Il bar si chiama Smoke and Barrel e si trova nel cuore di Washington DC nel quartiere Adams Morgan, dove lo spring break è ogni fine settimana. Adams Morgan è come L’isola che non c’è—con tutti i suoi bar e locali variopinti, è un posto dove gli avventori, di ogni età, non devono diventare grandi. Smoke and Barrel è specializzato in whiskey, ed è quello che io e la mia amica Darby beviamo mentre giochiamo il World 3 di SMB3 al nostro tavolo nel seminterrato, evitando gli studi che dovremmo fare per il nostro dottorato. Invece, siamo qui a schivare le fauci di Boss Bass, arrivando a pochi centimetri dall’essere divorate ogni volta che il livello affonda nell’acqua infida. Smoke and Barrel ha avuto l’idea grandiosa di mettere un NES in questo piccolo angolo del bar, e noi abbiamo avuto l’idea grandiosa di sederci accanto alla console.
“Vuoi usare i warp o no?” mi chiede Darby.
“Non lo so—non so a che ora chiude il bar”, rispondo. C’è tra di noi il tacito accordo che il principale obiettivo qui non è giocare quanti più livelli possibile—più ne giochiamo meglio è, poco ma sicuro, ma non possiamo lasciare questo bar senza aver battuto Bowser in una maniera o nell’altra.
“Credo che dovremmo usarli”, dice lei.
Ci trasferiamo nel World 7, Pipe Land, e veniamo accolte dalla musica fumosa e jazzata della schermata della mappa e da un labirinto di tubi verdi. Il sistema, quando lo abbiamo acceso per la prima volta sbalordite dalla gioia di trovarlo nel buio seminterrato del bar, ci ha mostrato la classica lucina rossa lampeggiante delle vecchie console NES. La nostra prima soluzione, da brave ragazze degli anni ‘90, è stata di soffiare nella cartuccia, ma non ha funzionato. (In realtà quella soluzione era più che altro un mito o un effetto placebo, e poteva fare più male che bene alla cartuccia.) Alla fine sono riuscita a far funzionare quel vecchio NES incastrando il mio ingombrante telefono cellulare all’interno della console, sopra il gioco, facendo in modo che premesse con decisione sui circuiti del sistema.
Trascorriamo la serata passandoci il controller l’un l’altra dopo ogni morte o livello completato, mentre i clienti del bar affollano il seminterrato, talvolta urtando il nostro tavolo e riempiendo la stanza con i loro schiamazzi. Ma noi siamo concentrate sul battere questo gioco—un gioco uscito venti anni fa che ci fa ancora sentire come bambine. Mi correggo: ora, in questo bar di Washington, siamo di nuovo bambine.
SMB3 ha inondato la cultura giovanile americana come nessun gioco aveva fatto prima, con una campagna di marketing superiore a quella di qualsiasi altro videogioco dell’epoca, e con pochi rivali anche tra quelli di oggi. Nintendo ha pubblicizzato SMB3 “nello stesso modo in cui uno studio cinematografico potrebbe alimentare l’hype per il suo ultimo blockbuster, passando mesi a creare nei consumatori un’attesa a livello febbrile”, ha scritto lo storico Tristan Donovan.
Al gioco sono stati dedicati spot pubblicitari, sorprese nell’Happy Meal di McDonald’s, la prima guida strategica a sé stante mai realizzata da Nintendo Power, i campionati di Nintendo PowerFest, e un’impressionante quantità di merchandise e memorabilia (tra cui giocattoli, vestiti, cibo, e molto altro ancora). SMB3 ha avuto anche spazio sul piccolo schermo. Super Mario Bros. Super Show, il primo programma televisivo di Nintendo, è stato inaugurato nell’autunno del 1988, ma SMB3 ha avuto una trasmissione tutta per lui—un cartone animato chiamato The Adventures of Super Mario Bros. 3, andato in onda su NBC nel 1990.
SMB3 rappresenta Nintendo all’apice del suo potere sul mercato dei videogiochi americano—l’età dell’oro di Mario. È stato l’ultimo gioco di Mario prima dello scontro con Sega nella guerra delle console degli anni ‘90, durante la quale l’identità che Nintendo aveva costruito per sé grazie al franchise di Mario—tenera, cartoonesca e adatta alla famiglia—sarebbe diventata per Sega un punto debole da sfruttare. All’epoca di SMB3, Nintendo ancora dominava il settore. Tra merchandising, media, Nintendo Power, e la linea telefonica dei Game Counselor, l’azienda Nintendo, ha scritto David Sheff nel 1993, ha intrapreso una “improvvisa e pervasiva infiltrazione in America”. Nintendo “è diventata essa stessa una cultura”.
“In quegli anni”, dice Gail Tilden, “se davi un’occhiata alle classifiche, Nintendo con il NES era l’unico player nel mercato dell’hardware […] perciò la scelta era tra vari giochi per il NES. Avevamo distrutto il Sega Master System. Semplicemente, non c’era nient’altro. Proprio in quel periodo, Nintendo dominava il mercato dei videogiochi in termini di hardware, perciò un titolo first-party come [SMB3], con la sua qualità e quella campagna di marketing, aveva un enorme potenziale che chiunque avrebbe voluto. Era imperdibile, una cosa come un blockbuster”.
Per questo motivo, SMB3 ha segnato le vite di un’intera generazione nata tra il 1975 e il 1990. Alcuni studiosi già usano l’espressione “generazione Nintendo”, e Herz sostiene che i videogiochi sono una parte talmente importante dell’infanzia che “se Quarto Potere fosse ambientato nel XXI secolo, Orson Welles direbbe sospirando ‘Mario!’, invece che ‘Rosebud’”. Nel suo libro Extra Lives: Why Video Games Matter, Tom Bissel ricorda una conversazione avuta a una conferenza sui videogiochi con qualcuno che sosteneva che “entro il 2020, ci sono molte possibilità che il presidente sia una persona che ha giocato Super Mario Bros. sul NES”. I numeri confortano questa tesi. Appena tre anni dopo l’uscita di SMB3 in Nord America, un sondaggio tra gli studenti della seconda e della terza media scoprì che il 67% delle femmine passava in media dure ore a settimana giocando a casa con i videogiochi, e il 90% dei maschi in media più di quattro ore a settimana. E c’erano molte probabilità che stessero giocando SMB3.
Nel periodo immediatamente successivo alla pubblicazione di SMB3, Nintendo controllava più o meno l’80% del mercato delle console casalinghe, e in una casa americana su tre (circa 30 milioni) c’era una console Nintendo. Il totale dominio di Nintendo sul mercato, ha notato Howard Phillips, significa che SMB3 per alcuni mesi fu onnipresente. La tempistica stagionale dell’arrivo nei negozi fu anch’essa di aiuto: “la pubblicazione [di SMB3] fu abbastanza unica, trattandosi di un’uscita a inizio primavera”, dice Phillips. “Se pensi a come gli utenti lo hanno vissuto, non è tanto il ‘cosa’, quanto il ‘quando’”. Nel febbraio del 1990, nota, i ragazzi passavano dalla stagione dei regali natalizi al vuoto delle uscite collocato tra la seconda metà dell’inverno e la primavera. Nintendo aveva iniziato a concentrarsi un po’ di più sui giochi portatili, e a parte un titolo cerebrale come Final Fantasy, che attirava giocatori più maturi, non c’erano molte novità da giocare sulla console casalinga—perciò tutti giocavano SMB3.
“SMB3 prese il sopravvento”, dice Philipps, “e per i giocatori l’esperienza non era solamente di giocarlo per conto loro, ma che chiunque altro lo stesse giocando. E questo era uno dei punti fermi di Arakawa [presidente di Nintendo of America] per il successo di un prodotto o di un buon gioco, che tutti lo giocassero allo stesso tempo, in modo da ottenere quel tipo di sinergia condivisa dei ragazzi che ne parlano con gli amici, nei cortili, a scuola—che tutti giocassero lo stesso gioco. E questo ne faceva una cosa collettiva, e divertente da condividere”. Phillips ritiene che la tempistica contò persino più degli sforzi pubblicitari di Nintendo of America. “Sicuramente in quel periodo Nintendo ci dava dentro con il marketing con Peter Main [vice presidente esecutivo delle vendite e del marketing di Nintendo of America] e spendeva montagne di denaro in pubblicità”, dice, “ma dalla prospettiva di un giocatore—beh, sapevi che era uscito, e i giocatori conoscevano tutti i giochi allora”.
Grazie a Nintendo Power, al quale i ragazzi si abbonavano, condividendolo con i loro amici, dice Philipps, “ogni ragazzino conosceva qualsiasi gioco in uscita che si trovasse nei primi due terzi delle proposte di quel periodo. Così quando uscì SMB3, ognuno ne era comunque al corrente. E quindi il marketing e la televisione? Niente di che. Davvero, lo si sapeva già. Si trattava più che altro di informare i genitori in modo che potessero dire ‘Oh, è questo il gioco—è carino, non sembra minaccioso. È un gioco della Nintendo, i bravi ragazzi, e forse dovrei comprarlo ai miei figli, o concedergli il desiderio di spendere i soldi che hanno avuto per Natale dalla nonna’”.
Ha aiutato, anche, il fatto che l’uscita di SMB3 sia stata rimandata in Nord America, alimentando tremendamente l’impazienza. Dopo la pubblicazione di SMB3 in Giappone nell’ottobre del 1988, l’America dovette attendere il gioco per sedici mesi interi per via di una carenza di chip “causata dalla combinazione di un incremento della domanda e di una politica protezionistica americana sui chip giapponesi”, stando a un articolo apparso sul New York Times nel novembre del 1988.
D’altra parte, rimandare l’uscita americana del gioco potrebbe essere stata una decisione strategica. “Siamo passati da 32 giochi nel 1988 a 19 giochi nel 1989, in modo da produrre più copie dei titoli che la gente vuole”, ha dichiarato Bill White, portavoce di Nintendo, in un articolo di USA Today del marzo 1989. “Pensiamo che sarebbe prematuro pubblicare [SMB3] in America nel 1989, mentre Super Mario Bros. 2 sta ancora vendendo così bene”. Quale che fosse la causa, la strategia funzionò. “Ben pochi titoli nella storia dei videogiochi”, scrive Corbie Dillard su Nintendo Life, “sono stati accompagnati, prima della pubblicazione, dalla stessa attesa di cui Super Mario Bros. 3 ha goduto”. Nella periodo natalizio del 1990, undici mesi dopo la sua uscita in America, SMB3 era ancora al numero due dei giochi più venduti negli Stati Uniti, superato solo dallo stesso NES, mentre SMB2 riusciva a conservare ancora un posto in una top ten curiosamente priva di titoli Zelda. Mario era certamente lì per restarci—nel 1992 uno studio di Market Data Corporation mostrava come il 96% delle persone conoscevano Mario, e l’83% lo apprezzava.
Questi numeri potrebbero essere il risultato della posizione privilegiata che SMB3 occupa nella storia dell’advertising, sostiene Morgan Romine, ex capitana del team di giocatrici Frag Dolls. Romine adesso lavora a Ubisoft come community manager e online marketing manager, e ritiene che una grande campagna pubblicitaria come quella di SMB3 oggi sarebbe un fiasco. Nei primi anni ‘90, dice, chi si occupava di vendite poteva rivolgersi a un target di giovani maschi che non erano stati disillusi dalle campagne pubblicitarie che portarono alla crisi dei videogiochi del 1983, e che non erano ancora cinici riguardo l’essere oggetto di marketing come lo sono molti videogiocatori di oggi.
Il successo senza precedenti di SMB3 è avvenuto in un periodo in cui il dipartimento di marketing e advertising di Nintendo of America stava crescendo e maturando, iniziando a specializzarsi in alcune aree specifiche. Gail Tilden, una delle eroine della prima Nintendo of America, ne sa qualcosa del marketing di Nintendo. Si è occupata del brand, della pubblicità e delle pubbliche relazioni seguendo il lancio del NES a New York, e ha proseguito dirigendo Nintendo Power, la prima rivista di videogiochi americana. All’epoca di SMB3, ricorda Tilden, Nintendo of America stava “mettendo insieme una larga squadra di talenti del marketing. Mentre in precedenza c’erano persone come me, giovani e formate internamente, cominciarono ad assumere talenti dall’esterno […], persone diverse con background diversi in tante discipline del marketing. Perciò avevamo un dipartimento dedicato alle pubbliche relazioni, uno dedicato alle promozioni, uno all’advertising, e un gruppo di persone che lavorava a diretto contatto con i rivenditori assicurandosi che tutto venisse commercializzato a dovere e che ci fossero sempre scorte in magazzino […] La maturazione dell’organizzazione dell’azienda negli Stati Uniti e la sua espansione sono avvenute di pari passo con l’uscita di questo gioco”.
SMB3 è stato anche uno dei primi giochi che Nintendo of America si sentisse sicura di lanciare con una grande campagna pubblicitaria. La bancarotta di Atari, avvenuta meno di dieci anni prima, era rimasta una minaccia per l’azienda ai tempi di SMB1 e SMB2, e aveva condizionato lo stile di molti dei suoi sforzi pubblicitari. In sostanza, Nintendo of America sapeva che se avesse deluso i giocatori con giochi brutti, come aveva fatto Atari, avrebbe potuto mandare a picco l’intero settore. Per prevenire questo problema, spiega Tilden, il principale obiettivo di confezioni, pubblicità e speciali su Nintendo Power relativi ai primi giochi per NES era quello di non esagerare mai.
“Ai tempi di Pong, la gente avrebbe avuto un gioco in stile Pong chiamato [qualcosa come] ‘Table Tennis’, e ci sarebbe stata un’immagine in copertina con due persone che colpivano palline da ping pong’, dice Tilden. “Ma poi aprivi il gioco e accendevi la TV, ed era una roba monocromatica dove facevi scivolare due pale per colpire un puntino, e pensiamo che queste esagerazioni abbiano contributo alla delusione del pubblico nei confronti della prima generazione. Così con il lancio del NES nel 1985, siamo tornati al poco popolare approccio di un packaging pixelato che non illudesse riguardo il contenuto del gioco”. Questo approccio, evidente sulle confezioni di giochi come SMB1, Excitebike e Metroid, durò per circa due anni, dice Tilden. “Per il lancio di SMB3 abbiamo usato grafiche colorate perché non avevamo più paura che la gente trovasse deludente il contenuto della scatola”.
“L’hype per SMB3 era a un livello tale che sentivi che avresti potuto mettere qualsiasi cosa sulla confezione e la gente sarebbe comunque impazzita”, ho detto a Tilden al telefono. “Sì, probabilmente è così”, mi ha risposto lei. “È stato un bel salto per quel tempo”. Ha aiutato anche il fatto che il marketing, la stampa e le tecnologie legate al graphic design avessero fatto notevoli passi avanti, permettendo di rappresentare il gioco in un modo più colorato e gradevole dal punto di vista estetico. In effetti, secondo Tilden, SMB3 segna una nuova era nella rappresentazione grafica di Mario nel materiale pubblicitario. Nintendo of America ora disponeva di un “maggiore accesso a grafiche colorate […] che hanno finito con l’essere usate per magliette o portapranzi o immagini iconiche”, dice Tilden. La confezione di SMB3, per esempio, presentava una colorata illustrazione di Mario Procione che sorride e vola su un luminoso sfondo giallo.