Sempre più spesso i videogiochi approcciano modalità narrative post-moderne, capaci di strutturare e stratificare la narrazione, tanto dal punto di vista formale quanto contenutistico. Il videogioco è un medium unico e, allo stesso tempo, ampiamente diversificato: gli elementi tipici della narrazione orale, scritta, musicale, visiva—ma anche interattiva, spaziale, ambientale—si trovano sovrapposti e fusi insieme in modi diversi, creando luoghi altri capaci di raccontare storie e generare esperienze secondo approcci che altri media difficilmente riescono a replicare1. Questi sono integrati da elementi puramente ludici a cui esperti del settore, giornalisti e accademici fanno riferimento come “meccaniche di gioco”: azioni che il giocatore può intraprendere nello spazio di possibilità creato dalle regole del gioco2.
Intrecciando lo storytelling all’interazione più o meno diretta con esso, il videogioco si manifesta come medium il cui obiettivo primario è la narrazione3: questa può riguardare personaggi e ambienti virtuali, o rivolgersi direttamente al giocatore in quanto presenza errante all’interno di un ambiente digitale e pertanto capace di costruire un significato (e una propria storia). Craig Lindley osserva alcune tipologie di strutture narrative videoludiche4: la più comune segue un andamento lineare, in cui tutte le azioni sono presentate al giocatore in ordine cronologico. Un secondo tipo di struttura narrativa è quella ramificata, offre al fruitore la possibilità di prendere scelte che ne influenzano l’esperienza (video)ludica, includendo diversi finali. Strutture come quelle dell’open world—detto anche sandbox—si adattano all’esplorazione e all’indagine di uno spazio virtuale “aperto”; i giocatori possono interagire con la storia in qualsiasi ordine, vivere un’esperienza unica e potenzialmente irripetibile; in ultima istanza, la struttura narrativa parallela permette al giocatore di completare i compiti in qualsiasi ordine, ma tutte le scelte porteranno a un unico finale.
Il sociologo statunitense Henry Jenkins osserva che “elementi narrativi più piccoli possono inserirsi nei videogiochi a un livello più localizzato, rendendo possibili sotto-narrazioni, micro-narrazioni o riferimenti ad altre narrazioni”5. Per Jenkins i videogiochi sono narrativi grazie alla loro spazialità: permettono ai giocatori di muoversi, esplorare e agire in ambienti virtuali digitali in grado di trasmettere ed evocare significati. L’autore identifica quattro tipi di narrazione videoludica: evoked (evocata), enacted (messa in scena), embedded (incorporata), emergent (emergente). Guardando individualmente alle quattro tipologie, il presente articolo prevede di comprendere come la formula multimediale e multimodale della narrazione stratificata si applichi al contesto videoludico, con particolare attenzione al suo rapporto con la religione, intesa come forma di racconto (video)ludico.
Nel primo caso, Jenkins parla di videogiochi ambientati in luoghi che i giocatori già conoscono in senso extra-ludico, innescando un processo di pre-conoscenza e ri-conoscenza—è questo il caso del cosiddetto effetto Animus. Lo stesso processo evocativo può avvenire anche in modo trans-ludico, ovvero in riferimento a un altro videogioco, o a un franchise multimediale. Che si tratti di un simbolo storicamente riconosciuto o di un personaggio appartenente a un dato universo narrativo fittizio, la narrazione evocata permette di rinegoziare la conoscenza pregressa nel contesto di uno specifico videogioco6. La seconda tipologia narrativa coinvolge ciò che Jenkins definisce “micro narrazioni”: il giocatore alimenta, direttamente con la sua azione, il ritmo della narrazione, attivando sequenze scriptate—ad esempio, sconfiggendo un nemico—o indugiando su azioni che non innescano date sequenze. In tal senso, una delle modalità di storytelling videoludico più note è la cutscene: scene animate che utilizzano dispositivi cinematografici per aiutare i giocatori a produrre significato al di là del gameplay e delle meccaniche di gioco.
Secondo Jelle Folkers, sebbene tale interpunzione cinematografica consenta al giocatore di fare chiarezza sull’esperienza videoludica, i dispositivi retorici cinematografici lo allontanano troppo dalla componente ludica7. Segue la necessità di una modalità narrativa incorporata al videogioco stesso, composta da elementi audio/visivi intenzionalmente posizionati dai programmatori che, direttamente o indirettamente, forniscono indizi sulla storia del mondo e sul background dei personaggi. La terza formulazione di Jenkins rimanda all’elaborazione della lore videoludica, un insieme di narrazioni sottese alla “trama principale” che, attraverso ambienti, linguaggi secondari ed espressioni audio/visive impreviste e opzionali, si (pre)occupa di approfondire quanto espresso in superficie dal videogioco. La differenza tra narrazioni embedded ed enacted risiede proprio nel tipo di operazione che il giocatore può (o non può) compiere di fronte allo stimolo grafico, che potrebbe portare all’esecuzione di azioni e all’interpretazione di un dato elemento narrativo.
Infine, Jenkins identifica come narrazioni emergenti quelle in cui il potenziale narrativo è veicolato dalla capacità del giocatore di personalizzare o creare nuovi elementi ludici. La costruzione di una casa in The Sims (2002) non è solo la creazione di uno spazio singolare, ma anche l’elaborazione di un racconto unico, in cui il giocatore è il principale autore, regista e spettatore. Tramite le parole di Jenkins è dunque possibile dimostrare la presenza di una narrazione stratificata videoludica, capace di unire elementi apparentemente distanti e creati per scopi differenti. In tal senso, da un punto di vista meramente dialettico, il termine narrazione nel videogioco lascia spazio a termini alternativi o complementari come intro, diegesi, cinematic, cutscene, narrazioni interattive, storie interattive, avatar, missioni, trame, testualità, contesti, open world: espressioni e termini usati liberamente all’interno del discorso sulla narrazione videoludica—e talvolta in modo intercambiabile. Pertanto, si definisce narrazione stratificata videoludica una struttura narrativa complessa e articolata in cui la trama del gioco si sviluppa attraverso più livelli di narrazione, offrendo al giocatore un’esperienza ricca e immersiva: il gioco non si limita a seguire una linea temporale o una singola prospettiva, ma intreccia diversi racconti, punti di vista e dimensioni spazio-temporali per creare un tessuto narrativo profondo e multilivello8.
La narrazione stratificata è propria dei media digitali tanto quanto di quelli analogici, costituiscono un ottimo esempio in letteratura l’opera letteraria di Paul Auster e nel cinema la filmografia di Alfred Hitchcock9. Oltre ad impiegare modalità narrative proprie del testo letterario e cinematografico, la narrazione stratificata del videogioco somma, integra e moltiplica flashback, flahforward, punti di vista multipli, missioni secondarie, diari, lettere, oggetti collezionabili e altre forme di narrazione interna. Un esempio emblematico di narrazione stratificata videoludica sono i franchise BioShock (2007-2016), Dark Souls (2011-2018) e The Last of Us (2013-2020), le cui trame sono arricchite da numerose storie parallele, manufatti, registrazioni audio, diari e testi che il giocatore può trovare, ascoltare o leggere, offrendo prospettive diverse e dettagli aggiuntivi sul mondo di gioco e sui suoi personaggi, creando un’esperienza narrativa profonda e immersiva.
La costruzione di una trama complessa, stratificata e multidimensionale, prevede un elemento fondamentale e unico del medium videoludico, espresso dal termine anglosassone worldbuilding: trattasi del processo di creazione di un mondo di gioco dettagliato e coerente, che va oltre la semplice ambientazione visiva per includere storia, cultura, economia, ecologia e norme sociali, generando un ambiente credibile e immersivo che consente ai giocatori di esplorare e interagire con lo spazio virtuale in tutti i modi possibili. Secondo Zuzanna Wolek, gli aspetti fondamentali del worldbuilding sono il contesto, la complessità e la struttura: la tipologia del mondo di gioco (cioè se si tratta di un luogo reale o fittizio) influisce notevolmente sulla narrazione10. Il worldbuilding può includere tutti i tipi di dettagli come il clima, l’atmosfera, la demografia, le lingue, le religioni, la politica, l’economia, i trasporti, le specie, le etnie, purché siano utili alla narrazione11.
La scrittura di una storia, parallelamente al worldbuilding, consente di inserire determinati elementi e simboli nel videogioco, integrati o meno con la trama, così come precedentemente descritto da Jenkins. Che si tratti di ambientare un gioco nell’alto Medioevo e arricchirlo con simboli riconoscibili o esplorabili, il ruolo di protagonista è sempre nelle mani del giocatore, sito fuori dallo schermo. Guardando dunque al contesto narrativo, Simone Baldetti afferma che la religione ha un impatto sui videogiochi e che i videogiochi suscitano un impatto parziale sulla religione12. La religione è qui intesa come una disciplina, propria dei Religious studies: nel contesto analitico videoludico, è possibile concentrarsi sugli elementi religiosi presenti all’interno di un videogioco per studiarne la struttura e la composizione, ponendo così l’attenzione sugli intenti degli sviluppatori; oppure è possibile osservare come un videogioco o alcuni specifici elementi presenti al suo interno siano stati recepiti dal pubblico, studiando ad esempio i canali digitali in cui fluisce il dialogo su questi temi, verificando la percezione e l’impatto socio-culturale che generano. Nei contesti narrativi fittizi, Frank Bosman osserva che la religione, nella sua forma istituzionalizzata o individualista, gioca un ruolo importante nella letteratura distopica13: spesso nella sua forma cristiana, è considerata parte di nuovi mondi oscuri—esempi videoludici pertinenti sono Outlast (2013), e Far Cry 5 (2018)—mentre altri autori la dipingono come un antidoto contro il totalitarismo e l’egoismo associati ai “brave new world”—esempi videoludici pertinenti sono Dead Space (2008) e The Binding of Isaac (2011).
In quanto forma di racconto (video)ludico, la religione può permeare i quattro aspetti chiave descritti da Jenkins che compongono la narrazione stratificata videoludica qui teorizzata, ed essere conseguentemente impiegata con funzioni diverse livello per livello. Il primo di questi è il contenuto videoludico, nel quale l’elemento religioso può essere presente in modo evidente nel caso di videogiochi esplicitamente creati per trasmettere alcuni principi religiosi o che raccontano la storia di un dato culto o fede. È questo il caso del recente Indika (2024)14. Indika ha un legame con il Diavolo, di cui sente costantemente la voce: è proprio questo legame, o relazione, il punto di partenza e di arrivo della storia del videogioco. Indika si presenta come una narrazione stratificata i cui temi religiosi permeano tutti i livelli di lettura e interpretazione definiti da Jenkins.
Nel primo livello, la voce del Diavolo parla tanto alla protagonista quanto al giocatore, andando ad abbattere più volte la quarta parete del medium ed evidenziando una terza presenza oltre a quella della suora e del demone: il giocatore. Questa struttura è ancora più evidente nei momenti di sosta di Indika che, seduta a riposare su panchine sparse per il mondo di gioco, è osservata dal giocatore attraverso spiragli con inquadrature panoramiche che rimpiccioliscono brutalmente il corpo della donna. Fanno parte del secondo livello le “micro-narrazioni” di Jenkins: i simboli, gli oggetti virtuali collezionabili e le caratteristiche del mondo di gioco e le sue regole. Nel suo viaggio verso e contro la fede, Indika interagisce con numerosi manufatti e cimeli della religione cristiana: alcuni attivano momenti di dialogo con la voce demoniaca, altri si manifestano come forme di arricchimento culturale per il giocatore. Oltre al caso di Indika, costituisce un valido esempio Ghost of Tsushima (2020): ambientato durante la prima invasione mongola ai danni del Giappone del tredicesimo secolo, il gioco presenta costanti riferimenti a buddhismo e shintoismo, sia a livello di atmosfere e ambientazioni che, più attivamente, a livello di gameplay, dando alla religione un ruolo chiave. In particolare, gli aspetti religiosi coincidono con i collezionabili, come trovare e raggiungere i sedici santuari shinto sparsi per l’isola ed inchinarsi ad essi per ottenere in cambio un omamori15. Un terzo aspetto in cui si possono ritrovare elementi religiosi è quello delle sfide di gioco, cioè delle attività e degli obiettivi che il software propone al giocatore. In alcune fasi tipicamente puzzling, Indika sale e scende da costruzioni fatiscenti mentre le voce del Diavolo preme sul suo volere: al giocatore è dunque chiesto di pregare—premendo un pulsante dedicato—in modo da scacciare la voce e concentrarsi sulle proprie azioni.
La presenza di elementi religiosi in determinate sfide o missioni videoludiche è propria della maggior parte dei titoli del franchise Assassin’s Creed (2007-2023), le cui missioni primarie e secondarie spesso coinvolgono luoghi sacri come chiese, monasteri e cattedrali. Ad esempio, nel secondo capitolo, il protagonista Ezio Auditore si infiltra all’interno di noti monumenti appartenenti alla Chiesa cattolica per raccogliere informazioni, rubare artefatti o eliminare nemici. Anche gli obiettivi del gioco, come il recupero della “Mela dell’Eden” e altri artefatti mistici, sono fortemente legati a miti cristiani, conferendo un’aura di sacralità e mistero all’esperienza (video)ludica. Infine, raccontando il passato di Indika, il gioco alterna fasi di genere platform in 8-bit al walking simulator, suggerendo un’altra stratificazione, quella tra generi e modalità di gioco. In queste fasi, Indika raccoglie monete d’oro che si traducono in punti per il giocatore, da spendere nell’acquisto di abilità. Un pattern tipico dei videogiochi di genere avventura, con la sola differenza che, in questo caso, il videogioco annuncia al giocatore sin da subito che i punti non servono a niente. Che gli sforzi di Indika sono insufficienti e insignificanti.
Allo stesso modo, gli oggetti collezionabili raccolti non servono a niente, se non a far perdere tempo al giocatore e ad Indika e con questi, la propria fede—nei confronti del gioco e nei confronti del proprio credo religioso. Il quarto punto riguarda però anche la possibilità di raccontare o simulare la religione in videogiochi apparentemente distanti da essa, facendo emergere una storia irripetibile e strettamente legata all’esperienza del giocatore. Costituiscono validi esempi videogiochi open world che consentono al giocatore di impiegare al meglio la propria creatività. Nell’ambito dei temi religiosi, sia Minecraft (2011) che Grand Theft Auto V (2013) si sono dimostrati punti di intersezione tra gli interessi creativi degli utenti e le possibilità di costruire storie in mondi virtuali aperti. Nel primo caso, è possibile rintracciare numerosi server dedicati a (ri)costruzioni architettoniche appartenenti a diversi credi, a dimostrazione delle capacità di reinterpretazione e ricomposizione del reale da parte dei giocatori; nel secondo caso, a seguito del successo di GTA Online e successivamente di GTA RP, alcuni giocatori hanno provato ad inserirsi nella quotidianità di Los Santos nei panni di pastori e preti, intenti a divulgare un dato credo e raccogliere quanti più fedeli possibili alla propria causa—mantenendo i toni ironici ed irriverenti propri di Grand Theft Auto.
Pertanto, che si tratti di raccontare le modalità di costruzione di una cattedrale o condividere la nascita di un nuovo credo, i due casi dimostrano come la narrazione videoludica, veicolata da temi religiosi, si strafichi al punto da andare oltre il videogioco in sé e coinvolgendo paratesti del ludico—il gioco video—su piattaforme altre, lontane per accessibilità, fruizione e costi. In altre parole, la narrazione stratificata videoludica rappresenta una frontiera innovativa e multiforme nella creazione di esperienze narrative immersive e interattive. La fusione di elementi narrativi provenienti da diverse discipline, unita all’interazione unica del mezzo videoludico, consente la costruzione di trame complesse e intricate. Come teorizza Henry Jenkins, l’esistenza di narrazioni evocative, cinematografiche, incorporate ed emergenti dimostra che i videogiochi non solo possono raccontare storie ma anche consentire ai giocatori di diventare co-creatori di significato. Inoltre, analizzare il rapporto tra videogiochi e religione attraverso vari esempi evidenzia come temi profondi e simbolici possano essere integrati nei mondi virtuali per arricchire ulteriormente l’esperienza del giocatore. La stratificazione narrativa non solo amplifica la complessità delle storie video-ludiche e ludico-video, ma facilita interazioni più significative e personalizzate tra i giocatori e i mondi virtuali, rendendo i videogiochi un mezzo narrativo senza precedenti nel panorama dei media contemporanei.
Note
- Cfr. Soriani, A., & Caselli, S. (2020). Visual Narratives in Videogames: How Videogames Tell Stories Through Graphical Elements. img journal, (3), 474-499. ↩︎
- Cfr. Fullerton, T., Swain, C., & Hoffman, S. (2004). Game design workshop: Designing, prototyping, & playtesting games. CRC Press. ↩︎
- Secondo il docente e ricercatore americano Frank Rose, l’obiettivo principale della maggior parte dei media di intrattenimento è immergere il pubblico e farlo sentire coinvolto. Nel caso di film, letteratura e videogiochi, il pubblico può essere coinvolto nella storia, nel mondo e/o nei personaggi. Cfr. Rose, F. (2015). The power of immersive media. Strategy+business, 78. ↩︎
- Cfr. Lindley, C. A. (2005). Story and narrative structures in computer games. Bushoff, Brunhild. ed. ↩︎
- Cfr. Jenkins, H. (2004). Game design as narrative architecture. Computer, 44(3), 118-130. ↩︎
- Da questo punto di vista, Erica Kleinman parla di metagaming: “quando giochiamo a un gioco, portiamo con noi conoscenze esterne che i personaggi del gioco non possiedono, e queste conoscenze hanno inevitabilmente un effetto sul nostro modo di giocare”. In altre parole, il metagaming eleva il conflitto tra narrazione e interazione rompendo ulteriormente la quarta parete. Cfr. Kleinman, E. M. (2016). Understanding metagaming mechanics in interactive storytelling (Doctoral dissertation, Drexel University). ↩︎
- Cfr. Şengün, S. (2013). Six degrees of video game narrative: a classification for narrative in video games (Doctoral dissertation, İstanbul Bilgi Üniversitesi); Folkerts, J. (2010). Playing games as an art experience: How videogames produce meaning through narrative and play. In Emerging Practices in Cyberculture and Social Networking (pp. 97-117). Brill. ↩︎
- Cfr. Frankenberg, G. (2006). Comparing constitutions: Ideas, ideals, and ideology—toward a layered narrative. International Journal of Constitutional Law, 4(3), 439-459. ↩︎
- In La città di vetro, primo di tre romanzi de La trilogia di New York (1985-1987) di Auster, il protagonista Quinn è sia uno scrittore di gialli che un detective. Secondo Giovanni Darconza il romanzo è uno dei massimi esempi in cui il confine tra realtà e finzione è talmente labile, che il lettore fatica a orientarsi. Quinn è allo stesso tempo protagonista, lettore e scrittore del romanzo. Alla fine, infatti, ci è rivelato che tutto ciò che abbiamo letto è tratto dal suo taccuino rosso. Taccuino ritrovato dallo stesso Paul Auster, uno dei personaggi del romanzo. L’incontro di Quinn (personaggio creato dalla fantasia dello scrittore) e Auster (scrittore-creatore) è un’invenzione narrativa che confonde ancora di più il lettore. Il tutto è ancora più complicato dalla presenza di un altro narratore: quando Quinn scompare dal libro, il lettore scopre che un amico di Auster ha usato il taccuino di Quinn, per scrivere La città di vetro. Analogamente, in Vertigo (1958) la narrazione si sviluppa attraverso i punti di vista frammentati del protagonista, rivelando gradualmente i segreti del passato e creando un intreccio tra realtà e illusione; in Psycho (1960), la trama è stratificata mediante il cambiamento di prospettiva dopo l’iconica scena della doccia, spostando l’attenzione del pubblico e giocando con le sue aspettative. Queste tecniche di narrazione stratificata permettono tanto a Hitchcock quanto ad Auster di costruire suspense e mantenere l’audience costantemente coinvolta, esplorando temi complessi come l’identità e la percezione. Cfr. Darconza, G. (2013). Il detective, il lettore e lo scrittore. L’evoluzione del giallo metafisico in Poe, Borges, Auster. Aras Edizioni. ↩︎
- Wołek, Z. (2022). Lore Exposition in Video Games: how to effectively convey an in-game world to the player. ↩︎
- Ogni elemento del mondo di gioco fa parte della progettazione dello spazio virtuale digitale: include tutte le risorse, gli oggetti di scena, gli elementi interattivi e i personaggi. Si parla di narrazione ambientale, utilizzata per conciliare la narrazione con la costruzione del mondo. Cfr. Omeragić, E. (2019). Immersion and Worldbuilding in Videogames (Doctoral dissertation, Josip Juraj Strossmayer University of Osijek. Faculty of Humanities and Social Sciences). ↩︎
- Cfr. Baldetti, S. (2023). Videogiochi, storytelling e valorizzazione dei beni della Chiesa cattolica: aspetti giuridici. ORDINES. ↩︎
- Cfr. Bosman, F. G. (2014). ‘The Lamb of Comstock’. Dystopia and Religion in Video Games. Online-Heidelberg Journal of Religions on the Internet, 5. ↩︎
- Titolo sviluppato da Odd Meter in cui i giocatori assumono il controllo dell’omonima suora che cerca di adattarsi alla vita monastica in una Russia dei primi del Novecento. ↩︎
- Cfr. Zoli, E. Analizzare la religione attraverso i videogiochi: il caso di Ghost of Tsushima. ↩︎