La diversa normalità di Grunn

Un mondo in cui nulla ha senso, eppure tutto è perfettamente coerente.

Mattina presto: scendi dall’autobus, imbracci i tuoi strumenti di lavoro e ti prepari a due giorni di intenso giardinaggio. Ma dovrai renderti presto conto di quanto le aspettative del tuo cliente possano essere irragionevoli… Inizia così Grunn, un simulatore di giardinaggio del tutto normale. Ambientato in un paesino olandese sarcasticamente ricalcato sulle esperienze dei quattro sviluppatori dello studio indipendente Sokpop e in particolare di Tom van den Boogaart, originario del Noord-Brabant, Grunn è un videogioco che trova nell’assurdo la sua particolare cifra ludico-narrativa.

Il giardiniere che andremo a impersonare si ritroverà infatti coinvolto in eventi sempre più incomprensibili: aprire la porta chiusa a chiave di un bagno e trovarlo occupato; comprare un accendino e vedersi circondati da una dozzina di gnomi da giardino; percorrere un corridoio e scoprirlo estendersi all’infinito… Il tutto mentre il tempo incalza, consegnandolo a una serie di morti dalle cause più o meno razionali.

Ci vorranno diversi loop e più di uno spavento per risolvere l’enigma del giardino in cui pensavamo di dover solo lavorare di rastrello: i due giorni e mezzo a nostra disposizione sono calibrati per permetterci di trovare ogni volta un nuovo oggetto o capire come usarne uno che magari avevamo già raccolto in precedenza, svelando dei nessi causali insospettabili eppure a modo loro saldi; è proprio nel concatenarsi degli eventi, nello svelare la sua logica interna (o lasciar scoprire quando ammetterne l’assenza) che Grunn dimostra il suo valore. Grunn non tradisce la sua dichiarazione di normalità: il giocatore si ritrova intrappolato in un mondo in cui nulla ha senso, eppure tutto è perfettamente coerente.

Grunn (Fonte: press kit)

Videogiocare stanca

Anche se trascorreremo molto del nostro poco tempo a correre qua e là in cerca di indizi, il giardinaggio, ovvero il lavoro, rimane al centro dell’esperienza ludica anche nel momento in cui le note inquietanti diventano preponderanti, fungendo da chiave di risoluzione del gioco e ricordandoci che solo un giardiniere avrebbe potuto trovare una soluzione agli enigmi proposti. Insomma, anche in Grunn si lavora per vivere.

Viene quindi lecito chiedersi come sarebbe stato giocare un Grunn spoglio del suo lato orrorifico, senza bizzarre figure a fissarci dalle finestre e gnomi a tormentarci. Potare le siepi, tagliare il prato, buttare la spazzatura e magari rompere qualcosa a martellate risulta molto divertente, e l’originalissima cifra estetica del videogioco, con i suoi personaggi distorti dalla grafica grezza e pixellosa e colori terrosi e spenti, costituisce già di suo un felice punto di rottura con molti job simulator.

Non sono un appassionato dei titoli alla Farming Simulator o Euro Truck, ma trovo che il loro dilagare sia un fenomeno piuttosto interessante. Capisco la semplice soddisfazione che si ricava dallo svolgere piccoli compiti ripetitivi, e forse il fascino che il genere esercita su porzioni tanto vaste della popolazione videoludica sta tutto lì, ma ho l’impressione che le spiegazioni possibili siano molte di più: il tema del lavoro, che per lungo tempo è stato uno dei pilastri portanti della produzione letteraria e cinematografica occidentale, è diventato via via più marginale; al contempo il videogioco, che non è più relegato al ruolo di intrattenimento “puro” e infantile, può mettere in scena il lavoro in modo non narrativo, restituendone le strutture e dunque problematizzandole senza un commento direzionato, rendendole al contempo persino divertenti.

Grunn (Fonte: press kit)

Ma è nell’orrore che a mio parere il videogioco esprime al meglio queste potenzialità.
Penso al riuscitissimo Happy’s Humble Burger Farm, a Iron Lung e i suoi numerosi derivati, o ai tanti J-Horror in cui si svolge un turno di notte in una caffetteria, un konbini o una videoteca. In questi giochi il protagonista-lavoratore non è un eroe ma una vittima, un individuo a cui sono imposte sfide crudeli e inattese, nel totale disinteresse se non con la benedizione dei suoi superiori. In opere del genere si avverte la sfiducia verso un sistema a cui si partecipa, ma di cui non si riesce a raccogliere i frutti; anzi, si è già fortunati ad avere salva la pelle.

Forte della sua atmosfera bizzarra e di una struttura di gioco accattivante, Grunn è a mio parere tra i titoli più riusciti in tal senso. Il soffocante senso di alienazione che permea il gioco viene subito stabilito dall’impossibilità di parlare con le strane figure in cui capita di imbattersi nel corso delle surreali peregrinazioni a cui siamo costretti per portare a termine i compiti assegnatici dal nostro datore di lavoro; compiti i cui risvolti sono tutt’altro che scontati. Più che un simulatore patinato e rassicurante, Grunn finisce per somigliare a un labirinto alla Yume Nikki, un continuo smarrirsi in cui a trionfare è spesso il senso di star subendo una terribile ingiustizia: perché devo fare tutto questo?

Il tono divertito di Grunn, che è anch’esso un elemento di distacco rispetto ai titoli citati in precedenza, acuisce questo sentimento senza permettere che si tramuti in frustrazione. Ho impiegato sette ore a concludere il lavoro, anche se non ho raggiunto tutti i possibili finali; sette ore trascorse a chiedermi cosa fare e perché farlo, ottenendo risposte coerentemente assurde. Ed è stato molto divertente. Grunn è un simulatore di giardinaggio del tutto normale. Ed è per questo motivo che è stato così bello giocarlo.