Non è raro imbattersi in produzioni videoludiche (ma anche cinematografiche o televisive) di genere soprannaturale che presentano ambienti e spazi apparentemente vuoti, creati con fini estetici o narrativi, riempiti dall’esperienza fruitiva dello spettatore-videogiocatore. Come osserva il critico Francesco Orlando nel suo Il soprannaturale letterario, i romanzi e i racconti riconducibili al genere soprannaturale hanno delineato una serie di spazi emblematici: “dal maniero gotico alle rovine antiche, dalla casa abbandonata all’appartamento borghese, fino a privilegiare sempre più ambienti quotidiani nella narrativa del Novecento”.1 Ciò che accomuna questi luoghi è la presenza di una netta separazione rispetto al resto del mondo: attraversare la soglia dello spazio fantastico non è solo un atto dal forte valore simbolico, ma anche un passaggio concreto che, sul piano narrativo, segna l’inizio dello sviluppo dell’azione.
Su queste basi è possibile definire Dreamcore un videogioco il cui focus è il soprannaturale, secondo una formula che rimuove la soglia di ingresso nello spazio fantastico, immergendo il giocatore in un sogno (tanto ludico quanto lucido) privo di uscita. In tal senso, Dreamcore si distingue come un’opera che ridefinisce il rapporto tra esperienza videoludica e percezione onirica, evidenziando una crescente attenzione all’immersione sensoriale e agli spazi liminali—definiti da Jacques Derrida come spazi in cui aleggia la percezione di un’agentività latente, “lo spettro dell’artefice assente che pervade lo spazio stesso e che lo condiziona, instaurando tra luogo e fruitore un rapporto complesso”. L’ospite-giocatore è pertanto benvenuto soltanto entro certi termini, secondo i meccanismi di un’ospitalità ostile, ambigua, che ricorda la hostipitality analizzata dallo stesso Derrida.2
Spazi che si fondano dunque su un paradosso: luoghi pensati per l’umano ma, al contempo, che non prevedono un rapporto a lungo termine con l’umano stesso. Da qui il senso di disagio che suscitano gli spazi liminali, vuoti e desolati, in cui sono totalmente assenti le persone: una commistione di familiarità e inquietudine che negli ultimi anni ha suscitato un grande interesse su internet, specialmente su 4chan e Reddit.3 In queste comunità digitali emerge e si sviluppa rapidamente attraverso meme, racconti e contenuti audiovisivi il concetto-fenomeno di “backrooms”: un immaginario che richiama quello degli spazi liminali e prevede la rappresentazione di luoghi apparentemente infiniti, anonimi e privi di scopo, caratterizzati da illuminazione fluorescente, moquette ingiallita e un costante senso di disorientamento.4 In una rete digitale in cui le narrazioni collettive e il folklore si costruiscono e si diffondono attraverso la partecipazione degli utenti—trasformando un’immagine anonima in un fenomeno culturale globale—con una crescente attenzione agli spazi liminali e all’immersione sensoriale, Dreamcore eredita e riconfigura il fenomeno delle “backrooms” in un’esperienza interattiva in fieri.

Sviluppato dalla software house argentina Montraluz e pubblicato da Tlön Industries nel gennaio 2025, Dreamcore si inserisce in questa linea di ricerca, offrendo un’esperienza che trova il punto di partenza nella simulazione onirica e il punto di arrivo in una riflessione estetica sulla memoria audiovisiva espressa attraverso la tecnica del found footage. Il gioco trasporta l’utente in ambienti liminali surreali, caratterizzati da distorsioni percettive e da una narrazione frammentaria che richiama i processi mnemonici inconsci. La scelta di un’estetica visiva ispirata al found footage non è casuale: l’utilizzo di immagini apparentemente degradate e di registrazioni che evocano il formato VHS contribuisce a creare un’atmosfera perturbante, che rimanda alla “natura evanescente dei ricordi e alla fluidità della coscienza onirica”.5 L’interazione tra videogiochi e stati di coscienza alterati rappresenta un tema di crescente interesse nella ricerca accademica: molteplici studi neuroscientifici evidenziano come l’esperienza videoludica proponga correlazioni con il fenomeno del sogno lucido, definito da Jayne Gackenbach e Raelyune Dopko come la capacità di prendere coscienza di trovarsi in un sogno e potenzialmente di modificarlo.6
Il processo neurologico alle spalle del sogno lucido rispecchia le dinamiche proprie dell’esperienza videoludica in cui il giocatore si muove in un ambiente virtuale controllabile, sperimentando un senso di agency e manipolazione degli eventi. Dreamcore propone un universo frammentato, sospeso tra realtà e sogno, in cui il giocatore esplora ambienti caratterizzati da architetture instabili e spazi metafisici. Per quanto pubblicato, il gioco è ancora in fase di sviluppo e prevede nei prossimi mesi l’integrazione di nuovi ambienti/aree. Al momento del lancio offre due livelli principali, Dreampools ed Eternal Suburbia: il primo è un complesso di piscine deserte, caratterizzato da geometrie complesse e spazi claustrofobici che evocano una sensazione di smarrimento; il secondo livello riproduce un tipico quartiere suburbano americano, dove l’assenza di vita altra, la ripetitività degli elementi architettonici e l’orizzonte infinito contribuiscono a creare un’atmosfera surreale e disturbante. Le meccaniche di gioco prevedono unicamente l’esplorazione e l’immersione nei due piani del sogno (piscine e quartiere), senza la presenza di nemici o sfide tradizionali: un approccio minimalista che permette ai giocatori di concentrarsi sulle proprie sensazioni o sull’interpretazione degli spazi, rendendo l’esperienza altamente soggettiva.
Come summenzionato, l’immersione sensoriale del gioco e la dimensione liminale degli spazi di gameplay evoca la fenomenologia del sogno lucido: gli scenari, sebbene realistici, presentano anomalie percettive che spingono il giocatore a mettere in discussione la loro autenticità—in tal senso, gli ambienti di Dreamcore operano secondo una logica fluida e imprevedibile. Secondo Stephen LaBerge, i sogni lucidi emergono in particolare quando i sognatori sviluppano un’attitudine metacognitiva nei confronti delle loro esperienze oniriche:7 Dreamcore è dunque una rappresentazione evidente della tendenza a porsi domande sulla natura della realtà, tipica sia dei sogni lucidi sia delle esperienze videoludiche immersive. Da un punto di vista tecnico, sono due gli elementi che contribuiscono a raccontare la dimensione onirica di Dreamcore: meccanica ed estetica.

Nel primo caso, l’interazione con il mondo di gioco contribuisce a rafforzare il parallelismo con i sogni lucidi, proponendo momenti che destabilizzano la percezione temporale e spaziale, come l’improvviso cambiamento delle geometrie ambientali o l’alterazione delle leggi fisiche; ciò stimola processi cognitivi che rispecchiano il modus del sogno lucido, rendendo Dreamcore un’interessante simulazione ludica delle esperienze oniriche consapevoli. Secondariamente, il titolo del videogioco rimanda all’omonima estetica surrealista che utilizza elementi sonori e visivi comunemente associati alla dimensione onirica, ai sogni lucidi o agli incubi, rappresentati attraverso fotografie, filmati e musica.8
Prima e dopo il videogioco, l’estetica Dreamcore si sviluppa principalmente su piattaforme come Reddit, Tumblr e TikTok, dove gli utenti condividono immagini e video che evocano esperienze oniriche sorprendenti e disturbanti con un’enfasi sulla componente emotiva e psicologica della percezione ambientale, che trova ampio spazio di divulgazione anche attraverso i videogiochi. Titoli come Backrooms 1998 o Anemoiapolis utilizzano queste atmosfere per creare esperienze immersive basate sulla tensione psicologica più che sul terrore esplicito. Insieme a questi, Dreamcore ripropone l’omonima estetica attraverso un design che incoraggia il giocatore a interagire attivamente con gli ambienti onirici e a reinterpretarne la struttura, fondendo puzzle game e walking simulator. Ciò rafforza l’immersione sensoriale e amplia la consapevolezza metacognitiva dell’utente rispetto alla propria esperienza percettiva.
Tanto l’omonima estetica quanto il videogioco qui analizzato, prevedono la rappresentazione degli spazi liminali attraverso un filtro grafico che rimanda alla tecnica audiovisiva del found footage. Ampiamente studiata nel contesto cinematografico, si caratterizza per l’impiego di materiali d’archivio, spesso registrati in modo amatoriale, comunicando l’idea di veridicità e autenticità di quanto mostrato. Trattasi di una metodologia tradizionalmente impiegata nel cinema horror per aumentare l’effetto di realismo e immersione: è reinterpretata in Dreamcore per costruire un’atmosfera sospesa tra nostalgia e perturbazione.

Non si tratta dunque di un artificio estetico, bensì di una funzione epistemologica: rimandando alla dimensione sporca e cruda (raw) delle videocassette e ad una narrazione diegetica frammentata, il videogioco evoca una memoria visiva paradossale, in cui passato, presente e futuro si annullano in un eterno presente (facilmente ravvisabile dall’assenza di qualsiasi riferimento temporale). Il found-footage nel contesto onirico di Dreamcore richiama la teoria della memoria involontaria formulata da Marcel Proust, per cui la rievocazione di un’immagine sfocata porta alla ricostruzione di un’esperienza emotiva profonda, ma mai del tutto accessibile.9
Secondo Heller-Nicholas, il found footage funziona come un dispositivo di autenticazione visiva, in grado di suggerire la presenza di una narrazione non mediata, creando un senso di realismo perturbante. In Dreamcore, questa strategia si traduce nell’uso di distorsioni visive, nell’impiego del glitch e di simulazioni di interferenze di riproduzione, elementi che amplificano la sensazione di trovarsi in un contesto sospeso tra realtà e finzione. Anche da un punto di vista sonoro, colpisce l’assenza di dialoghi, il silenzio incessante delle Dreampools a cui si contrappone l’eco dei passi dell’avatar, la musica in costante lontananza del quartiere suburbano che riempie gli angoli inquietanti degli ambienti vuoti con il fantasma della presenza umana—un calore nella fredda oscurità che in qualche modo rende il vuoto più tangibile. Il giocatore non ha informazioni sul corpo digitale che sta muovendo in questi spazi e il filtro del found footage suggerisce che sia l’utente stesso a camminare e correre in una dimensione sospesa tra sogno e realtà, come esperito nei sogni lucidi, dove il potere dell’utente è sottoposto all’universo narrativo del sogno: la registrazione imperfetta diventa metafora della fragilità e della costruzione soggettiva del ricordo.
È opportuno sottolineare come la dimensione temporale di Dreamcore abbia un riscontro e un valore altamente onirici: il gioco ha una struttura esplorativa che può portare il videogiocatore a una conclusione dell’esperienza in meno di due ore, come un sogno diegetico, oppure intrappolarlo in un lungo incubo per giorni. Nel tempo e nello spazio di Dreamcore la costruzione della memoria audiovisiva si interseca con il concetto di liminalità, poiché l’assenza di una narrazione chiara e lineare obbliga il giocatore a ricostruire gli eventi e gli ambienti labirintici attraverso frammenti sensoriali e visivi. È qui che l’estetica del found footage non solo influenza il senso di immersione del giocatore, ma si pone anche come riflessione critica sulla natura effimera e fallibile della memoria stessa. Il gioco pone dunque una riflessione critica sulla rappresentazione digitale della memoria: la grana delle immagini, il leggero motion blur e le distorsioni sonore sono l’eco del degrado tecnico delle registrazioni analogiche, instaurano un dialogo tra obsolescenza tecnologica e percezione soggettiva del tempo.

Questa estetica della perdita e della distanza può essere collegata alla riflessione filosofica alle spalle di ciò che David Bolter e Richard Grusin definiscono remediation, ovvero il modo in cui le nuove tecnologie rielaborano e ricontestualizzano i media precedenti—un aspetto centrale dell’estetica (di) Dreamcore.10 Questo processo, combinato con la natura interattiva del medium, permette al giocatore di sperimentare direttamente il deterioramento della memoria, trasformando l’atto ludico in una riflessione metanarrativa sulla natura effimera della registrazione audiovisiva.
Con il suo racconto ludico di un sogno lucido, Dreamcore tenta di ridefinire i confini tra videogioco e fenomenologia della percezione: dimostra che l’interattività può offrire strumenti di esplorazione della coscienza e della memoria, ampliando il potenziale espressivo del medium. Se gli spazi liminali di una formula estetica nata all’interno di comunità digitali affascinate dalle “backrooms” risultano interessanti al punto da portare alla produzione di videogiochi omonimi o ad essa ancorati, come Dreamcore, è perché fanno leva su un tasto dolente dell’interiorità umana: la crescente consapevolezza che lo stile di vita occidentale impone una sospensione continua, un passaggio ininterrotto, un’estensione onnipresente della soglia tra realtà e finzione.
L’essere umano si immerge in spazi che sembrano aspirare all’autonomia, alla meccanicità, relegando l’umanità a un ruolo marginale, quasi intrusivo.11 Il senso di fallimento legato all’assenza lo accompagna mentre attraversa questi luoghi, divenuti nel genere del soprannaturale e nella relativa estetica digitale, territori di perenne incertezza, soglie senza fine. Sebbene siano stati studiati dalla loro prima comparsa concettuale, gli spazi liminali continuano a essere un argomento di interesse e di mistero per molte persone: non c’è una risposta certa su cosa li renda così attraenti, o sul perché alcuni possano trovare in essi una fonte di sollievo e tranquillità, mentre altri possono provare un timore esistenziale mentre attraversano queste aree. I corridoi deserti, le piscine prive di acqua, le villette a schiera disabitate, i gonfiabili sorridenti e il clima immobile di Dreamcore sembrano avere un unico artefice: noi stessi, il nostro senso di precarietà, la paura che, alla fine, ciò che resterà di noi sarà soltanto una stanza vuota.
Note
- Orlando, F., 2016. Il soprannaturale letterario. Torino: Einaudi. ↩︎
- Derrida, J., 2000. “Hostipitality.” Tradotto da Barry Stocker e Forbes Morlock. In Angelaki 5:3, 3-18. ↩︎
- Corigliano, F., 2023. Lo spazio liminale tra narrativa del soprannaturale e folklore digitale. In Margins/Marges/Margini, 1, 133-153. ↩︎
- Wiggins, B. E., 2024. The backrooms and liminal spaces: Explorations of a digital urban legend. New Media & Society. ↩︎
- Heller-Nicholas, A., 2014. Found footage horror films: fear and the appearance of reality. McFarland. ↩︎
- Gackenbach, J.I. and Dopko, R., 2012. The relationship between video game play, dream bizarreness, and creativity. International Journal of Dream Research, 23-36. ↩︎
- LaBerge, S. and Rheingold, H., 1990. Exploring the world of lucid dreaming (p. 24). New York: Ballantine Books. ↩︎
- Song, J.Y. and Choi, W.H., 2023. A Study on the Inheritance of Dreamcore Art and Surrealism. 한국콘텐츠학회 ICCC 논문집, 73-74. ↩︎
- Masecchia, A., 2008. Al cinema con Proust. Marsilio. ↩︎
- Bolter, J.D. and Grusin, R.A., 1996. Remediation. Configurations, 4:3, 311-358. ↩︎
- Corigliano, F., 2023. Lo spazio liminale tra narrativa del soprannaturale e folklore digitale. In Margins/Marges/Margini, 1, 133-153. ↩︎