Oggi il nome Grand Theft Auto fa pensare soprattutto all’inarrestabile macchina da soldi che la serie è diventata sotto la guida di Rockstar Games. Prima di arrivare a questo punto, tuttavia, la storia inizia presso lo studio DMA Design a Dundee, che ha creato Grand Theft Auto (1997) e Grand Theft Auto 2 (1999). Questi due giochi hanno introdotto molti degli elementi che avrebbero caratterizzato la serie: i divertenti inseguimenti con la polizia e le sparatorie; gli irriverenti PNG; le incredibili stazioni radio.
Prima dell’uscita di Grand Theft Auto III, comunque, il publisher Take-Two chiuse DMA, spostando buona parte dello staff da Dundee a Edinburgo, dove aveva sede il nuovo studio Rockstar North. Fu una decisione discutibile, ma aiutò a consolidare il marchio Rockstar—un nome che tuttora domina l’industria videoludica. Per sapere di più su Grand Theft Auto e sulla sua turbolenta ascesa, abbiamo contattato alcuni dipendenti di DMA e Rockstar per parlare delle controversie relative al titolo originale, del modo in cui si è evoluta la serie, e dei motivi per cui in primo luogo tutto ciò ha rischiato di non accadere.
Race’n’Chase
La storia di GTA inizia nel marzo del 1995, quando un team di DMA Design si riunì per vagliare alcune idee per un nuovo gioco per PC. A quei tempi la DMA era conosciuta principalmente per il grande successo di Lemmings (1991), e molto meno per shooter come Menace, Blood Money e Hired Guns. Cercando un nuovo progetto su cui mettersi al lavoro, lo studio iniziò a pensare a un gioco di corse.
Race’n’Chase—questo il primo nome provvisorio—usava il motore grafico Legovision creato dal programmatore Mike Dailly, e proponeva ai giocatori tre città viste dall’altro tra cui scegliere. Le modalità di gioco includevano gare di velocità, demolition derby e rapine in banca, con la possibilità di essere o il ladro o il poliziotto. Andando avanti con lo sviluppo, però, il team decise di concentrarsi sulle rapine in banca, che sembravano essere la modalità più divertente. Presa questa nuova direzione, cambiò anche il nome del gioco: Grand Theft Auto.
GTA era un gioco open-world diviso in tre città basate su luoghi realmente esistenti negli Stati Uniti: Liberty City, San Andreas e Vice City. L’obiettivo era guadagnare abbastanza denaro per superare ogni livello, ma al giocatore veniva lasciata totale libertà in merito al modo in cui raggiungerlo. Rispondendo ai telefoni pubblici era possibile accettare degli incarichi, come uccidere i membri di una gang rivale o trasportare dei passeggeri, altrimenti si potevano completare sfide speciali sparse in giro per la mappa, altrimenti c’erano sempre macchine da rubare per andare poi a rivenderle. L’unico limite erano le vite disponibili, perciò il giocatore doveva sempre fare attenzione alla polizia, sempre pronta a dargli la caccia.
La lavorazione di GTA fu tutt’altro che facile, perché allo studio mancava organizzazione: molti altri progetti erano attivi allo stesso tempo in DMA, tra cui un gioco simile a Metal Gear Solid intitolato Covert, che venne poi cancellato, e Body Harvest, un titolo pubblicato in seguito da Nintendo. «Grand Theft Auto era uno tra altri otto o magari dodici progetti», afferma Colin Anderson, audio manager di DMA. «Ci stavamo occupando anche di tutti quanti gli altri. È strano dal mio punto di vista, perché l’unico titolo a cui la gente si interessa oggi è Grand Theft Auto, ma a quel tempo non potevamo saperlo».
«Non era il figlio prediletto nello studio», aggiunge Steve Hammond, writer e designer di DMA. «Quello era Body Harvest. Tutti pensavano sopratutto a quel titolo, convinti che avrebbe avuto un enorme successo. Grand Theft Auto era solo uno dei tanti altri». Parlando con coloro che lo provarono nel corso dello sviluppo, si scopre un GTA per niente promettente: poco divertente da giocare, e afflitto da numerosi problemi tecnici. «Era un casino», dice Gary Penn, creative manager che venne assegnato al progetto GTA dal publisher BMG Interactive. «A un certo punto ho avuto l’impressione di essere l’unica persona in BMG che provava a tenere in vita il progetto. Non saprei dire bene il perché; sembrava che non andasse da nessuna parte».
Brian Lawson, project manager di GTA, ricorda: «Non c’erano veri inseguimenti con la polizia, la pistola era l’unica arma disponibile, mancava una barra della vita (con un singolo colpo eri morto), e il sistema di progressione era più mirato al completamento delle missioni che al punteggio, come sarebbe stato invece nella versione definitiva». Non c’è stato un momento preciso in cui questi problemi sono stati risolti. Ci sono invece stati numerosi aggiustamenti che hanno portato il gioco sulla giusta via. Venne ripensato il sistema di guida, fu introdotta l’autoradio, e al posto di una struttura lineare a missioni si pensò a un meccanismo di punteggi in stile arcade. Alla BMG il gioco iniziò a guadagnarsi alcuni estimatori. Tra di loro Sam Houser, head of development della BMG che in seguito sarebbe diventato uno dei principali creatori della serie.
Le polemiche
Gran Theft Auto venne pubblicato per PC nell’ottobre del 1997, non prima di un cambio di proprietà dietro le quinte, con l’acquisizione di DMA Design da parte della software house inglese Gremlin Interactive. Come parte dell’accordo, la Gremlin onorò gli impegni già presi dalla BMG, permettendo la pubblicazione di GTA per PC e PlayStation in Europa. Il pubblico accolse bene il gioco, con quell’anarchico mix di guida, sparatorie e crimini in un mondo aperto. Insieme alle lodi arrivarono però anche le critiche per i contenuti adatti a un pubblico adulto.
La stessa BMG fu responsabile per queste reazioni negative, avendo incaricato la controversa agenzia di comunicazione Max Clifford Associates di generare interesse nei confronti del gioco. Convinta che tutta la pubblicità fosse buona pubblicità, l’agenzia mise in risalto i contenuti violenti di GTA. Da parte di BMG ci fu una sottovalutazione delle reazioni da parte della stampa inglese, che attaccò il gioco per la sua violenza e fece appello ai politici inglesi affinché lo bandissero.
«Non era quella la nostra intenzione», racconta Brian Baglow, writer di GTA e head of the PR department di DMA Design. «Non abbiamo inserito cose puntando a scioccare le persone. Tutto era mirato solamente al divertimento. Perciò quando la campagna di comunicazione andò a segno e iniziarono ad arrivare le critiche—mi sembra che Lord Campbell of Croy fu il primo a chiedere che simile spazzatura venisse bandita—quasi tutto il team pensò fosse buffo, perché a guardare il gioco non c’era molta violenza grafica. Era tutto implicito».
«Si stava esagerando», aggiunge Jamie King, che lavorava alla BMG e più tardi sarebbe stato uno dei fondatori di Rockstar. «Il messaggio ovviamente doveva essere controllato, soprattutto con i tabloid britannici. La reputazione divenne un po’ quella di un gioco malsano. Di un brutto gioco. Da parte nostra però il discorso era “abbiamo film vietati ai minori di 18 anni, perché non possiamo avere giochi vietati al minori di 18 anni?”».
In tutto questo, il settimanale News of the World provò a dipingere Baglow, esperto di comunicazione in DMA Design, come un fuorilegge della strada. «Era con Dave Jones che volevano parlare», racconta Baglow. «Ma avrei dovuto piazzare delle trappole davanti al suo ufficio per portarlo a parlare con la stampa. Nessuno del team voleva questa responsabilità, così alla fine dissi “ok, sarò io”. Così così una domenica su News of the World ci fu un articolo a tutta pagina con me accigliato e con indosso una felpa della BMG Interactive. Avevano preso un incidente d’auto che avevo fatto a 19 anni, quando la mia macchina prese una lastra di ghiaccio nero a Knockhill, trasformandolo in un inseguimento ad alta velocità con la polizia, a bordo di una XR3 o XR2i».
Per fortuna il gioco alla fine non venne vietato in Gran Bretagna, e le polemiche si limitarono ad accrescere l’interesse: GTA diventò una hit di culto, qualcosa da giocare in segreto con un gruppo di amici, e di nascosto dai genitori. Intanto, dietro le quinte, era già iniziato lo sviluppo di un seguito. BMG, però, non sarebbe stato il publisher dei nuovi giochi della serie.
Nel marzo del 1998, BMG cedette la sua divisione interattiva al publisher Take-Two per nove milioni di dollari. La conseguenza fu che un gruppo di ex dipendenti BMG, tra cui Sam e Dan Houser, Jamie King, Terry Donovan e Gary J. Foreman si trasferirono a New York e diedero vita alla sussidiaria di Take-Two più tardi conosciuta come Rockstar. Tra i primi progetti a cui pensarono c’era un adattamento di The Warriors di Walter Hill, un gioco su licenza basato sulla rivista Thrasher, dedicata allo skateboarding (dopo un tentativo fallito di siglare un accordo con Tony Hawk), e altri giochi della serie GTA. C’era però un piccolo problema: Take-Two non aveva tutti i diritti.
«Ci mettemmo in moto per ottenere tutti i diritti», ricorda King. «Sam sapeva quale era il valore di GTA, anche se il resto del mondo non sembrava riconoscerlo. Aveva una visione e poteva immaginare quale evoluzione avrebbe potuto avere. Ci volle un po’ perché Take-Two si assicurasse i diritti. Era tutto un po’ caotico. Per un periodo, tra GTA e GTA 2, non avevamo i diritti di pubblicazione». Per quanto sia stato un processo complicato, alla fine Take-Two riuscì a rintracciare e ottenere i diritti, acquistando l’intera IP da Gremlin nel 1998. Il primo GTA pubblicato da Take-Two è stato una semplice nuova edizione del gioco originale—ma c’erano altri piani, molto più ambiziosi, per il futuro della serie.
Seguiti e spin-off
Nel dicembre del 1998, gli ex dipendenti di BMG passati alla Take-Two diedero alla sussidiaria americana il nome di Rockstar Games. La nuova sigla era stata pensata per evidenziare le mire rivoluzionarie e dirompenti del publisher, e per contestate l’idea che i giochi fossero solamente per ragazzi. GTA era centrale all’interno di questa strategia, ma per la pubblicazione di GTA 2 restava da attendere quasi un anno. Così Rockstar diede mandato a un nuovo studio appena acquisito, Rockstar Toronto, di creare un paio di espansioni per il titolo originale, in modo da mantenere alto l’interesse.
GTA London 1961 e 1969, usciti nel 1999, erano simili all’originale, ma con Londra al posto delle città immaginarie. Un’altra caratteristica importante era la colonna sonora, che presentava musica su licenza per la prima volta nella serie. In precedenza era stata la stessa DMA a occuparsi di creare le musiche per le stazioni radio di GTA. Le espansioni londinesi invece si giovarono dei contatti di Terry Donovan per includere brani di artisti come The Upsetters e Harry J. All Stars. L’idea era quella di dare una maggiore autenticità al mondo aperto del gioco, e di rendere l’esperienza più simile a quella di un film.
«Le espansioni non aggiungevano davvero niente in termini di meccaniche o di gameplay, ma erano molto carine», dice Baglow. «Terry Donovan, il marketing director che proveniva da Arista Records, è stato fondamentale per la colonna sonora. Erano tutti artisti di Trojan Records. Poi c’erano tutte quelle parlate cockney. E se scivolavi su una cacca di cane, ottenevi una grossa strisciata marrone, e penso che questo fosse il punto più alto dell’intero franchise».
Anche se le espansioni ricevettero un’accoglienza positiva, alcuni sviluppatori di DMA vennero colti di sorpresa. Ad alcuni non piacquero le novità, che sembravano contraddire il modo in cui il gioco originale era stato concepito. Molti in DMA pensavano che il mondo di GTA si trovasse in una linea temporale alternativa alla nostra, perciò vedere il gioco ambientato a Londra, con le musiche di artisti realmente esistenti, era incompatibile con la loro visione. In ogni caso la decisione venne apprezzata dai giocatori e continuò a caratterizzare la serie, già a partire da GTA 2.
Inizialmente identificato dal nome in codice GBH (Grievous Bodily Harm), GTA 2 abbandonava Liberty City in favore di una città retro-futuristica chiamata Anywhere, USA. Come nel primo titolo i giocatori giravano per la città completando missioni, ma questa volta c’era una maggiore enfasi sulle gang, e sui rapporti che avevano tra loro. DMA aveva maggiori risorse per il sequel, perciò fu possibile ampliare ulteriormente il comparto sonoro.
Gli spot pubblicitari furono un’aggiunta che vale la pena menzionare, e continuarono a fare la loro apparizione nelle stazioni radiofoniche dei titoli successivi. Nonostante questi miglioramenti il gioco non riuscì a replicare il successo del predecessore. Le recensioni furono tiepide, e le riviste lodaorno la colonna sonora ma lamentarono la mancanza di innovazioni. Non fu certo un fallimento, ma era chiaro a tutti che la serie doveva passare al 3D per coinvolgere un nuovo pubblico.
Fare una hit
Nello stesso mese in cui uscì GTA 2, Take-Two annunciò di aver acquisito DMA Design da Infogrames, l’azienda francese che aveva da poco rilevato Gremlin. L’idea dietro l’acquisizione era avere in Rockstar una maggiore contiguità tra i team al lavoro sul franchise di GTA. Subito dopo l’acquisto di DMA, però, Take-Two prese la decisione di dividere in due lo studio. Una metà, che comprendeva i team di Body Harvest e Space Station Silicon Valley, venne trasferita a Edinburgo per formare Rockstar North, mentre l’altra metà resto a Dundee alla DMA Design.
Per un breve periodo sembrò che l’intenzione di Rockstar fosse quella di mantenere aperti entrambi gli studi. Nel marzo del 2000, però, arrivò l’annuncio che DMA Design avrebbe chiuso, e lo staff rimanente sarebbe stato trasferito a Edinburgo. Stando a quanto raccontano gli ex dipendenti con cui abbiamo parlato, i rapporti tra Take-Two e DMA erano tesi, e i membri di DMA spesso si trovavano in conflitto con il publisher, e si fidavano poco delle sue intenzioni. Ad aumentare le difficoltà di DMA c’era anche un momento di crisi d’identità. Non solo il co-fondatore di DMA Dave Jones se ne era andato nel 1999, ma lo studio faticava a comprendere quali giochi avrebbe dovuto produrre per inserirsi nel catalogo di Rockstar.
L’obiettivo era chiaro: portare GTA nel 3D. Dopo l’abbandono di Keillor, Dan House e Lazlow Jones divennero i lead writer, scrivendo una grande quantità di dialoghi. GTA fu un grande passo avanti rispetto ai due giochi precedenti, e fu anche un successo a livello di critica e a livello commerciale. È stato anche il primo capitolo della serie ad avere un solo protagonista, e ciò ha consentito di narrare una storia di tradimento e di vendetta dal sapore più cinematografico. Da GTA III in poi la serie non ha fatto altro che diventare sempre più popolare, ma Rockstar non ha dimenticato le sue radici scozzesi. Non solo Rockstar North va ancora forte, ma la recente acquisizione dello studio Ruffian Games ha segnato un ritorno nella città di Dundee.
«Ruffian si inserisce perfettamente nell’etica lavorativa di Rockstar», dice Penn, che adesso è internal development manager presso Denki Games. «Ruffian ha aiutato enormemente con il primo Crackdown, e ha finito per salvare parte di Crackdown 3, quindi è uno lo studio che si presenta bene non solo per le cose fatte, ma anche per la tipologia di giochi. Penso sia una combinazione ideale per Rockstar. Mi sorprende che non sia successo prima». «È una testimonianza del lavoro svolto da Ruffian, e del grande bacino di talenti che c’è in Scozia», dice Baglow, ora membro del consiglio di Creative Edinburgh. «Si occuperanno di alcuni progetti molto affascinanti; se sentiremo parlare di loro o no resta da vedere. Per quanto riguarda Rockstar, invece, sapevamo che sarebbe tornata qui».