Che la morte costringa a ricominciare il gioco da capo, a rinunciare per sempre a un personaggio a cui ci si è dedicati per tanto tempo, o a perdere oggetti ottenuti solo dopo molti sforzi, c’è un principio comune a tutti i giochi in cui è presente la meccanica della permadeath: gli errori si pagano a caro prezzo. Mentre altri titoli possono semplicemente dirti di rimboccare le maniche e provare un’altra volta—o magari, come gli arcade dei vecchi tempi, tentarti con la proposta di continuare se hai ancora qualche moneta da spendere—i giochi con la permadeath non amano i mezzi termini. Sei morto. È finita. Devi ricominciare dall’inizio, oppure hai perso un certo personaggio per sempre. Può sembrare brutale, ma è una meccanica apprezzata in tanti giochi, che viene spesso usata dagli sviluppatori in modi differenti, e per motivi molto diversi.
«Volevamo dare la sensazione di una missione suicida—un coraggioso equipaggio che va contro ogni pronostico nella speranza di realizzare un’audace impresa», spiega Justin Ma, co-creatore di FTL: Faster Than Light. Nel gioco—un roguelike ambientato in una navicella spaziale che fa sedere chi gioca sul sedile del comandante—il compito è gestire un equipaggio in una missione per salvare la galassia. Secondo Ma, artist e co-designer di Subset Games, usare la permadeath ha aiutato a rappresentare i pericoli sempre dietro l’angolo in un viaggio nello spazio. «Lo spazio è un luogo intrinsecamente pericoloso e minaccioso per la vita», dice.
«La consapevolezza che un asteroide vagante potrebbe innescare una serie di reazioni a catena da cui alla fine deriva la distruzione della tua astronave è sicuramente vicina al modo in cui immagino i viaggi nello spazio». La permadeath è stata pensata come la maniera migliore per trasmettere tale senso di pericolo ai giocatori. «Alcuni giochi danno questa sensazione ai giocatori attraverso una minaccia illusoria, che nel momento del fallimento non comporta esiti diversi dal caricamento dell’ultimo auto-salvataggio», dice Ma. «Noi volevamo far provare davvero un senso di disperazione, che è possibile solo se il fallimento ha conseguenze molto gravi».
Teddy Lee, parte della squadra di Cellar Door Games al lavoro su Rogue Legacy, sostiene che usare la permadeath in questa maniera richiede un certo ingegno nel catturare l’immaginazione di chi gioca. «A livello narrativo può essere difficile, per cui occorre raccontare la storia in modo intelligente, perché non c’è più un singolo protagonista con cui ci si può identificare». Rogue Legacy è un roguelike a piattaforme in 2D pieno di combattimenti veloci e senza dubbio difficili, in cui ogni morte porta alla definitiva scomparsa del personaggio utilizzato. Fin qui tutto normale. A questo punto, però, il discendente del defunto raccoglie il testimone dell’eroe. Dove uno fallisce, il successivo riesce. Una posta in gioco simile, una volta inclusa in titoli come FTL o Rogue Legacy, può comunque fornire i mattoni con cui chi gioca costruisce da sé la storia che intende raccontarsi—un percorso in cui ogni decisione presa può fare la differenza e portare a un proseguimento dell’avventura oppure a una fine improvvisa. In questo modo ogni vittoria faticosamente ottenuta diventa molto più significativa.
L’uso della morte nel cinema e nella televisione—e il suo scopo—di solito riguarda il desiderio di suscitare una specifica emozione, o di coinvolgere lo spettatore. Con questa impostazione in mente, Supermassive Games vede la permadeath come una necessità per dare ai propri giochi uno stile da slasher movie. Pete Samuels, executive producer e director della serie The Dark Pictures Anthology, racconta che il team di sviluppo, ritenendo di aver imparato un’importante lezione da Until Dawn, ha utilizzato quella conoscenza per realizzare il gioco più recente dello studio, Man of Medan (un capitolo della serie antologica). «Una delle sfide nel design e nello sviluppo di Man of Medan è stata accrescere di molto la varietà dei modi in cui i personaggi possono morire», racconta Samuels. «Per chi gioca le morti sono in sé una grande fonte di divertimento, perciò abbiamo fatto in modo di aumentare la varietà e anche il numero delle possibili cause di morte».
I colpi di scena, le rivelazioni, i momenti sconvolgenti che riconosciamo essere alla base di tante pellicole e serie televisive, hanno un ruolo centrale in Man of Medan, però in questo caso chi gioca agisce come regista del suo personale film horror. Invece di contare sul fatto che il giocatore costruisca da sé una propria storia, come fanno FTL e Rogue Legacy, giochi come Man of Medan e Until Dawn danno l’opportunità di prendere decisioni fondamentali e imprimere una certa direzione alla trama. Dare a chi gioca la possibilità di avere un impatto reale sugli eventi aumenta la player agency e il coinvolgimento nella narrativa, ma comporta anche alcune difficoltà. Permettere di decidere chi pagherà il prezzo più alto, ad esempio, ha le sue ripercussioni. «La sfida maggiore probabilmente è stata non lasciare mai l’impressione di essere imbrogliati dal gioco», dice Samuels. «La morte di un personaggio a cui il giocatore si è affezionato è un prezzo alto da pagare per una decisione sbagliata o per una reazione inappropriata, ed è importante che il giocatore riconosca sempre di aver commesso un errore, di aver potuto o dovuto agire diversamente, e di aver ricevuto dal gioco informazioni sufficienti per farlo».
Affezionarsi a un personaggio che può essere fatto fuori in qualsiasi momento è un’arma a doppio taglio. Il giocatore viene maggiormente coinvolto dalla storia e dalle proprie azioni, ma se prende una decisione sbagliata o non è abbastanza veloce o reattivo, c’è il rischio che si senta trattato male. Usare la permadeath come meccanica principale e bilanciarla con la necessità di far stare il giocatore dalla propria parte è stata una sfida anche per Lee durante la realizzazione di Rogue Legacy. «La permadeath, se fatta bene, dovrebbe incoraggiare il giocatore a capire il sistema, più che a memorizzarlo», dice. «Ogni lezione si impara affrontando le conseguenze, e può essere frustrante, perciò si tratta di un difficile gioco di equilibrio».
Quando però il giusto equilibrio viene trovato, per Samuels la permadeath ha molto da offrire come meccanica. «Secondo me nei nostri titoli il maggior beneficio è che la morte è la conseguenza finale di una serie di decisioni, e questo accresce molto la tensione nell’esperienza di gioco. La perdita di un personaggio della squadra del giocatore dimostra chiaramente la portata della ramificazione nei nostri titoli, e aiuta a conferire un senso di unicità a ogni esperienza di gioco. Viene anche vista da molti come una sorta di “punteggio”, e i giocatori fanno nuove partite per ottenere l’esito ideale in cui tutti i personaggi sopravvivono, per raggiungere una conclusione in cui i loro preferiti non siano periti in qualche maniera orribile».
La permadeath può provocare una certa emozione oppure aiutare ad alimentare una linea narrativa. La percezione più comune si lega tuttavia a un altro tipo di pensieri. Il solo nominare la permadeath fa venire l’orticaria ad alcuni giocatori, che subito pensano a una difficoltà sconsiderata, a difficoltà insormontabili, a una quantità spropositata di progressi perduti. Per Richard Meredith, programmatore e designer di Plausible Concept, la permadeath non riguarda tanto la mera difficoltà, quanto la creazione di quel tipo di esperienza per la quale i giocatori stabiliscono una connessione con i sistemi che li circondano. Bad North, roguelike minimalista di strategia in tempo reale di Plausible Concept, invita chi gioca a difendere una serie di isole da invasori vichinghi, manovrando i propri soldati e progettando un sistema di difesa che impedisca ai nemici la conquista di quelle terre.
«In Bad North di solito posizioni le truppe e prepari una linea difensiva che la maggior parte delle volte regge piuttosto bene», spiega Meredith. «All’improvviso ci si può trovare sul filo del rasoio e le cose possono prendere una brutta, bruttissima piega». Come ci si potrebbe aspettare, può essere stressante vedere il proprio piano fallire miseramente nel giro di qualche istante a causa di una forza di invasione particolarmente consistente. «Questi brevi momenti di panico e di stress, sullo sfondo di scenari perlopiù calmi e rilassanti, hanno un impatto molto forte», dice Meredith. Spostandosi da un’isola all’altra la possibilità di perdere un comandante—e di conseguenza, tutte le unità di cui è a capo—è un problema costante e sempre più grave. «La permadeath alza la posta in gioco, e fa capire bene come l’importante sia risolvere il problema, piuttosto che tornare a un salvataggio precedente eliminando ogni rischio», dice Meredith.
Utilizzare la permadeath come uno strumento che incoraggi i giocatori a risolvere i problemi alle porte—e a imparare le meccaniche di gioco—è un principio condiviso anche da Lee. «Mi piacciono molto i sistemi di gioco che spingono il giocatore a imparare le regole», dice. «Questo è il motivo per cui quasi tutti i nostri giochi presentano una qualche componente del combattimento basata sulla reazione, dato che basta dare ai nemici alcuni “numeri generati a caso” relativi al modo in cui rispondono al giocatore, e quest’ultimo non potrà più memorizzare le loro mosse».
Parlando con Lee, appare chiaro come in Rogue Legacy la permadeath sia secondaria rispetto al vero obiettivo di incoraggiare l’improvvisazione—e di assicurarsi che morire sia divertente. Dato che ogni morte porta in dote la possibilità di controllare un nuovo personaggio, con tratti differenti dal precedente, lo stile di gioco cambia con ogni generazione di eroi e il giocatore continua a essere coinvolto nell’azione. Nonostante ci sia un uso ridotto di elementi casuali rispetto a Bad North, l’intento rimane lo stesso: «Le situazioni in cui accade qualcosa [come un’invasione agguerrita e inaspettata] diventano i momenti topici di ogni partita giocata», spiega Meredith. «Si ricordano i momenti in cui si sono perse delle truppe, soprattutto se è avvenuto provando disperatamente a mantenere il controllo di un’isola, o se è accaduto tutto insieme battendo in ritirata».
Dopo aver passato parecchio tempo a lavorare su questi elementi, faticando a farli funzionare in un ambiente subacqueo, Cleveland capì una cosa: «In Subnautica essenzialmente stai volando. Perciò non esisteva un modo per limitare facilmente il giocatore con delle mura o con la gravità—i nostri scenari rendevano al meglio quando erano aperti, soprattutto pensando che volevamo inserire dei veicoli. Inoltre non c’erano abbastanza creature per generare delle reazioni emergenti. Abbiamo dunque finito col rimuovere tutto ciò che non funzionava, fatta eccezione per la permadeath. Dato che la modalità “hardcore” è esattamente quanto il nome suggerisce—un livello di difficoltà estremo per chi cerca una sfida maggiore—viene vista da Cleveland come un modo ulteriore per affrontare il gioco, e non necessariamente “quello vero”. La percentuale di giocatori che gioca Subnautica con la permadeath è stimata essere tra il 6 e l’8%—ben inferiore rispetto al 59.9% che sceglie la normale modalità survival.
In questo caso dunque la permadeath è stata usata quasi per caso, e viene considerata un contenuto aggiuntivo rivolto a coloro che vogliono prendere molto sul serio le scorte di ossigeno e i fabbisogni nutrizionali. Gli sviluppatori usano quindi la permadeath per motivi molto diversi. Allontanandosi in ogni caso dalla sicurezza fornita dagli auto-salvataggi e dai checkpoint, i giocatori possono provare momenti davvero elettrizzanti. Che si tratti di avere il cuore spezzato per la morte in un personaggio amato, o dell’euforia data dal sapere di essere sopravvissuti per un pelo in una battaglia spaziale, la permadeath porta qualcosa di raro ai videogiochi: un autentico senso di paura, il rischio di perdere qualcosa, e la necessità di affrontare conseguenze reali per le proprie azioni.