L’umanità si trova, ancora una volta, nel suo autunno delle idee. Nel vasto showcase di cose-andate-male, rappresentato dalla narrativa distopica, They Are Billions non perde tempo nella scrittura di un contesto originale per questa, ennesima, apocalisse zombie. La forma attiva della catastrofe, allora, è quella della più classica orda di morti viventi, calata però all’interno di una cornice steampunk quantomeno curata. Più che un comparto narrativo decisamente pretestuoso, dunque, è il setting a garantire un minimo di carattere allo strategico di Numantian Games. Come ne L’ennemi, l’avversario per Baudelaire, anche il nemico di They Are Billions si fa forte del sangue che perdiamo. Senza rompere con la tradizione, il contagio resta il perenne arruolamento con il quale gli zombie ampliano le loro fila, rappresentando, al solito, uno dei tratti più temibili di questa ricorrente minaccia.
Qualsiasi videogiocatore, ben più di una volta, si sarà ritrovato a fronteggiare questo avversario. Lo zombie ha infatti infestato, nella sua manifestazione più gotica, i livelli bidimensionali di molti videogiochi, raggiungendo la sua forma moderna calcando i fondali prerenderizzati di Resident Evil. Da Zombie Zombie per ZX Spectrum al recente Days Gone, virtualmente parlando, è veramente improbabile non aver mai dovuto eliminare, sparando alla testa, l’avverbio di negazione dalla dicitura di non morto. Forse, l’esistenza stessa è una questione linguistica. In They Are Billions, il male va però estirpato dall’alto, seguendo quella che è la prassi della strategia in tempo reale o RTS. Il giocatore, stoica entità esperta nel management di situazioni disperate, sarà chiamato quindi a condurre The New Empire verso la salvezza, scongiurando così l’estinzione della razza umana.
Per respingere questa minaccia, serve agire allora come era abitudine fare nella golden age della strategia su computer, ovvero costruendo una base e addestrando unità. Un messaggio, durante il caricamento, ci fa sapere che anche fingere di essere un morto vivente, facendosi chiamare Bill Murray, potrà aiutarci a sopravvivere. Si tratta, questa, di una citazione da Zombieland, parodia degli zombie movie particolarmente riuscita che condivide, con They Are Billions, l’intento di smarcarsi dai toni più drammatici e orrorifici. They Are Billions è esplicito come il suo titolo. Il gioco di Numantian Games si serve della struttura canonica degli RTS per solleticare una fantasia quantitativa, peraltro insita nello stesso genere degli strategici. Mi riferisco al feticismo dello schermo straripante di unità belliche le quali, attentando al frame rate, spingono l’idea del conflitto verso la sua manifestazione assoluta.
Riempire di crociati la schermata, magari con qualche cheat, è stato talvolta un metodo di rivalsa, quasi un riscatto, la forma digitale di una volontà di potenza. They Are Billions risiede fondamentalmente qui, nella sua epica guerresca stile Termopili. Non essendo davvero appassionato al genere, ho perso di vista la real time strategy quando l’icona sul desktop di un Age of Empires, o di uno Stronghold, ha smesso di essere una presenza scontata. Erano, questi, gli anni dei giochi completi allegati alle riviste cartacee, fondamentalmente gli antenati dei titoli “regalati” mensilmente con il Games With Gold, PlayStation Plus et similia. Era facile, certo più di oggi, che uno di questi videogiochi fosse uno strategico in tempo reale. They Are Billions sembra davvero provenire da quell’epoca1Quasi mi vedo a estrarre il disco dalla sua custodia di cartone per sostituirlo, nel lettore del mio computer powered by Pentium 3, a quello di Tzar. Ne approfitto per dire che, tutt’ora, non ho colto la profonda implicazione insita nell’acquistare Imperivm: le guerre puniche assieme alla Gazzetta dello Sport. Non essendo uno sportivo, l’accostamento mi è sempre apparso… suspicious (sì, detto con lo sguardo serrato, alla Fry di Futurama). Comunque sia, tutte le copie di Imperivm, quantomeno nella mia Green Hill Zone di provincia, andarono a ruba, lasciando a bocca asciutta gli interventisti meno mattinieri. Dietro a questo grande successo credo ci sia la macchinazione diabolica di una FX Interactive capace di piazzare, e glorificare, un modesto Diablo-clone come Sacred. In tal senso, fu esiziale l’uso machiavellico della voce di Gianni Musi, il doppiatore di Gandalf, nello spot trasmesso sulle reti Mediaset. Probabilmente, si trattava della voce migliore per parlare al crescente pubblico nerd del nuovo millennio, alimentato dall’adattamento de Il signore degli anelli diretto da Peter Jackson., e se non appartiene ai primi anni duemila, mi ci ha quantomeno riportato.
Ibridando la sua componente più gestionale a quella maggiormente tower defense, la piacevolezza di questo titolo risiede quasi tutta nel pensarsi pronti, osservando compiaciuti le proprie truppe ammassate, e temendo al contempo la prossima ondata nemica. Giocato su console, l’interfaccia mostra gli evidenti limiti di un porting certamente meno ragionato rispetto a diversi, e recenti, esempi virtuosi. Nulla di veramente grave ma, potendo scegliere, la versione per computer è certamente quella consigliata. Durante la campagna principale, occorre anche sviluppare un tech tree che andrà a determinare la nostra strategia a lungo termine. Niente di particolarmente complesso, tant’è che l’aspetto più spigoloso del gioco consiste, molto banalmente, nella pericolosità del nostro avversario. Basta davvero poco per vedere una situazione apparentemente tranquilla precipitare nel più rovinoso game over. Questa caratteristica, oltre a essere il motivo di qualche imprecazione di troppo, costituisce tuttavia parte del fascino di questo strategico.
Dal folclore haitiano sino all’immaginario occidentale, la figura dello zombie è stata al centro di innumerevoli narrazioni. Per come è stata codificata nel bestiario contemporaneo, ogni corpo infettato da questa creatura diviene il ripetitore per una trasmissione di (non) morte. Ogni cadavere incrementa, a mo’ di hotspot, il segnale della rete mortifera così come il suo potenziale virale. Sostanzialmente, questa figura non è che la rappresentazione stessa dell’epidemia. La legge della viralità non distingue il mondo reale da quello virtuale: il virus è un’entità digitale che riguarda sempre i grandi numeri. Basti pensare all’incidente del Corrupted Blood, il caso di pandemia virtuale scoppiata all’interno di World of Warcraft. Lo zombie è allora un dispositivo informatico, guidato da un’automazione, che trasmette un dato capace di provocare un crash del sistema, un errore fatale. Il processo di zombificazione è, parallelamente, un algoritmo avviato da un morso.
Come un bug, spesso lo zombie non ha neanche il desiderio di vincere contro l’ordine, il codice sociale. Cosa si trova alla radice di questo errore, spiega anche la natura del male. Posseduto da una volontà cosciente, deliberatamente satanica, oppure generato scientificamente dall’essere umano, lo zombie ha il potenziale per raccontare, a seconda dell’opera, ogni idea di male. Talvolta chiamato il The walking dead giapponese, L’attacco dei giganti riprende la figura dello zombie attuando, al contempo, una sua complessa rielaborazione. Non avendo né la necessità di nutrirsi, né la possibilità di riprodursi, gli inquietanti giganti di Hajime Isayama esibiscono la terribilità di un male del quale non si riesce a cogliere la funzione. Come volendo sciogliere il Problema del male, il Satana del cristianesimo può essere pensato come un ente caratterizzato da una malvagità sensata, perché contribuisce a una narrazione del bene che possiamo ritenere coerente. L’attacco dei giganti, con la sua riflessione sull’avversario, offre in tal senso spunti davvero notevoli.
Il filmato iniziale di questo strategico lascia intendere, comunque, che ci troviamo di fronte alla più generica catastrofe biologica: They Are Billions si ferma ben prima di qualsiasi riflessione sul male, e va benissimo così. Il videogioco di Numantian Games non è certamente memorabile, ma fa trascorrere qualche ora piacevole nella certezza di star facendo la cosa giusta, ovvero resistere al male. They Are Billions è il classico gioco che ci si dimentica di possedere nella propria libreria e, una volta avviato, ci diverte inaspettatamente, senza pretese.