Nell’incrociare STONE, ho sentito immediata la vibrazione derivante da chili di marijuana fluttuanti nell’aria e personaggi svogliati e indecisi. L’apatia una dimensione esistenziale prima ancora che uno stile di vita. I riferimenti, cinematografici e letterari, delineati con grande chiarezza. Al centro: un koala bipede alle prese con una trama da giallo e un impeto surreale con la direttiva della vertigine. Un gioco, insomma, dalle parti de Il grande Lebowski e Inherent Vice. Per propensione personale, non ho potuto resistere alla chimera. Nonostante qualche ingranaggio arrugginito nel gioco, la natura del tutto e la controparte produttiva piuttosto minuta e indipendente mi hanno spinto a contattare Greg Louden, l’autore e principale artefice dell’opera e del progetto, per un’intervista. Quella che segue.
Hai cominciato la tua carriera lavorando in grandi produzioni, sia nel videoludico che nell’industria cinematografica. Puoi raccontarci questi esordi?
Prima di lavorare con i videogiochi ho lavorato nel settore della VFX e animazione in film come Gravity, Prometheus, World War Z, Happy Feet 2 e Legend of the Guardians: The Owls of Gahoole. Ho sempre amato il cinema e i giochi, ma ho sempre pensato che fosse un sogno molto, troppo lontano. Comunque, è andata a finire che ho lavorato al comparto dell’animazione ed effetti speciali, da Sydney a Londra, su film che amo.
Lavorando nel VFX e nel settore dell’animazione, ho appreso ciò che un buon regista è davvero, cioè un buon supervisore; i migliori al mondo mi hanno insegnato cos’è la direzione artistica e cosa siano una produzione e una organizzazione creative. Uso ciò che ho imparato ogni giorno nell’industria dei giochi, dove porto questa attenzione al dettaglio e alla conoscenza.
L’esperienza è stata fantastica, tuttavia, dopo aver trascorso gran parte della mia carriera nei giochi, mi piace ora essere coinvolto in una posizione più creativa come scrittore, regista o designer. A partire dalla mia esperienza cinematografica ho lavorato sia su titoli AAA quali Quantum Break, Control, Crossfire 2, che AA con Downward Spiral: Horus Station e poi molti indie con l’attuale STONE e alcuni nuovi progetti non annunciati.
Perché quindi sei approdato al mondo degli “indie”?
Ho scelto l’indie perché volevo porre in essere una sfida sulla tipologia di storie che possono diventare giochi. Quantum Break è stato un progetto lungo, e in quel periodo ho visto che giochi indie come Gone Home e Firewatch hanno avuto successo, e hanno dimostrato che i giocatori sono pronti per nuovi tipi di giochi ed esperienze. Sentivo di poter creare un gioco del genere con una squadra di talento. Quindi, dopo un sacco di riflessioni, ho deciso di provarci. Sapevo anche che volevo fare giochi alternativi con al centro una storia, senza violenza. Come nelle meccaniche di base delle pellicole arthouse di Tarantino, dei fratelli Coen, Paul Thomas Anderson o Gaspar Noé. Da quel momento era solo questione di capire quando avrei fatto il salto.
Le mie difficoltà e i passi principali direi che stavano nel risparmiare, lasciare il mio lavoro AAA permanente (molte aziende possiedono la totalità delle vostre creazioni, quindi un progetto realizzato per hobby non avrebbe funzionato), ottenere un lavoro part-time in giochi in cui avrei potuto avere diritti sulla mia creazione (per 3 giorni alla settimana fino alla fine dello sviluppo di STONE), concepire il progetto di STONE, reclutare la squadra (2D, 3D, animazione, sound designer, artisti musicali e cast), trovare un avvocato e un contabile, costruire una demo, fondare Convict Games, presentarmi agli editori e poi la cosa più difficile di tutte: ho auto-finanziato STONE con i miei risparmi, perché nessun editore voleva rischiare di creare STONE.
Qual è stata la scintilla iniziale che ti ha portato a STONE?
Sapevo di voler creare un gioco alternativo, senza violenza e basato sulla centralità della storia. Stavo anche leggendo Post Office di Charles Bukowski, un libro su un rozzo postino, e l’ho trovato esilarante e molto bello. Mi ha fatto capire che nei videogiochi giochiamo sempre nei panni di brave persone, o persone del tutto normali. Tuttavia le mie storie preferite trattano di personaggi più umani e conflittuali.
Per questo ho pensato che un gioco in cui impersonare un protagonista imperfetto sarebbe stato grandioso. Da lì ho guardato al cinema alternativo e ai classici della letteratura e mi è venuto in mente il genere dello stoner noir. A volte, quando guardo un film o leggo un libro, vorrei poter essere al suo interno e vivere in quel mondo, esplorare i set e approfondire i personaggi facendo la loro conoscenza. Inherent Vice di Paul Thomas Anderson era proprio uno di quei film. Ho unito le idee e peraltro entrambe le storie sono americane e ambientate negli anni ’70. Volevo anche raccontare una storia contemporanea e ho riflettuto sul fatto che tutti i stoner noir fossero americani. Perché non farne quindi uno australiano da aggiungere al genere?
Ultimo ma non meno importante, l’intero concetto del koala e del suo antropomorfismo deriva dal fatto che è una grande metafora, e sapevo che sarebbe finito per avere a che fare con concetti profondi. Nei giochi abbiamo bisogno di costruire ogni cosa. Quindi, perché ricreare il mondo reale quando possiamo invece creare qualcosa di nuovo e qualcosa che solo i giochi o la CGI possono fare?
Perché hai scelto la dimensione locale e di puntare sull’Australia?
Ho scelto di creare STONE perché ritengo che sia una dichiarazione esplicita contro quanto i giochi siano globalizzati. Adoro come nel cinema, musica, tv e letteratura si possano vedere storie raccontate con linguaggi internazionali. Sono un australiano che ama la cultura alternativa, quindi perché non aggiungere qualcosa a tutto ciò facendone una versione australiana? L’Australia ha anche un’industria dei giochi di dimensioni piuttosto piccole, e ho deciso di aiutarla. La Finlandia, dove vivo, ha invece un’industria fiorente dei giochi e volevo provare a portarla in Australia.
Mi sembra che una parte importante della sostanza di STONE stia nel puro piacere cinematografico, in film quali Il grande Lebowski, Inherent Vice o Il lungo addio di Altman. Cosa ne dici?
Quei classici stoner noir sono stati dei riferimenti precisi insieme a Call Me By Your Name e Moonlight. Ho usato queste influenze per informare personaggi, costumi, ambienti, dialoghi e molto altro. Tuttavia volevo anche far diventare STONE una espressione della mia voce, così ho cercato di portare ogni influenza in una nuova direzione. Ho definito STONE in questo modo, come un hip hop stoner noir, per il fatto che STONE ama l’hip hop, ma anche per la quantità di riferimenti che ho cercato di inserire nel gioco, proprio come in un grande album hip hop. C’è molto di ogni cosa in STONE, e ovviamente anche una parte di me.
Come hai lavorato per delineare il rapporto tra il protagonista e il partner Alex?
Avevo chiara in mente la storia di STONE e Alex sin dall’inizio. Quando ho avviato il progetto di STONE conoscevo già l’inizio, il centro e la fine. Per il resto del processo di scrittura ho dovuto solamente riempire gli spazi vuoti, volendo raccontare una relazione e una storia realistiche.
Mi pare che la dimensione narrativa regni rispetto al puro gameplay. È stata sin dall’inizio una scelta o una conseguenza della fase di sviluppo?
Era una scelta, ma una scelta anche legata all’ambito e all’obiettivo. L’orizzonte completo includeva effettivamente giochi secondari come Lawn Bowls, freccette e altro ancora. Tuttavia, poiché STONE non ha potuto ottenere adeguati finanziamenti, ho tagliato i giochi secondari e mi sono focalizzato sulla storia. Tuttavia, STONE è sempre stato dall’inizio un gioco in cui la storia viene prima e le meccaniche di gioco sono poste in secondo piano.
La componente cinematografica è fondamentale e l’amore per il cinema dichiarato. Quali sono dunque i film che ti hanno formato, e quali quelli che ti hanno colpito di più ultimamente?
STONE è una lettera d’amore per il cinema, la musica e il genere stoner noir. Conversando con un italiano, sarò più specifico rispetto a ciò che mi ha influenzato del cinema italiano. Il mio preferito dovrebbe essere Il ladro di biciclette, ma adoro anche 8 ½, Novecento, Cinema Paradiso, Il buono, il brutto e il cattivo, La grande bellezza, Suspiria, Fuocoammare… troppi per contarli. Più recentemente, il mio film preferito dell’anno scorso è stato Climax di Gaspar Noé.
Nel parlare della dimensione onirica del gioco, hai magari trovato altri videogiochi che senti vicini in questa rappresentazione del sogno o della psichedelia?
I riferimenti ai videogiochi per STONE sarebbero Yakuza, Grand Theft Auto, Grim Fandango e Firewatch. Il resto è tutto diviso tra cinema e letteratura, e le mie stesse esperienze di vita condivise.
Quali i tuoi piani per il futuro?
Ora come ora stiamo portando STONE su Xbox One e stiamo aggiornando la nostra versione su App Store e Steam. Sto anche lavorando al prossimo gioco per Convict Games. Non si tratta di un sequel di STONE, non sarà presente nessun animale questa volta ma si tratterà di un altro gioco dall’impianto narrativo.