Quella di Yooka-Laylee è una storia che parte da lontano. Possiamo farla risalire agli anni in cui Rare, partner di Nintendo dal 1993 al 2002, sviluppò giochi come Donkey Kong Country e Banjo-Kazooie, riuscendo brillantemente sia a portare avanti un franchise storico come quello creato da Shigeru Miyamoto, sia a inventare una coppia di nuovi personaggi amatissimi dai giocatori. Oggi considerare Banjo-Kazooie un classico appare scontato, perché è un titolo che figura regolarmente nelle liste dedicate alle uscite essenziali per Nintendo 64, e non manca mai neanche quando si parla del 1998 come del possibile migliore anno di sempre per i videogiochi; ma di fronte alle parole con cui Nintendo Power lo presentava per la prima volta, sul numero 99 dell’agosto 1997, scrivendo “the first thing you have to know about this game is that it behaves a lot like Super Mario 64”, e “Banjo-Kazooie has the best graphics ever seen in a 3-D video game”, sarebbe stato naturale rimanere scettici: erano similitudini e dichiarazioni impegnative per un gioco ancora sconosciuto.
A partire dal 2003 le strade di Nintendo e di Rare si separarono, con l’acquisizione di quest’ultima da parte di Microsoft. Donkey Kong restava ovviamente una proprietà intellettuale di Nintendo, ma Rare poteva portare in dote su Xbox la sua creazione, Banjo-Kazooie: il secondo titolo della serie, Banjo-Tooie, venne ad esempio ripubblicato per Xbox 360. In Microsoft però non era presente lo stesso gusto per l’azzardo che potevamo apprezzare su Nintendo Power; anzi, avendo da pubblicare un nuovo gioco di Rare basato sulla costruzione di veicoli, la scelta fu di farlo diventare Banjo-Kazooie: viti & bulloni, il terzo capitolo maggiore della serie uscito nel 2008. Aveva poco a che fare con il gameplay di Banjo-Kazooie, ma l’operazione serviva a minimizzare il rischio: lanciarlo legato a quel franchise assicurava vendite che sarebbero state altrimenti un’incognita. Fu un episodio controverso che iniziò a minare i rapporti tra il publisher e alcuni tra gli sviluppatori dello studio. Più in generale, il tempo dei platform si andava esaurendo, e Microsoft a Rare chiedeva giochi più in linea con le tendenze del momento—la loro ultima fatica non a caso è Sea of Thieves.
Perciò, nonostante avere un lavoro sicuro in uno studio first-party di un colosso del settore videoludico sia certamente una posizione privilegiata, un crescente numero di impiegati in Rare iniziava a essere scontento, e a guardare con sempre maggiore invidia ai successi e all’esposizione mediatica che piccoli studi, a volte persino singoli sviluppatori indipendenti, riuscivano a ottenere proprio in quegli anni godendo inoltre di una totale libertà creativa. Si arriva così alla fondazione nel 2014 di Playtonic, un nuovo studio composto quasi esclusivamente da ex dipendenti Rare. «I membri fondatori di Playtonic volevano tornare a fare ciò che amavano di più, vale a dire realizzare certi giochi in una certa maniera», mi racconta Gavin Price, direttore creativo dello studio, raggiunto via e-mail. «Il solo modo per farlo era aprire un nuovo studio e mettersi al lavoro su un business plan in grado di far diventare Playtonic ciò che volevamo noi stessi tanto quanto i giocatori, e farlo durare il più a lungo possibile». Quando Gavin Price dice “realizzare certi giochi in una certa maniera” il riferimento è naturalmente ai platform per cui Rare era diventata così famosa negli anni della sua partnership con Nintendo.
Playtonic si presenta infatti a vecchi e nuovi fan con una campagna su Kickstarter volta a completare la produzione di Yooka-Laylee, uno smascherato successore spirituale di Banjo-Kazooie, gioco con cui condivide una lunga serie di caratteristiche, a partire dalla tridimensionalità dei livelli da esplorare. Inoltre i nomi dei protagonisti, al pari di Banjo e Kazooie, ricordano quelli di uno strumento musicale—Yooka-Laylee si legge in modo simile a “ukulele”; entrambi poi sono nuovamente animali, anche se non si tratta più di più un orso e di un’uccellina ma di un camaleonte e di una pipistrella. Infine, è ancora una volta importante che agiscano in coppia: «Ci piace la dinamica che la presenza di due personaggi porta in un gioco, e nei nostri giochi non vogliamo protagonisti forti ed eroici per natura. Avere due personaggi comuni che diventano eroi loro malgrado ha più senso, è come se ciascuno di loro trovandosi da solo non tenterebbe nemmeno di fare le cose che fanno insieme, mentre in coppia i due possono incoraggiarsi a vicenda e condividere il fardello di salvare il mondo», spiega Gavin Price.
Il primo Yooka-Laylee era un buon gioco, ma non riusciva a togliere un’impressione che ho sempre avuto, e cioè che “platform 3D” resti in fondo un ossimoro, strettamente connesso a una fase storica in cui il 3D era una novità e qualsiasi gioco doveva per forza essere in tre dimensioni. Non a caso molte serie che hanno affrontato tale passaggio, come Rayman o Donkey Kong, sono tornate in seguito al classico scorrimento orizzontale; attualmente il cosiddetto 2.5 sembra essere la migliore dimensione spaziale per i platform, e con Yooka-Laylee and the Impossible Lair anche il team di Playtonic è tornato sui propri passi, forse non del tutto soddisfatto dalla propria prima uscita. «Non siamo mai soddisfatti!», mi risponde Gavin Price. «Volevamo fare qualcosa di nuovo e di diverso ma anche rifinire e migliorare ciò che avevamo fatto in precedenza. Pensiamo di aver raggiunto un migliore equilibrio tra vecchio e nuovo, ma crediamo comunque di poter fare ulteriori passi avanti in futuro».
Effettivamente “un migliore equilibrio tra vecchio è nuovo” è una buona definizione di ciò che rappresenta Yooka-Laylee and the Impossible Lair per l’evoluzione della serie. Dal punto di vista della grafica e del gameplay il punto di riferimento cambia, spostandosi da Banjo-Kazooie a Donkey Kong, e in particolare alla prima apparizione dello scimmione su Nintendo Switch con Donkey Kong Country: Tropical Freeze. Una delle prime cose che si notano, già nei primissimi livelli, è l’implementazione di una fisica che spinge il giocatore a sperimentare ogni possibile tecnica per guadagnare il momentum, quella speciale inerzia in stato di grazia necessaria a travolgere di slancio tutti i nemici, superare ogni ostacolo e infine, perché no, infilarsi nel giusto pertugio per scoprire un’area segreta dove raccogliere qualche prezioso collezionabile. «Amiamo la costruzione del momentum in altri giochi e in tanti generi, può diventare molto espressiva e persino terapeutica», dice Gavin Price. «Mettere a punto le meccaniche per costruirlo, che si tratti di nemici, di mosse secondarie o di ostacoli che incoraggino in tal senso i giocatori è stato divertente, ma abbiamo dovuto anche bilanciare il gioco per far sì che tutti potessero divertirsi e capire in che modo è possibile migliorarsi partita dopo partita».
Altre innovazioni rilevanti riguardano la struttura del mondo di gioco. Innanzitutto il livello finale, l’Impossible Lair del titolo, è anche il primo che si affronta, e resta disponibile per l’intera durata del gioco. Tutti gli altri livelli servono a liberare i vari guerrieri che vi si trovano imprigionati, e anche se è molto utile avere il loro supporto per superare l’ostico capitolo conclusivo, nessuno vieta al giocatore di provare fin da subito a finire il gioco, e di ritentare in qualsiasi momento. Ancora più sorprendente è la world map interattiva: la mappa del mondo è infatti un overworld giocabile con visuale dall’alto, pieno di puzzle ambientali in stile Zelda. Non solo: le azioni del giocatore in questo ambiente andranno a sbloccare tante versioni alternative dei vari livelli. Inondando il punto della mappa in cui si trova un certo livello si otterrà la sua versione sommersa, congelandone un altro lo si ritroverà ghiacciato, e così via. «Personalmente ho avuto in mente questa idea sin da quando ho giocato Super Mario World sul Super Nintendo. Ho amato il modo in cui il gioco creava la sensazione di un mondo da esplorare per un personaggio bidimensionale, ma ho pensato che fosse un peccato limitarsi a percorsi tra pallini/punti di accesso astratti», mi racconta Gavin Price. «Mi sono sempre chiesto “come sarebbe se potessi andare ovunque e fare cose importanti per l’avventura?”. Abbiamo parlato a lungo di questo, e Impossible Lair è la nostra risposta a questa domanda».
Certe trovate dimostrano quante idee siano state valutate per il gioco—ad esempio gli oltre 60 tonici che modificano sia il gameplay che l’aspetto visivo sembrano provenire da un lavoro di brainstorming collettivo troppo proficuo per non reintrodurre attraverso tale espediente alcune delle idee scartate. A questo punto la creazione di Yooka-Laylee non appare più solamente un rifacimento di Banjo-Kazooie, quanto la ripresa di un discorso interrotto tanti anni fa. Guidati dall’amore per il genere platform e dall’esperienza accumulata nel corso della loro lunga esperienza in Rare, gli sviluppatori di Playtonic in futuro potrebbero portare la serie in nuove imprevedibili direzioni. «Il futuro della serie è quello di diventare sempre più un progetto autonomo, non basato sul passato. Certi elementi saranno sempre nostalgici, ma speriamo che con i prossimi titoli i giocatori vedranno che non siamo avversi al rischio, e non abbiamo paura di fare cose che non abbiamo mai provato a fare prima, o che il pubblico possa non aspettarsi». Torna ancora il tema del rischio, dell’azzardo; nel corso della storia di Playtonic, e di questa conversazione, sembra essere l’unica vera costante. Ripreso il pieno controllo sul proprio processo creativo, Gavin Price e soci continueranno a sviluppare solamente i videogiochi che amano davvero.