiniano, all’interno del quale ci si sorveglia l’un l’altro per scongiurare il contagio da malattie potenzialmente invalidanti. Questo fa sì che gli operai malati dissimulino il loro stato di salute, fisica e mentale, pur di evitare la ghettizzazione. Capita, per esempio, che un venditore con un eccentrico cappello a forma di luna sia obbligato a esprimersi attraverso slogan aziendali, sebbene il suo tono di voce tradisca una palese insofferenza. Ad Alcione, addirittura la morte è un costo da sostenere, considerato il fatto che le spese d’inumazione sono addebitate al morituro. Non ci si può permettere, quindi, di perdere il lavoro, per miserabile che sia. Ammalarsi significa essere declassati, per la classe dirigente, allo stato di mera risorsa improduttiva. Un costo, pertanto, al quale non corrisponde più alcun beneficio. Nell’attuale scenario socioeconomico, che tende a erodere qualunque certezza lavorativa, queste dinamiche sono pericolosamente vicine alle criticità della nostra, terrestrissima, gig economy.
Il tema della condizione lavorativa è diventato centrale anche nella stessa industria dei videogiochi, considerate le denunce relative al fenomeno del crunch, ovvero i turni di lavoro prolungati. Nel trionfo economicista, il sarcasmo tipico della scrittura Obsidian evidenzia gli aspetti disfunzionali di questo modello societario, dipingendo uno scenario retrofuturista a suo modo attuale. Quest’ultimo, per l’appunto, appare perlopiù come una cronaca iperbolica della nostra contemporaneità piuttosto che uno sguardo lanciato, a velocità di curvatura, verso un futuro ipotetico. In The Outer Worlds, la robotizzazione non ha sortito affatto gli effetti sperati dallo L/Acc, rappresentando al più una nota di colore silicico attorno a un mondo ancora profondamente umano. Niente post, trans, o altri suggestivi prefissi: l’umano, ad Alcione, resta ancora un concetto presidiato dalla carne. Quella proposta da Cain e Boyarsky è, evidentemente, una fantascienza che non ambisce ad allestire uno scenario futuribile, quanto più a delineare un contesto nuovo per criticità assodate, mantenendo sempre e comunque un approccio satirico.
Siamo distanti, allora, dall’approccio drammatico di un Deus Ex o del prossimo Cyberpunk 2077. Il nuovo titolo Obsidian non mette in scena alcuna dinamica inedita, appartenente a un eventuale futuro ipotetico, ma solo rapporti di forza ben noti. D’altronde, il denaro, nel sistema d’Alcione, ruota attorno al potere esattamente come accade nel sistema solare. Alla base di The Outer Worlds è quindi assente, diversamente da Deus Ex, la saga creata da Warren Spector, la volontà di costruire un racconto attorno a un’umanità che valica la sua (presunta) frontiera ontologica, il confine tra uomo e macchina. Similmente, Cyberpunk 2077 di CD Projekt sembra procedere, ancora più speditamente, sulla strada della problematizzazione della nozione di essere umano, incarnando appieno il canone dell’omonimo filone narrativo.
Fantascienza più rilassata, pur non scevra di spunti di riflessione, quella di Obsidian appare allora più simile a Brazil, film diretto da Terry Gilliam, o ancora a Futurama di Matt Groening. Ironia della sorte, il profilo produttivo da opera a medio budget pesa non poco sulla qualità complessiva del gioco. “It’s not the best choice, it’s Spacer’s Choice!”, come direbbe ogni ligio dipendente della Soluzioni Spaziali, una famosa corporazione d’Alcione. Tutte le componenti di The Outer Worlds non strettamente legate alla scrittura, infatti, tendono a essere poco curate. Il combat system è poco soddisfacente, seppur sempre funzionale, mentre quantitativamente il gioco si presenta più modesto di quanto fosse inizialmente lecito sperare. In tal senso, gli sviluppatori chiarirono, nei mesi successivi all’annuncio, che il loro prossimo videogioco non sarebbe stato vasto come Fallout: New Vegas, titolo che nacque probabilmente sotto una stella migliore.
Poter lavorare sulla struttura ludica già rodata da Fallout 3 permise a Obsidian di far emergere, con maggiore forza, le sue indiscutibili qualità. Ad esempio, il V.A.T.S. system collaudato da Bethesda non trova nella dilatazione tattica del tempo, quest’ultima designata da Obsidian, un eccellente sostituto. Nonostante le incertezze, The Outer Worlds resta comunque un buon videogioco, forte di una scrittura curata e di ampie possibilità ruolistiche. Le qualità generali del titolo, e probabilmente anche il posto vacante lasciato dallo stesso Fallout, hanno peraltro permesso a The Outer Worlds di superare le aspettative di vendita. L’acquisizione di Obsidian da parte di Microsoft, nel migliore degli scenari, permetterà finalmente a questo talentuoso studio di lavorare al meglio delle sue possibilità.